Ucciso il giornalista libanese Gibran Tueni
il commento di Magdi Allam
Testata: Corriere della Sera
Data: 13/12/2005
Pagina: 42
Autore: Magdi Allam
Titolo: A Damasco un mostro a più teste
Il CORRIERE DELLA SERA pubblica un editoriale di Magdi Allam che indica chiaramente le responsabilità del regime siriano nell'ultimo delitto politico contro gli indipendentisti libanesi.

Ecco il testo:

I l regime siriano è talmente allo sbando da non saper più gestire l'assassinio di un oppositore politico libanese senza lasciarsi alle spalle pesanti sospetti e finendo per coprirsi di ridicolo.
Come è infatti possibile che, solo 24 ore prima dell'assassinio di Gibran Tueni, il presidente Assad minacci che in caso di sanzioni internazionali alla Siria «tutta la regione verrà destabilizzata e il mondo intero ne pagherà le conseguenze» e che, mezz'ora dopo l'attentato all' autobomba, il suo ministro dell'Informazione Mehdi Dakhlallah abbia avuto l'ardire di tirare in ballo Israele? «Lei sostiene che sia stato Israele? — ha reagito incredula e indignata la conduttrice della televisione Al Arabiya —, eppure molti libanesi accusano la Siria». «Ho sentito ciò che ha detto Jumblatt — ha tagliato corto il ministro —, ebbene sono io che accuso lui di complottare contro la Siria. Dietro questo attentato non ci possono essere che i nemici del popolo siriano e libanese». Tesi logore e ormai non più spendibili in un Libano che si è affrancato dal protettorato siriano dopo l'assassinio dell'ex premier Hariri il 14 febbraio scorso, più in generale in un Medio Oriente che non si sorprende di vedere in televisione i dittatori alla sbarra e i popoli in piazza e alle urne a conquistarsi la libertà e a sperimentare la democrazia.
La tesi siriana si basa sul presupposto che non sarebbe stato interesse di Damasco accrescere l'ostilità internazionale nei suoi confronti alla vigilia della convocazione del Consiglio di sicurezza dell' Onu, chiamato a ascoltare il secondo rapporto
del giudice Detlev Mehlis che indaga sull'assassinio di Hariri, favorendo così l'imposizione di sanzioni contro la Siria. Eppure solo i servizi segreti siriani e la loro propaggine tutt'ora radicata in Libano, avrebbero potuto approntare un attentato in modo così scrupoloso e devastante a solamente 24 ore dal rientro a Beirut di Tueni da Parigi, dove si era trasferito proprio perché consapevole di essere in cima alla lista nera dei nemici di Damasco da eliminare.
C'era da restare scandalizzati alla vista della faccia tosta con cui ministri, deputati e giornalisti prezzolati siriani si sono prodigati per sostenere che «l'assassinio degli oppositori non appartiene alla mentalità e non è nella tradizione della Siria»! L'elenco delle vittime eccellenti e meno eccellenti dei sicari siriani in Libano, dall'assassinio di Kamal Jumblatt nel marzo del 1977 a oggi, è sterminato.
Ma allora perché questo barbaro assassinio contro un indomito difensore della libertà di pensiero e del Libano? Perché Assad ha preannunciato di fatto l'attentato a Tueni pur sapendo che si sarebbe messo contro il mondo intero? La verità è che il regime siriano si muove come un mostro a più teste, assumendo decisioni contraddittorie e finendo per sbandare in continuazione. È un regime dilaniato al proprio interno, così come attesta il suicidio, anch'esso preordinato e preannunciato, del ministro dell'Interno Ghazi Kanaan lo scorso ottobre. È un regime che si sente in trappola visto che le indagini di Mehlis puntano molto in alto, chiamando in causa il fratello e il cognato del presidente, Maher Assad e Assef Shawkat. È un regime che ormai si comporta come se non avesse più nulla da perdere, rischiando il tutto per tutto pur di sopravvivere.
In questo contesto estremamente contraddittorio e dalle prospettive più che incerte, il regime siriano finisce inevitabilmente per commettere errori grossolani che non fanno che peggiorare la sua situazione. La speranza di Assad è che, a suon di attentati e minacce da un lato, ma anche di collaborazione nella lotta al terrorismo islamico in Iraq dall'altro, gli Stati Uniti lo grazino così come fecero con Gheddafi. Finora Bush ha giocato su tutti i tavoli, compreso quello di Assad. Auspicando uno scenario simile a quello che ha sdoganato i Fratelli Musulmani in Egitto. «Ci chiedono di saltare — ha detto Assad al New York Times riferendosi alla prospettiva democratica —, ma se saltiamo rischiamo di romperci la testa». Probabilmente ora dovrà decidersi: o salta lui o lo faranno saltare.
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