Il Corriere della Sera di venerdì 30 dicembre 2005 pubblica a pagina 15 una cronaca sostanzialmente corretta dell'attentato suicida Tulkarem. A fianco dell'articolo una fotografia mostra "la disperazione dei parenti di una vittima palestinese ". Le vittime innocenti del terrorismo suicida non sono meno degne di essere ricordate se sono palestinesi che se sono israeliane, ma va osservato che nei quotidiani italiani funziona la discriminazione inversa: perché venga pubblicata una foto che mostra le vittime o il dolore dei loro parenti bisogna che siano colpiti degli arabi. Altrimenti, al ricordo delle vittime ebree si preferisce in genere la foto commemorativa del loro assassino.
Europa pubblica pagina 2 una breve cronaca . Scorretto il titolo: "Kamikaze uccide due palestinesi e un israeliano", dal quale potrebbe sembrare che per il terrorismo sia indifferente uccidere palestinesi o israeliani (le vittime palestinesi sono invece il risultato di un fallimento degli attentatori, che, non potendo raggiungere Israele, non hanno esitato a uccidere anche i palestinesi fermi al check point pur di colpire degli israeliani). A differenza di quella delle vittime la nazionalità (palestinese) dell'attentatore non viene rilevata dal titolo. Scorrette anche la prima frase dell'articolo:
Un soldato israeliano e due palestinesi sono rimasti vittima di un attentato suicida in Cisgiordania mentre Israele bombardava il nord del Libano.
Inserire a questo punto il riferimento al bombardamento del nord del Libano è scorretto per due motivi: 1) l'azione israeliana rimane scollegata dal suo antecedente, i lanci di razzi contro l'alta Galilea che l'hanno provocata 2) viene invece collegata all'attentato, con il quale non ha nulla a che fare, suggerendo l'idea che quest'ultimo, preparato da tempo, costituisse in qualche modo una risposta alla "violenza" israeliana.
La palma della scorrettezza, come spesso accade, va al Manifesto . L'articolo di Michele Giorgio "Tulkarem, kamikaze al check point" reca il seguente sottotitolo "Uccisi un soldato israeliano e due civili palestinesi. Ancora sotto sequestro i tre britannici nella striscia di Gaza" . La scelta di sottolineare il fatto che l'israeliano era un soldato e i palestinesi civili, compiuta da un quotidiano che definisce genericamente "palestinesi" o eufemisticamente "militanti" i terroristi uccisi da Israele e che non usa qualificare come "civili" nelle sue cronache, le vittime israeliane del terrorismo, non è casuale, né neutrale. Serve a distinguere tra vittime di serie a e vittime di serie b. Di seguito, riportiamo il tsto dell'articolo, scorretto fin dalla prima frase:
Un soldato israeliano e due palestinesi sono rimasti uccisi ieri mattina in un attentato suicida avvenuto a qualche chilometro da Tulkarem, una delle città della Cisgiordania più penalizzate dal «muro di separazione».
La "penalizzazione" imposta a Tulkarem dal "muro di separazione" è qui presentata come la causa, se non la giustificazione, dell'attentato. Ma ciò è assurdo, dato che la barriera difensiva è satata eretta proprio per fermare gli attentati che già avenivano.
Nelle stesse ore Israele bombardava il nord della Striscia di Gaza dove ha creato una zona-cuscinetto allo scopo, afferma, di impedire il lancio di razzi palestinesi Qassam.
Mettere in dubbio gli scopo dichiarati da Israele è in questo caso totalmente ingiustificato. Nessuno, infatti, potrebbe negare che i lanci di razzi siano stati compiuti.
Il kamikaze ha colpito ad un posto di blocco «volante» che, secondo quanto ha riferito la radio israeliana, l'esercito aveva allestito proprio dietro una segnalazione dell'intelligence.
Una segnalazione di cosa? Oltre a mettere in dubbio, secondo il suo riflesso condizionato, l'affermazione della fonte israeliana, in questo passaggio dell'articolo Giorgio fornisce un'informazione incompleta. La segnalazione riguardava un attentato. Lo si può facilmente immaginare, certo, ma, intanto, nella sua cronaca Giorgio non l'ha scritto.
L'esplosione ha causato anche il ferimento di altri tre soldati e cinque palestinesi. L'attentatore si trovava con altri palestinesi a bordo di un'auto fermata al posto di blocco. Una volta sceso dal veicolo insieme agli altri passeggeri, l'uomo si è fatto esplodere, uccidendo il militare e due passeggeri. «I soldati hanno chiesto a uno dei passeggeri di aprire il suo cappotto, quando c'è stata una forte esplosione», ha raccontato un testimone, Fadi Merhi, che si trovava a bordo di un'altra auto ferma al check-point. Ieri sera non era ancora giunta una rivendicazione ma si pensava ad un'azione del Jihad islami, responsabile degli ultimi cinque attentati kamikaze condotti in Israele. L'ultimo risale allo scorso 5 dicembre quando un attivista del Jihad si fece esplodere in un centro commerciale di Netanya uccidendo cinque israeliani.
Ma esplosioni ci sono state anche a Gaza dove ieri sono proseguiti si bombardamenti sulla «zona cuscinetto» imposta, dal tardo pomeriggio di ieri, da Israele. Il vicepremier, Ehud Olmert, ha spiegato che l'area interdetta continuerà «tutto il tempo necessario a garantire che gli attacchi (palestinesi) con razzi contro di noi si riducano e spariscano». La zona proibita a civili e soldati palestinesi si estende nell'area che, prima del ritiro, ospitava le colonie ebraiche di Dugit, Eley Sinai e Nissanit, nella parte settentrionale di Gaza: è lunga circa 6 chilometri e profonda 2-2,7 (circa 16 chilometri quadri). La mossa israeliana ha generato scompiglio in casa palestinese dove si moltiplicano ora le accuse al presidente Abu Mazen, partito per un tour diplomatico in varie capitali arabe, a meno di un mese dalle elezioni legislative del 25 gennaio. Di pari passo cresce la credibilità del movimento islamico Hamas.
Ieri sono proseguite, febbrili, le trattative per il rilascio dei tre cittadini britannici rapiti al valico di Rafah, al confine con l'Egitto.
Le forze di sicurezza palestinesi hanno aumentato i posti di blocco stradali nel tentativo di allargare le ricerche senza però ottenere risultati. I tre ostaggi sono la 25enne Kate Burton, operatrice del Centro per i Diritti Umani `Al Mezan', e i suoi genitori. Ma sia i funzionari palestinesi che diplomatici britannici accorsi a Gaza hanno oggi ammesso di non «essere vicini alla liberazione dei rapiti». Le forze di sicurezza palestinesi hanno spiegato di essere in contatto con gruppi armati, ma di non aver identificato il nascondiglio nel quale la famiglia viene tenuta in ostaggio. Anche i diplomatici britannici sostengono di essere in stretto contatto con i palestinesi: «Siamo abbastanza soddisfatti di come le cose stanno andando, ma i tre connazionali non sono vicini alla liberazione», hanno detto. Decine di palestinesi sono scesi in strada ieri a Gaza City per chiedere il rilascio della ragazza. Anche un portavoce di Hamas a Gaza, Sami Abu Zuhri, ha condannato il rapimento. Sempre ieri una sparatoria tra famiglie rivali ha provocato la morte di un poliziotto e di un altro uomo a Gaza. Le violenze sono scoppiate quando un componente di una delle due famiglie è stato arrestato dalla polizia
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Corriere della Sera di Europa e Il Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@corriere.it; lettere@europaquotidiano.it ; redazione@ilmanifesto.it