Un liberal per il cambio di regime in Iraq
conversazione di Christian Rocca con Christopher Hitchens
Testata:
Data: 13/12/2005
Pagina: 3
Autore: Christian Rocca
Titolo: Hitchens ci spiega l'islamofascismo e la mollezza della sinistra
A pagina 3 dell'inserto IL FOGLIO di martedì 13 dicembre 2005 pubblica a pagina 3 un articolo di Christian Rocca che riportiamo:
Washington. Christopher Hitchens è il
saggista e scrittore angloamericano che
per primo ha definito "fascisti islamici" i
terroristi e i fondamentalisti musulmani
che l’11 settembre 2001 hanno attaccato gli
Stati Uniti. Nel suo primo articolo pubblicato
dopo la caduta delle Torri scrisse che
ciò cui avevamo assistito era un atto di "fascismo
con un volto islamico", recuperando
una famosa espressione di Alexander
Dubcek sul "socialismo dal volto umano"
poi ripresa da Susan Sontag per descrivere
la repressione sovietica in Polonia come
una forma di "fascismo dal volto umano".
Hitchens, detto Hitch dagli amici, è
uno dei più vivaci sostenitori della politica
del regime change in Iraq, che sostiene
da sinistra.
Nel corso di una lunga intervista col Foglio
nella sua bella, borghese e bohémienne
casa di Washington, Hitchens ha fumato
una sigaretta dietro l’altra ma non ha
toccato un goccio di whisky, solo caffè, nonostante
i suoi avversari ormai ricorrano
spesso agli insulti di natura alcolica per ribattere
ai suoi argomenti. Hitchens ha tutto
dell’uomo di sinistra: il pedigree, l’aspetto,
il linguaggio e le frequentazioni. Il
suo "eroe intellettuale" è George Orwell.
Gore Vidal lo considerava il suo erede. Susan
Sontag era la sua amica del cuore. Oggi
i suoi compagni sono i rivoluzionari del
Kurdistan e dell’Iraq liberato, uno su tutti
Kanan Makiya, ma anche Salman Rushdie,
Martin Amis e Ian McEwan, scrittori liberal
e di sinistra che, come lui, per ragioni
diverse, hanno affrontato il fondamentalismo
islamico. Di Rushdie si sa. Martin
Amis sta ultimando un romanzo sulla dimensione
sessuofoba dei fondamentalisti
islamici, ossessionati dalla repressione
sessuale e dall’odio per la donna, ma anche
affascinati dalle vergini e dalla purezza
femminile. McEwan, invece, con il suo
ultimo romanzo "Sabato", si è immedesimato
nel tipico liberal europeo, catturandone
la schizofrenia politica rispetto alla
guerra e al regime di Saddam.
La mattina dell’11 settembre 2001, Hitchens
si trovava sulla costa occidentale degli
Stati Uniti, nello Stato di Washington,
per ricordare, anzi per denunciare, l’11
settembre fino ad allora più famoso della
storia recente americana: quello del 1973,
ovvero il giorno del golpe con cui il generale
Augusto Pinochet, non ostacolato dalla
Casa Bianca, rimosse il presidente cileno
Salvador Allende per fermare l’espansionismo sovietico in Sudamerica.
Nell’attico dove vive con la moglie Carol
Blue e con la figlia Antonia, Hitchens racconta
al Foglio che la sera del 10 settembre
2001 aveva tenuto un discorso alla Fondazione
dedicata a Henry Scoop Jackson, l’ex
deputato e senatore democratico ma in
realtà neoconservatore alle cui dipendenze
si fecero le ossa Richard Perle, Paul
Wolfowitz ed Elliot Abrahms. Hitchens è un
intellettuale marxista, uno che chiama i
suoi amici "compagni", uno che ha scritto
libri contro Madre Teresa, uno che a quel
tempo aveva una rubrica su The Nation, la
rivista politica dell’ortodossia di sinistra
americana. "Rimasi sorpreso – dice Hitchens
– quando mi chiamarono a presentare
il libro con cui chiedevo l’incriminazione
e l’arresto di Henry Kissinger per crimini
di guerra, ma poi scoprii che Jackson in
realtà odiava Kissinger perché aveva suggerito
al presidente Gerald Ford di non ricevere
alla Casa Bianca il dissidente sovietico
Aleksandr Solgenitsin perché avrebbe
potuto infastidire Breznev. Jackson, inoltre,
si scontrava con Kissinger perché il segretario
di Stato giudicava sbagliata la politica
volta a liberare gli ebrei russi, i refuznik,
in quanto avrebbe nuociuto alla distensione
con i sovietici. Esattamente la stessa cosa
che dicono oggi i realisti a proposito della
democrazia in Iraq e della politica del
regime change", ricorda Hitchens.
Hitchens non può credere che ci siano
compagni di sinistra incapaci di vedere la
differenza tra questi due 11 settembre: "In
Cile gli Stati Uniti aiutarono a rimuovere
un governo eletto e a distruggere un sistema
democratico, sostituendolo con una forma
odiosa di dittatura militare. Un crimine
che in quegli anni compirono anche in Grecia,
in Indonesia, in Uruguay, in Brasile e a
Cipro. Ora, invece, hanno fatto il contrario:
hanno sostituito due regimi totalitari e fascisti
con governi eletti democratici". Hitchens
ricorda anche il caso di Timor Est, "il
genocidio dimenticato dei cristiani, la battaglia
più importante per la sinistra americana
negli anni Novanta, tanto che perfino
Noam Chomsky chiese l’intervento armato,
poi arrivato grazie alle truppe americane e
australiane. Ebbene, il leader di quella resistenza,
José Ramos-Horta, poi premio Nobel
per la pace, si è detto subito favorevole
alla rimozione di Saddam, proprio perché
il caso iracheno era uguale a quello di Timor
Est. La stessa cosa è stata sostenuta da
Adam Michnik, uno dei leader della resistenza
polacca. Invece molti credono che
gli Stati Uniti siano il pericolo numero uno
del mondo, guerrafondai, imperialisti e
peggiori di chiunque altro. Questo odio antiamericano
c’è sempre, non importa chi
sia il presidente. In Europa non sopportano
che, sull’Iraq, l’America abbia deciso da
sola, ma non si rendono conto che avrebbe
deciso da sola anche se la scelta fosse stata
a favore dell’appeasement di Saddam".
Il radicalismo islamista e il fascismo nazionalista,
nella definizione di Hitchens,
coincidono: "Condividono il culto del leader
e il culto della morte che in qualche caso
è positivo perché autodistruttivo". Secondo
Hitch, "sono entrambe ideologie irrazionali,
estremamente violente, caratterizzate
da un odio fanatico verso il popolo
ebraico e volte a ricreare un glorioso passato
perduto: il califfato". Insieme con Paul
Berman, Hitchens è l’unico intellettuale di
sinistra ad aver notato che la settimana
scorsa con un solo gesto e con una sola frase,
Saddam Hussein abbia confermato questa
identità ideologica quando al suo processo,
col Corano in mano, si è paragonato
orgogliosamente a Mussolini e alla resistenza
dei repubblichini di Salò nei confronti
dell’occupazione militare alleata che
liberò l’Italia dal nazifascismo.
La battaglia di Hitchens è interna alla sinistra,
anche se ormai se ne è allontanato
al punto da essere ormai accusato di essere
un neoconservatore: "Non ho nessun legame
di partito, ma continuo a pensare come
un marxista. Se mi chiedono se sono diventato
un neoconservatore, faccio prima a
rispondere di sì. In realtà i neocon non sono
conservatori sotto alcun punto di vista.
La definizione nacque come insulto. Li
odiavano, o se preferisci ci odiano, perché
siamo radicali, perché vediamo una possibilità
di pace, di progresso e di giustizia,
nel cambiamento di uno status quo ingiusto
e instabile. Questo non è conservatorismo.
I neoconservatori fecero parte della coalizione
che salvò la Bosnia e il Kosovo dal
nazionalsocialismo di Slobodan Milosevic,
un’ideologia anche in quel caso sostenuta
da buona parte della sinistra che oggi non
avrebbe cacciato Saddam. I neocon dissero
che non si poteva consentire una pulizia etnica
nel pieno centro dell’Europa, una posizione
pragmatica oltre che di principio. E
in quel caso non c’entravano nulla né Israele
né il petrolio, come amano dire i loro avversari".
L’origine dell’impegno anti Saddam di
Hitchens si trova nei suoi decennali rapporti
con la sinistra irachena e curda: "Kanan
Makiya è il Dubcek della regione, l’uomo
che ha descritto con precisione la natura
dello Stato baathista, il mix tra socialismo
e fascismo saddamita. Ma anche il primo
presidente eletto dell’Iraq, Jalal Talabani,
è un uomo di sinistra. Il suo partito fa
parte dell’Internazionale socialista. Anche il Partito comunista iracheno è dentro il
processo democratico avviato con il cambiamento
di regime. I socialisti dovrebbero
esprimere solidarietà ai loro compagni,
specie a chi in questi anni ha combattuto
davvero una rivoluzione. Questi sono i nuovi
partigiani, invece la sinistra preferisce
usare la definizione per gli uomini di Zarqawi"
(Hitchens non sapeva delle parole di
Piero Fassino su questo punto, ne ha voluto
sapere di più e se ne è rallegrato).
Ma ancora prima dell’Iraq, è stata la
fatwa dell’Ayatollah Khomeini contro Rushdie
del 1989 ad aprire gli occhi a Hitchens:
"Credevo che la sinistra avesse intuito
la natura fascista del fondamentalismo
islamico col caso Rushdie. Credevo
avesse capito già allora che la rivoluzione
islamista non era ribellione degli oppressi,
ma un movimento degli oppressori. Che
non era battaglia antimperialista, ma volontà
di creare un impero anzi di ristabilire
un impero perduto. Che non era una protesta
contro la povertà e la disoccupazione,
ma la causa della povertà e della mancanza
di lavoro. Eppure la sinistra sottovaluta
questo nemico, minimizza. Crede che il più
importante nemico del progresso umano
sia la globalizzazione, cioè gli Stati Uniti
d’America. Conosco molte persone di sinistra
che mi dicono: ‘Ok, bin Laden non è
esattamente come Antonio Gramsci, ma
meglio un movimento di protesta che nessuna
protesta’. Fosse dipeso da loro non
avrebbero destituito nemmeno il regime
dei Talebani. E’ un mistero. E’ un modo corrotto
di pensare che si spiega soltanto con
l’antimericanismo. Tra l’altro costoro non si
accorgono che ogni fascista d’Europa è contrario
alla ‘guerra americana’ esattamente
come loro. E contrari sono anche i più reazionari
tra i conservatori, da Brent Scowcroft,
a Bush senior, a Kissinger, a Pat Buchanan
fino al neonazista David Duke".
Hitchens, inoltre, sostiene che parecchi
protagonisti del movimento contro la guerra
in Iraq non siano affatto pacifisti, ma guerrafondai schierati dall’altra parte: "Mi
dà molto fastidio quando leggo che chi si
oppone alla politica bushiana di regime
change è contrario alla guerra. Sarebbe vero
se fossero pacifisti, ma non lo sono. In
realtà sono favorevoli, fortemente favorevoli
alla guerra, ma parteggiano per gli avversari.
Ramsey Clarke, per esempio. Ieri era
l’avvocato di Milosevic, oggi di Saddam. In
passato, come dice lui stesso, è stato ex ministro
della Giustizia di Lyndon B. Johnson.
Io mi vergognerei di essere stato ministro
di Johnson, lo terrei segreto, farei una plastica
facciale e lascerei il paese, invece lui
ne è orgoglioso. Saddam ovviamente ha diritto
a un buon avvocato, ma mentre l’ex
dittatore ha detto di non aver ordinato il
massacro degli sciiti di cui è accusato, la
prima dichiarazione di Clarke è stata di
giustificazione di quel massacro, perché a
quel tempo Saddam stava combattendo una
guerra contro gli sciiti iraniani, dimenticandosi
che fu proprio lui a invadere l’Iran,
a iniziare quella guerra. Le parole di
Clarke sono parole fasciste, eppure sui
giornali è salutato come il leader dell’America
contraria alla guerra. E’ una disgrazia
e quando lo dico la gente mi chiede se sono
serio, pazzo, cattivo o ubriaco. Clarke, invece
è un buon uomo, nonostante giustifichi
la tortura, il genocidio, l’aggressione, la dittatura".
Un altro avversario di Hitchens è George
Galloway, il parlamentare inglese che il
giornalista definisce "membro del partito
Baath, membro stipendiato dell’élite
baathista, nonché membro della clientela
dell’Oil for Food organizzata da Tareq Aziz,
l’amico di papa Wojtyla". Recentemente,
aggiunge Hitchens, "Galloway è andato in
Siria a difendere gli attentati, le esplosioni,
le decapitazioni e le bombe nelle moschee,
contro l’Onu e contro la Croce Rossa. E’ andato
a Damasco a sostenere quello spazzolino
umano di Bashar al Assad, il cretino
piccolo dittatore della Siria. Questo sarebbe
pacifismo? socialismo? liberalismo? No,
è fascismo. Eppure per la stampa, Galloway
è un indipendente, un dissidente, un piccolo
David che affronta l’America-Golia".
Hitchens scrive per Vanity Fair, per
Atlantic Monthly e per Slate, prestigiose riviste
liberal, ma è noto anche per i suoi saggi.
L’ultimo è una breve biografia di Thomas
Jefferson, uno dei padri fondatori della
Repubblica americana. Secondo Hitchens,
Jefferson è un precursore della dottrina
Bush. "La rivoluzione americana è
universale,
non riguarda soltanto gli Stati
Uniti e considera le garanzie, i diritti, il
laicismo, la democrazia, la Costituzione
scritta come valori da diffondere". Queste
cose Jefferson le ha scritte in una lettera
per celebrare il cinquantesimo anniversario
della Dichiarazione d’Indipendenza,
ma Hitchens ricorda che le mise anche in
pratica: "Jefferson fu il primo presidente a
mandare truppe americane dall’altra parte
dell’Atlantico. I suoi marine piantarono
per la prima volta la bandiera a stelle e
strisce in territorio straniero e quel territorio
straniero era la Libia. Le guerre barbariche
contro l’Algeria, la Libia e la Tunisia
nacquero per fermare gli Stati schiavisti
musulmani che controllavano lo stretto
di Gibilterra e che, invocando un diritto
sancito nel Corano, gestivano il traffico di
oltre un milione e mezzo di schiavi. Jefferson
non accettò compromessi ed esportò
sulla punta della baionetta il libero commercio
nel Mediterraneo. Non cercava un
regime change, ma certamente un cambiamento
di comportamento, un cambiamento
di politica".
Jefferson è stato anche il teorico del muro
di separazione tra lo Stato e la Chiesa.
Secondo Hitchens, che sul tema di Dio e
della religione sta scrivendo un libro, "la
vera battaglia odierna è tra il laicismo e il
fanatismo religioso. La sinistra non capisce
che c’è un nemico da sconfiggere, ma
in realtà è tutto l’occidente ad apparire
stanco di questa società, a non credere che
ci sia qualcosa che davvero meriti di essere
difesa. Su questo la destra estrema e la
sinistra radicale concordano: Jerry
Falwell e Pat Robertson sostengono, così
come una parte della sinistra, che l’America
si sia meritata ciò che è successo l’11
settembre. Ora il più grande errore che
l’America cristiana può commettere è
quello di far credere che questa non sia
una guerra contro il fondamentalismo, ma
a favore. Bush può pensare di essersi salvato
grazie alle preghiera, ma sa che la sua
battaglia in Iraq e in medio oriente dipende
dai laici della regione. Più laici emergeranno,
meglio sarà per la sua politica.
Ed è affascinante vedere la vittoria dell’America
cristiana dipendere dalla vittoria
del laicismo. Il dramma della sinistra e dei
seguaci dell’illuminismo è che hanno lasciata
questa battaglia laica ai cristiani, e
ora se ne lamentano. Questa non è poltica,
è fatalismo, neutralismo".
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