Riportiamo dal FOGLIO di mercoledì 14 dicembre 2005:New York. "Munich", il nuovo film di Steven
Spielberg sulla reazione israeliana alla
strage dei suoi atleti compiuta da un commando
palestinese alle Olimpiadi del 1972,
non è ancora nelle sale americane – uscirà
il 23 dicembre – ma ha già cominciato a far
discutere commentatori e analisti di politica
estera. Ieri il film è stato proiettato nelle
sale vellutate del Council on Foreign Relations
di New York a un pubblico di esperti
di questioni israelo-palestinesi guidati da
Dennis Ross, l’ex inviato di Bill Clinton in
medio oriente nonché consulente della produzione.
"Munich" racconta la storia del
gruppo di agenti israeliani incaricati dal
premier laburista Golda Meir di uccidere
uno per uno i responsabili, anche al costo di
sacrificare i valori della propria civiltà.
Chi l’ha visto sostiene che sia un gran bel
film d’azione, ma Spielberg si pone il problema
della reale efficacia di una politica
che risponde alla violenza con altra violenza.
Tanto che il protagonista, ovvero il capo
degli agenti israeliani, alla fine non soltanto
non è più convinto della sua missione, ma
neppure del sionismo e di Israele stesso. La
politica giusta, ha detto Spielberg a Time,
dovrebbe essere quella del dialogo.
L’editorialista del New York Times David
Brooks ha scritto che "Munich" è un "nuovo
tipo di film anti guerra" e, in questo, innovativo,
sofisticato e intelligente, "ma, quando
diventa politico, Spielberg deve distorcere
la realtà per farla adattare ai suoi preconcetti.
In primo luogo, scegliendo una storia
ambientata nel 1972, Spielberg consente
a se stesso di ignorare il veleno che permea
il medio oriente: il radicalismo islamico. Nel
medio oriente di Spielberg non ci sono né
Hamas né Jihad islamico. Non c’è alcun fervente
antisemita, nessun negazionista dell’Olocausto
come l’attuale presidente dell’Iran,
nessun zelota che vuole sterminare gli
israeliani. Soprattutto non c’è il male. E questo
è il centro della favola di Spielberg. Nella
sua rappresentazione della realtà non ci
sono persone così dedicate a un’ideologia
assassina e quindi impermeabili al tipo di
compromesso e di dialogo in cui Spielberg
nutre una gran fiducia. Non ammettendo l’esistenza
del male, come esiste realmente,
Spielberg racconta una realtà sbagliata.
Comprensibilmente non vuole rappresentare
i terroristi palestinesi come i cattivi dei
cartoni, ma non li ritrae per niente".
Secondo Brooks, l’agente israeliano che
nel film si pone i dubbi sulla missione e sul
sionismo è l’immagine americana di ciò che
un eroe israeliano dovrebbe essere, ma i veri
combattenti israeliani tendono a essere
più duri perché invece sono a conoscenza
dell’ideologia sterminatrice dei loro nemici.
Brooks conclude sostenendo che "nel medio
oriente di Spielberg l’unico modo di ottenere
la pace è rinunciare alla violenza, ma nel
medio oriente reale l’unico modo di ottenere
la pace è attraverso una vittoria militare
sui fanatici accompagnata da compromessi
tra gli elementi ragionevoli delle due parti".
New Republic: "Non ha a cuore Israele"
Il console israeliano a Los Angeles ha accusato
il film di fare "un’equazione morale"
tra i terroristi e gli israeliani. Ma la critica
più dura è di Leon Wieseltier, critico del settimanale
liberal, ma fortemente pro Israele,
e spiega il sionismo soltanto come antiantisemitismo:
"La necessità dello Stato
ebraico è riconosciuta, ma la necessità è una
forma di legittimità molto debole". Secondo
Wieselter, nel film si vede la mano dello sceneggiatore
Tony Kushner, "il perfetto progressista
dottrinario" (l’anno scorso disse
che la creazione di Israele è stata "un errore").
Ma la cosa peggiore, secondo Wieselter,
è che il film "preferisce discutere l’antiterrorismo
anziché il terrorismo, o pensa sia la
stessa discussione. Questa è un’opinione che
può avere soltanto chi non è responsabile
della sicurezza di altre persone".
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