Minimizzare la minaccia iraniana
con omissioni, ambiguità, sospetti infondati
Testata:
Data: 15/12/2005
Pagina: 14
Autore: Farian Sabahi - Giampaolo Cadalanu
Titolo: Chi suggerisce al piccolo presidente? - E' un'estremista ma conta poco, A Teheran comendano i Guardiani
LA STAMPA di giovedì 15 dicembre 2005 affida a Farian Sabahi il commento delle dichiarazioni antisemite di Ahmadinejad.
La sua tesi è che non c' molto da preoccuparsi: non è Ahmadinejad a comandare davvero in Iran, ma la "guida suprema" Khamenei.
Sostanzialmente vero, con il piccolo particolare che Khamenei non solo non prende le distanza da Ahmadinejad, ma rilancia anche. Molto recentemente, invitando il terrorismo palestinese alla jihad a oltranza contro Israele.
Anche l'altro argomento della Sabahi, l'Iran non è l'unico paese ad adottare una retorica aggressiva e antisemita verso Israele, ma degli altri ci si proccupa molto meno, è fondato su una verità e su un' omissione. L averità è che anche Siria e Arabia Saudita, per fare due esempi, diffondono odio verso Israele. L'omissione è che l'Iran è l'unico paese al mondo che ,perseguendo apertamente la distruzione di un altro stato, sia prossimo a dotarsi di un armamento nucleare.
Prevedibilmente,invece che su questo "particolare" Sabahi preferisce rilanciare speculazioni sugli interessi petroliferi che giustificherebbero l'alto livello di attenzione riservato, a suo dire, all'Iran rispetto agli altri stati antisemiti del Medio Oriente.

Ecco il testo:

L’Olocausto, «una leggenda». Dopo aver detto, a ottobre, che Israele andava cancellato dalle mappe geografiche, dopo averlo defnito, l’8 dicembre, un «cancro» che bisogna estirpare dal Medio Oriente, ieri il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha relegato all’immaginario popolare l’orrore nazista, aggiungendo come questo falso credo per l'Occidente conti più della fede. «Nei loro Paesi - ha detto in un discorso nella città orientale di Zahedan, trasmesso in diretta dalla tv di Stato - se qualcuno dice qualcosa contro la religione e Dio non scuscita reazioni così forti come chi mette in dubbio la leggenda dell'Olocausto. Se qualcuno osa criticare il mito dell'eccidio degli ebrei, le casse di risonanza sioniste e i governi al loro soldo cominceranno a protestare»». Ha poi invitato Europa e Usa a mettere a disposizione un pezzo di terra, in Canada o in Alaska, perché «gli ebrei possano creare il loro Stato».
Un attacco condito da nuove minacce sullo sviluppo del progetto nucleare. A pochi giorrni dall’inizio dei colloqui concordati dai mediatori Ue per tentare di ottenere da Teheran garanzie sull’uso pacifico della tecnologia atomica, Ahmadinejad ha annunciato: «Siate certi che non indietreggerò di una virgola sui nostri legittimi diritti in materia di nucleare. Abbiamo fatto l'esperienza del vostro comportamento, non ci faremo più incantatre dalle vostre propagande menzognere».
Dichiarazioni accolte da un coro unanime di sdegno. La prima reazione è arrivata da Israele, che ha invitato la comunità internazionale ad «aprire gli occhi» sulla gravità della minaccia rappresentata dal regime di Teheran. Condanne senza appello dalla Comunità europea e dagli Stati Uniti Il Cancelliere tedesco Angela Merkel intende impegnarsi per una censura comune da parte del vertice europeo che inizia oggi a Bruxelles e non si esclude un passo presso l’Onu. In Italia Gianfranco Fini ha detto che l’accaduto «deve sempre di più motivare la comunità internazionale a una posizione molto ferma». Il ministro degli Esteri ha poi respinto come inaccettabili le affermazioni di un giornale iraniano secondo cui Teheran potrebbe bloccare le importazioni italiane come rappresaglia per la decisione del Tribunale civile di Roma che ha bloccato i fondi iraniani nella filiale capitolina della Banca nazionale del lavoro.
[FIRMA]Farian Sabahi
Perché il presidente iraniano Ahmadinejad, eletto a giugno, prende di mira lo Stato di Israele, dichiarandolo dapprima ottobre «un tumore», un'entità da «cancellare dalla cartina geografica» e giungendo persino, in questi giorni, a negare l'Olocausto? La stampa iraniana reagisce positivamente alle dichiarazioni del presidente, definendo le sue osservazioni «logiche e meno passive di quelle del governo precedente». Molti iraniani - sia in patria sia nella diaspora che coinvolge milioni di individui - rabbrividiscono invece di fronte a un presidente così poco diplomatico, che peggiora ulteriormente l'immagine dell'Iran nel mondo, e ricordano i tempi di Ciro il Grande quando l'Iran dava riparo agli ebrei.
Il problema è nella costituzione della Repubblica Islamica, dove si legge che l'Iran rifiuta lo Stato di Israele e dà il proprio appoggio al popolo palestinese. Sebbene inseriti nella costituzione della Repubblica Islamica, questi punti sono sempre stati una questione più di retorica che di sostanza. Negli anni Ottanta mentre le Guardie rivoluzionarie iraniane aiutavano la Siria a formare il movimento Hezbollah in Libano, il governo iraniano acquistava, attraverso una triangolazione con Israele, armi americane da usare nella guerra contro l'Iraq di Saddam.
Durante la presidenza del riformatore Khatami (1997-2005) avevamo sentito parlare di dialogo tra civiltà. Era ovvio che Khatami non condividesse il rifiuto dei falchi verso una soluzione con due Stati. E in occasione del funerale del Papa era stato visto mentre stringeva la mano al presidente israeliano, nato e cresciuto nella stessa cittadina iraniana da cui proviene Khatami. All'Occidente sembrava che la retorica contro Israele fosse finita nel dimenticatoio.
Anche ai tempi del presidente riformatore sulla televisione di Stato iraniana continuavano però a passare messaggi verbalmente violenti contro Israele e contro il premier Ariel Sharon. Il telegiornale apriva spesso con il numero di morti e feriti nei Territori occupati e, quando veniva inquadrato il primo ministro israeliano, appariva una stella di fuoco che lo divorava. Tutto questo sulla televisione di Stato (non sulle emittenti via satellite, che trasmettono in persiano dalla California), controllata dal leader supremo Ali Khamenei. È quest'ultimo, e non il neopresidente che molti si ostinano a definire capo di Stato, colui che è veramente al potere, visto che controlla le forze armate e i paramilitari - le guardie rivoluzionarie (pasdaran) e le milizie islamiche (baisji), e i mezzi di comunicazione e ha l'ultima parola su tutte le questioni nazionali e anche di politica estera. A conti fatti, Ahmadinejad è in carica ma non al potere, al punto da non riuscire nemmeno nominare il ministro del petrolio senza l'accordo del parlamento.
Le prime tre candidature a questa importante carica (l'80% del budget iraniano dipende dal petrolio) sono state rifiutate dal parlamento e, in particolare, proprio da quella fazione conservatrice che dovrebbe essere invece in sintonia con Ahmadinejad. Pur elevatosi nella gerarchia sociale in seguito al matrimonio con la figlia del potente ayatollah Jannati, il neopresidente è figlio di un umile fabbro. Apparentemente la sua elezione dimostra quindi che gli ideali populisti della rivoluzione islamica del 1979 sono diventati realtà.
Il problema è che in ventisei anni l'Iran è molto cambiato e la classe dirigente, composta di mercanti e membri del clero sciita, si è arricchita. Con le sue dichiarazioni, e soprattutto con le purghe nei ministeri e ai massimi livelli del sistema bancario allo scopo di combattere la corruzione, Ahmadinejad fa vacillare delicati equilibri. Nonostante le ripercussioni a livello internazionale delle sue dichiarazioni, Ahmadinejad non ha comunque il potere di attaccare Israele. A comandare sono infatti, oltre al leader supremo, i membri del clero e i giuristi che siedono in alcuni organi non elettivi. E l'ultima parola spetta sempre, in caso di contenzioso tra i vari organi, al Consiglio per l'interesse nazionale presieduto dal potente Hashemi Rafsanjani.
Nel complesso sistema politico lasciato in eredità da Khomeini alla sua morte, nel 1989, nessun processo politico è veramente democratico. La stessa elezione di Ahmadinejad è avvenuta dopo che il Consiglio dei guardiani (composto da dodici conservatori) ha selezionati otto persone tra gli oltre mille candidati. Il requisito fondamentale, oltre a essere di sesso maschile, è l'aderenza ai principi della rivoluzione e alla costituzione, tra cui figura proprio il rifiuto dello Stato di Israele e l'appoggio al popolo palestinese.
Infine, Ahmadinejad non è il solo leader mediorientale a inveire contro Israele: si tratta di una retorica utilizzata occasionalmente anche dai capi di Stato di alcuni Paesi arabi, persino di quelli vicini all'Occidente. Lo fanno a fini interni, ma non fanno notizia. Sull'Iran, invece, i riflettori sono accesi e ogni pretesto è buono per fare pressione su Teheran a causa del nucleare. Ma anche per l'intenzione degli ayatollah di aprire nel 2006 un mercato di scambio internazionale per il petrolio in euro. Considerato l'interesse già manifestato dalla Russia, dal Venezuela e dalla stessa Cina - e la minaccia che la borsa del greggio in euro rappresenta per la supremazia del dollaro - ci sono molte buone ragioni per tenere l'Iran sotto pressione.
Anche per Shirin Ebadi, intervistata da Giampaolo Cadalanu su REPUBBLICA, ahamdinejad "conta pocoù" a Teheran.
L'ipotesi di trasferire gli ebrei in Alaska, inoltre "è chiarammnte impossibile", e con questo il premio nobel per la pace chiude la questione, senza ggiungere una sola parola di condanna.
Sul programma nucleare iraniano la Ebadi è altrettanto ambigua, dichiarando
L'Iran non ha "bisogno" della bomba atomica, ma neppure Israele".
Israele, comunque, non minaccia l'esistenza di nessuno, non vuole distruggere nessuno Stato.

Insomma un'intervista a una dissidente, per latro criticata per il suo moderatismo da molti oppositori della teocrazia iraniana, meno famosi e meno intervistati di lei, piuttosto allineata alle posizioni di politica estera del regime da cui teoricamente dissente.

Ecco il testo:

ROMA - Shirin Ebadi non ha voglia di parlare dell´alta politica iraniana e si schermisce: «Chiedetemi dei diritti umani nel mio Paese, fatemi domande sulla condizione delle donne: non sono una politica militante», dice. Primo magistrato donna nella storia dell´Iran, era stata costretta a dimettersi nel 1979, quando le leggi imposte dagli ayatollah avevano reso inammissibile che fosse lei a giudicare imputati uomini. Dopo aver abbracciato l´avvocatura, si è battuta per i diritti umani ed ha ottenuto il premio Nobel per la pace nel 2003: oggi la Ebadi è il simbolo della sfida al regime da parte della società civile. Arrivata a Roma per il convegno sulla condizione femminile organizzato dal "Telefono Rosa", non ha voluto prendere una posizione "dura" sulle uscite di Ahmadinejad.
Come giudica il discorso del presidente?
«Bisogna pensare che secondo la nostra Costituzione il presidente non ha molti poteri. Forse per questo usa accenti così radicali. Ed è per questo motivo che anche Mohamed Khatami non è riuscito a realizzare tanti progetti di riforma. Il potere vero ce l´ha il Consiglio dei guardiani».
Ma che cosa pensa delle sue idee sull´Olocausto e su Israele?
«Non voglio dare un commento politico su quello che il presidente ha detto. Posso solo dire che per me, come cittadina, è sbagliato».
E l´ipotesi di "trasferire" il popolo ebraico, magari in Alaska?
(sorride) «È chiaramente impossibile».
Secondo lei, l´Iran è cambiato con la presidenza Ahmadinejad?
«La nostra società è più chiusa, il ruolo delle donne più represso: ha voluto persino censurare tutti i siti Internet che parlavano della condizione femminile».
A proposito di repressione: qual è la situazione del giornalista dissidente Akbar Ganji, che fa lo sciopero della fame in carcere? Ha potuto vederlo?
«La situazione è pessima. No, da quando rifiuta il cibo non l´ho potuto incontrare. Ma so che sta molto male».
Chiusura su donne e dissidenti, dichiarazioni estremamente aggressive in politica estera: l´impressione è che il suo presidente voglia diventare un punto di riferimento internazionale per l´Islam radicale. Ma quali sono i motivi, secondo lei? Come si spiega questa scelta?
«Il mondo musulmano non è tutto su quelle posizioni. C´è anche un Islam moderato: Khatami lo ha fatto vedere. Come mi spiego la linea di Ahmadinejad? Non me la spiego».
Secondo lei, gli iraniani sono vicini al presidente? In altre parole, la sua lotta è sostenuta dal popolo?
«Non sono una sociologa, non sono in grado di valutare l´intero Paese. Preferisco dirle che io personalmente non sono sulle sue posizioni. A suo tempo ho votato per Khatami, rimpiango la sua presidenza».
Dopo queste prese di posizione, potrebbe aumentare il rischio di un intervento americano in Iran? Ha paura di una nuova guerra?
«Non credo che dopo la guerra in Iraq gli Usa avranno il coraggio di attaccare anche l´Iran».
Però c´è sicuramente il pericolo di un maggiore isolamento internazionale per il suo Paese.
«Sì, questo pericolo c´è, se il presidente insiste sulla sua linea estremista».
Che ne pensa del programma nucleare che Ahmadinejad difende a spada tratta?
«Credo che nessun Paese abbia "bisogno" della bomba atomica. Non ne ha bisogno l´Iran, ma nemmeno Israele».

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