"Luce, non fuoco"
davanti all'ambasciata iraniana a Roma, in difesa del diritto all'esistenza di Israele e della libertà
Testata: Corriere della Sera
Data: 29/12/2005
Pagina: 14
Autore: Andrea Garibaldi
Titolo: Gli ebrei di Roma: «Portiamo luce, non fuoco»

Una cronaca della celebrazione di Hannukkah davanti all'ambasciata iraniana a Roma, dal Corriere della Sera di giovedì 29 dicembre 2005. Ecco il testo: 

ROMA - Dice il rabbino di Roma Riccardo Di Segni che sono venuti «a portare luce, non fuoco». Gli ebrei romani, cinquanta, portano luce e non fuoco davanti all'ambasciata dell'Iran, sulla via Nomentana, civico 361, o meglio a cento metri di distanza, su uno spartitraffico, motivi di sicurezza. «Facciamo tutto questo — continua il rabbino — alla faccia di chi dice che siamo integralisti», e ce l'ha con Gad Lerner, il quale sul Corriere della Sera di ieri condannava manifestazioni «che mescolano preghiera a protesta politica, oggettivamente integraliste». Il rabbino Di Segni ripete che «questa non è una manifestazione».
La «non manifestazione» comincia con il suo arrivo, poco dopo le 18 e 30. Sullo spartitraffico è stata sistemata una hanukkiah, lampada a a otto bracci, dato che tutto trae origine da qui, in questi giorni si celebra la festa di Hanukkah,
in ricordo della rivolta degli ebrei contro Antioco di Siria che voleva imporre la religione dei greci e del «miracolo », durante quella rivolta, di una lampada che rimase accesa per otto giorni con una boccetta d'olio. La resistenza e la luce, quindi. «Questa — dice Riccardo Pacifici, vicepresidente della comunità ebraica romana — è una piccola iniziativa del mondo ebraico». Qui nasce dal «Movimento culturale studenti ebrei». «Un messaggio — spiega Pacifici — rivolto al popolo iraniano, per scaldare i cuori e illuminare le menti, affinché possano conquistare la libertà da una teocrazia malefica, pericolosa per l'intera umanità». Il riferimento è ai pronunciamenti del presidente iraniano Ahmadinejad, contro il diritto di Israele ad esistere, contro la veridicità dell'Olocausto.
Il rabbino racconta una storia: «Un tempo durante Hanukkah ogni ebreo metteva un lumino fuori dalla porta. In Israele le strade erano strette e capitava che un asino col suo carico di paglia urtasse il lumino e la paglia prendesse fuoco. I devoti dicevano: se mettiamo la luce fuori rischiamo l'incidente, se non la mettiamo veniamo meno alle regole religiose... Ma la legge ebraica diede torto ai padroni dei lumini, perché devono rispettare il precetto, ma sorvegliare che non accada nulla agli altri: noi portiamo al mondo luce e non fuoco...». All'arrivo, Di Segni chiede che sia tolta ogni bandiera, ce n'è una d'Europa, un'altra d'Israele. Ammainarle tutte meno una, la bandiera dell'Iran, verde, bianca e rossa. Ebrei che sventolano il simbolo di un Paese con un governo nemico. La bandiera però non ha sul bianco le lune crescenti con la spada nel mezzo, forma stilizzata della parola Allah, introdotta nel 1980.
Breve è la cerimonia dell'accensione di cinque degli otto lumi della lampada
hanukkiah (oggi è il quinto di otto giorni di festa). Accendono Mario Limentani e Giuseppe Di Porto, ex deportati, accende Eitan Docanian, ebreo nato a Teheran, accendono Di Segni e il presidente della Provincia Enrico Gasbarra. Mentre il presidente della comunità ebraica romana, Leone Pasermann, dice che Hanukkah non è una festa religiosa, il rabbino rivendica che «non esiste ebraismo senza simboli religiosi», ma ribadisce che «questa non è una manifestazione, è la dimostrazione che esistiamo contro chi vuole negare il nostro passato e il nostro futuro».

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