La strage di Netanya
cronache e analisi corrette
Testata:
Data: 06/12/2005
Pagina: 5
Autore: Fiamma Nirenstein - Aldo Baquis - la redazione - Tommaso De Bendetti - Umberto De Giovannangeli - la redazione - Graziano Motta
Titolo: Articoli sulla strage di Netanya
LA STAMPA di martedì 6 dicembre 2005 pubblica a pagina 5 l'analisi di Fiamma Nirenstein "Una jihad contro Abu Mazen", che riportiamo:
Anche se la gente urlava, e si scansava mentre la poliziotta rincorreva il ragazzo con lo zaino e gridava «attenzione, terrorista!», nessuno gli ha sparato. Dopo tanti anni di attentati pure le giovani guardie sulla porta, come tante altre volte in cui il muro di difesa è stato il loro corpo, hanno cercato di fermare l’assassino trattenendolo con le mani. E adesso le loro vite sono perdute, e sulla facciata del palazzo gli schizzi di sangue arrivano a un’altezza incredibile. Da quel momento alle 11,30 di mattina, il governo di Israele è in riunione con i militari e ciò che esce da dietro le porte, è la decisione di aumentare la pressione sui terroristi anche rinnovando le eliminazioni mirate, la distruzione di edifici, la stretta intorno alle zone sospette come quella di Jenin e di Tulkarem.
Non resterà uno dei tanti attentati quello che ieri ha colpito per l’ennesima volta la cittadina costiera di Natanya e per la quarta volta il Centro acquisti: è possibile che esso segni una svolta nella guerra contro il terrorismo proprio come la segnò l’attacco all’Hotel Park il 27 marzo 2002. Allora quello che indusse Sharon all’operazione Scudo di Difesa fu il numero di uccisi (30) durante la cena di Pasqua, dopo più di un anno di grandi attentati continui. Ma adesso ci sono nuovi motivi che possono spingere Israele a una reazione decisa, ma stavolta tutta mirata sulla Jihad Islamica, l’organizzazione responsabile di tutte le ultime stragi importanti. Fece 6 morti a Hedera il 26 ottobre; colpì la stazione centrale di Beersheva il 28 agosto; il 21 luglio fece sempre a Netanya 5 morti; e il 5 febbraio uccise cinque persone nel pub Stage di Tel Aviv. La Jihad Islamica è oggi al cuore del problema della sicurezza di Israele e anche di Abu Mazen. Al momento, lo è più ancora di Hamas, che vuole partecipare alle elezioni del 25 gennaio prossimo e cerca di arrivarci senza perdere uomini e senza che Abu Mazen prenda finalmente la decisione di disarmarlo con la forza.
Il problema della Jihad Islamica ha due aspetti. Il primo è il fatto che, al contrario di Hamas, che rende conto al consenso o al dissenso della massa dei suoi adepti, la Jihad Islamica risponde a un’agenda tutta interna, machiavellica, decisa a distruggere lo Stato d’Israele, a uccidere quanti più ebrei, convinta di incarnare la volontà di Dio. Non ha firmato nessuna tregua, non ha intenzione di partecipare alle elezioni palestinesi, perché le ritiene frutto delle scelte di una leadership, quella di Abu Mazen, di fatto minata dall’apostasia antislamica, e comunque corrotta e venduta al nemico. Preferisce proclamare che il suo scopo è la vendetta per l’eliminazione di alcuni dei suoi uomini.
In secondo luogo, la Jihad Islamica è eterodiretta, la sua leadership sta a Beirut, la sua fonte di ispirazione, di armi, di ordini, sono gli Hezbollah, e quindi di fatto il loro faro e il loro aiuto, secondo tutte le fonti, è l’Iran, con un passaggio siriano. Dopo lo sgombero di Gaza, in alcuni casi in contatto con Hamas e in certi casi anche con le Brigate di al Aqsa, lo sforzo maggiore della Jihad Islamica è trasferire le strutture logistiche del terrore, armi e uomini, da Gaza in Cisgiordania, e distruggere quegli spunti di pace che possono nascere dallo storico evento. L’attentato di ieri è fatto apposta per minare la svolta dell’unione fra Sharon e Peres che può spingere per un ritorno alla Road Map, e anche per alimentare il peggiore dei sentimenti popolari che colpisce la leadership di Abu Mazen, quello che appoggia la violenza e sostiene il terrorismo suicida.
LA STAMPA pubblica anche la corretta cronaca di Aldo Baquis, "Si sacrifica per bloccare i kamikaze", che riportiamo:


Il terrorismo palestinese è tornato a colpire ieri duramente nelle retrovie di Israele. Un kamikaze incaricato dalla Jihad Islamica di compiere una carneficina in un affollato centro commerciale di Natanya (città balneare a 35 chilometri da Tel Aviv) è stato intercettato da un guardiano mentre era ormai a pochi passi dalla porta d’ingresso. Il guardiano, Haim Amram, 26 anni, ha cercato disperatamente di allontanare il terrorista dalla folla e di estrargli la mano dalla borsa, dove stringeva l’interruttore di un ordigno di 10 chilogrammi di esplosivo sadicamente potenziati con chiodi e viti. A pochi metri due agenti di polizia hanno cercato pure di intervenire. Uno di essi ha anche puntato la pistola sul kamikaze: ma non ha sparato, per non colpire persone innocenti.
In un attimo il palestinese Lotfi Abu Saada, 20 anni, si è svincolato dalla morsa e ha attivato l’ordigno, che ha ucciso cinque israeliani e ne ha feriti molte decine. «L’ultima cosa che ricordo - ha detto uno degli agenti - è il sorriso malefico, carico di odio, che mi ha lanciato». Amram, il guardiano che ha impedito una carneficina ancora peggiore, ha perso la vita nella drammatica collutazione.
Di Lotfi la famiglia dice che era un ragazzo tranquillo, semianalfabeta, dedito al lavoro in una fabbrica di mattoni, non frequentava la moschea né si interessava di politica. Ieri ha fatto colazione senza mostrare alcun nervosismo. La madre lo ha rivisto solo alcune ore dopo, alla televisione, quando la Jihad Islamica ha rilasciato il filmato registrato da Lotfi prima di partire per la sua missione di morte. Il ragazzo è in posa con un lanciarazzi Rpg in mano e declama un testo in cui afferma di essere determinato a vendicare la morte di Luai Saadi, un dirigente militare della Jihad Islamica ucciso di recente in Cisgiordania da soldati israeliani.
Fra Ilar, il villaggio degli Abu Saada, e Natanya ci sono appena 20 chilometri. Alle undici e mezzo di mattina Lotfi ha dunque raggiunto la meta prefissa (quel centro commerciale, così vicino alla Cisgiordania, è già stato colpito tre volte da attentatori palestinesi) ma ha destato sospetto fra i passanti. «Camminava come un robot», ha ricordato qualcuno. E la mano tenuta all’interno della borsa era certamente sospetta.
Allertata dai passanti, una volante della polizia è sopraggiunta in pochi istanti e subito attorno al centro commerciale Hasharon è stato dato l’allarme. Ma nemmeno la reazione istantantanea e coraggiosa dei guardiani e degli agenti di polizia è riuscita a impedire l’attentato, il secondo in poche settimane.
Abu Mazen, il presidente della Autorità nazionale palestinese, ha subito condannato la strage e ha ordinato al ministro degli interni generale Nasser Yussef di arrestare i responsabili. Per neinte impressionati da questi sviluppi, rappresentanti del braccio armato della Jihad Islamica, Saraya al-Quds, hanno indetto una conferenza stampa nella moschea Omari di Gaza, da dove hanno illustrato in dettaglio le ragioni dell’attentato e hanno previsto che altri ancora ne seguiranno se Israele proseguirà con le esecuzioni mirate dei loro dirigenti. I portavoce, incappucciati ed armati, hanno biasimato Abu Mazen per la sua condanna dell’attentato e sono infine usciti indisturbati dalla moschea.
A Tel Aviv, il ministro della difesa Shaul Mofaz ha presieduto da parte sua una consultazione urgente al termine della quale ha preannunciato che la pressione militare sulla Jihad islamica sarà intensificata. Ci saranno dunque nuovi arresti di militanti, forse anche esecuzioni mirate di attentatori in procinto di agire. Mofaz vuole inoltre verificare se sia possibile radere al suolo la abitazione dei congiunti del kamikaze: una misura punitiva che lo stesso esercito israeliano ritiene inefficace.
Nel 2005 in Israele si sono avuti finora cinque attentati, tutti condotti dalla Jihad Islamica, in cui sono rimaste uccise complessivamente 21 persone. Una statistica certamente dolorosa, che però conferma un calo molto netto rispetto ai primi anni dell’intifada. Il calo viene attribuito alla presenza della Barriera di separazione lungo buona parte della linea di demarcazione con la Cisgiordania, alla costante attività di prevenzione dell’esercito israeliano in Cisgiordania, al clima più disteso nei Territori realizzato dalla politica del presidente Abu Mazen e dalla disciplina di Hamas, che in questi mesi non ha realizzato attentati.
L’imminenza delle elezioni politiche palestinesi di gennaio è dunque un appuntamento troppo importante perché possa essere destabilizzato da una reazione militare israeliana di portata eccessiva. Ieri il premier Sharon ha consigliato a Mofaz di non perdere di vista, nel contesto della lotta senza quartiere contro la Jihad Islamica, la necessità che Abu Mazen possa continuare a preparare le elezioni, così come desiderato del resto da Stati Uniti e Unione Europea.
Quella della STAMPA non è l'unica cronaca corretta. Segnaliamo quella di Francesco Battistini sul CORRIERE DELLA SERA ("Kamikaze contro il dialogo: strage in Israele", a pagina 5) che si conclude con una equa valutazione delle misure di sicurezza adottate da Israele dopo la strage: "Chiudono i territori, per sbarrare la porta alla morte".

Affianca la cronaca un'intervista a Nasser Jumaa, vincitore delle primarie di al Fatah a Nablus, che accusa "Dietro questi attentati c'è una mano straniera".
Battistini pone a Jumaa le giuste domande, per esempio, a proposito della "mano straniera", "Lei parla dell'Iran, degli Hezbollah?", e poi "Ma lei condanna o no la lotta armata" (megli sarebbe stato chiamarlo col suo nome: terrorismo) e ancora "Sarebbe già qualcosa se Hamas le togliesse di torno queste armi.

Peccato che Jumaa non venga incalzato quando fornisce risposte evasive e quando rilancia proclami propagandistici contro Israele (d'altro canto, lo spazio concesso all'intervista è molto ridotto ).

Da segnalare il titolo di apertura in prima pagina sul GIORNO "Israele, massacro di eroi" L'articolo alle pagine 6 e 7 "Kamikaze fra la gente che fa la spesa" è molto netto nel condannare la strage ("Maledetti assassini". è la frase con cui inizia) e nell'evidenziare l'eroismo dei vigilantes che hanno evitato una strage peggiore.
Interessante anche l'intervista di Tommaso De Bendetti allo scrittore israeliano David Grossman, che spiega "Hanno un solo obiettivo: fermare Sharon, Peres e Abu Mazen".

Grossman si chiede, con voce "carica di tensione e tristezza" "Non se ne può più, cos'altro dovremmo fare? Perché non si fermano, perché non vengono fermati?"

Riguardo all'eroismo dei vigilantes e degli agenti di polizia, una storia assente dagli altri quotidiani è raccontata su L'UNITA' da Umberto De Giovannageli, nella cronaca "Tornano i kamikaze, strage in Israele", a pagina 9.

Ecco il passaggio:

L’agente di polizia Shoshi Attya, 40 anni, incinta di quattro mesi, che ha partecipato all’inseguimento del terrorista, è rimasta ferita in modo non grave. «Gli sono corsa dietro a perdifiato, senza pensare ai rischi che correvo», ha poi detto Attya alla radio. «Tenevo gli occhi puntati sulla sua mano, immersa nella borsa. Sentivo che era un terrorista, che stava per esplodere». Attya ha guardato da vicino l’uomo che forse stava per ucciderla. «Era alto, biondo, piuttosto un bel ragazzo. Negli occhi aveva odio, ma anche una certa apatia».
L'UNITA' pubblica anche un'intervista ad Avi Pazner.
I messaggi che Pazner comunica con maggiore forza sono, a nostro avviso, che la Jihad non mai acettato né praticato la "tregua" (Il consigliere di Sharon:"la tregua con gli integralisti non c'è", recita l'occhiello) e che l'Anp non fa praticamente nulla contro il terrore".

Il titolo "Così i terroristi sfidano anche la leadership palestinese" riassume invece molto male il contenuto del colloquio.

Ecco il testo:

«La strage di Natanya non è solo una sfida mortale lanciata dai terroristi contro Israele; questo atto criminale è anche un attacco alla leadership palestinese di Abu Mazen. Il processo di pace non potrà fare passi in avanti fino a quando i gruppi terroristi palestinesi potranno continuare ad agire impunemente nei Territori amministrati dall'Anp, ideando, esaltando e portando a termine stragi di civili in Israele. Abu Mazen invoca la piena attuazione della Road Map (l’itinerario di pace tracciato dal Quartetto Usa, Ue, Onu, Russia, ndr.), ma il presidente palestinese sa bene che il discrimine per la ripresa del dialogo è la lotta al terrorismo». A parlare è Avi Pazner, portavoce del premier israeliano Ariel Sharon, già ambasciatore dello Stato ebraico a Roma e Parigi. «Non è possibile - rileva Pazner - accettare che a gruppi che praticano il terrorismo, come Hamas e le Brigate al-Aqsa, sia consentito di partecipare, direttamente o indirettamente, alle elezioni palestinesi (del 25 gennaio, ndr.). Democrazia e terrorismo non sono conciliabili».
Un nuovo attentato suicida ha sconvolto Israele. I gruppi terroristi hanno deciso di rompere la tregua?
«Questa tregua non è mai esistita. Nelle ultime settimane i nostri servizi di sicurezza hanno sventato decine di attacchi in fase di avanzata organizzazione. I gruppi terroristi non hanno mai smesso di organizzare azioni criminali contro Israele. Altro che tregua.La realtà, purtroppo, è un'altra: nonostante le condanne e gli impegni proclamati a più riprese, l'Anp non ha fatto nulla per contrastare i gruppi terroristi. Ieri come oggi, Israele deve contare solo sulle proprie forze per contrastare un terrorismo sanguinario che continua a mietere vittime tra civili inermi».
Nel condannare l'attentato di Natanya, il capo negoziatore dell'Anp ha affermato che azioni del genere sono finalizzate a sabotare gli sforzi tesi a rivitalizzare il processo di pace e a sabotare le elezioni palestinesi del prossimo 25 gennaio. Il presidente Abu Mazen ha dal canto suo promesso di colpire i mandanti dell'attacco suicida.
«Le parole di condanna non bastano. Israele è ormai abituato ad ascoltarle; esse si ripetono dopo ogni attentato. Che i terroristi intendano sabotare il processo di pace è cosa nota. Come è noto che il loro obiettivo dichiarato, e praticato, è quello che li accomuna al presidente iraniano Ahmadinejad ed a Osama Bin Laden: cancellare lo Stato d'Israele dalla faccia della terra. Ciò che sconcerta è che la dirigenza palestinese non solo si rifiuta di incarcerare i terroristi, di smantellare le organizzazioni terroristiche, ma ritiene di poter fermare i gruppi terroristi dando loro una patente di democraticità, permettendo loro di partecipare alle elezioni. Democrazia e terrorismo sono incompatibili in ogni parte del mondo, compresi i Territori palestinesi. Non esiste la " democrazia dei kamikaze". Il riferimento non è solo ad Hamas ma anche ai terroristi delle Brigate al-Aqsa che sostengono apertamente i candidati più radicali di Al-Fatah (il partito di Abu Mazen, ndr.)».
In un'intervista a l'Unità, l'ex capo di Shin Bet (i servizi di sicurezza interni israeliani), Avi Dichter, ha affermato che Al Qaeda e i gruppi terroristi palestinesi cercheranno di influenzare le elezioni in Israele scatenando un'ondata di attacchi suicidi.
«Questo rischio esiste ma i terroristi si illudono se credono possibile mettere in ginocchio Israele condizionandone l’agenda politica. Lotteremo con ogni mezzo contro il terrorismo, questo è certo. Ma Israele è una democrazia solida, che ha saputo difendersi dai suoi tanti nemici esterni senza venir mai meno a se stessa. Sarà così anche questa volta».
"Vittime israeliane" è il titolo dell'articolo che IL FOGLIO dedica, in prima pagina, alla strage di Netanya.
L'articolo è bastao su un colloquio con l'esperto dui terrorismo Eli Karmon.
Anche lui conferma: "L'Anp non fa nulla".

Ecco il testo completo:

Gerusalemme. Ieri, in Israele, a Netanya,
una città sulla costa nord del paese, un attacco
suicida ha ucciso cinque persone e
causato 50 feriti. L’attentato, rivendicato dal
Jihad islamico, riporta in primo piano sull’agenda
politica israeliana il problema della
sicurezza (non c’erano attentati dal 26 ottobre)
che è alla base della scelta del premier,
Ariel Sharon, di creare un partito
suo,Kadima, con l’unico obiettivo della pace.
Il paese, nelle ultime settimane, si è focalizzato
sulla trasformazione del suo panorama
politico, iniziata con l’elezione a leader del
partito laburista di Amir Peretz, la successiva
decisione di Avoda di ritirare l’appoggio
al governo di Sharon, la partenza del premier
dal suo Likud e la fondazione del nuovo
partito di centro. Le elezioni anticipate
sono già fissate al prossimo 28 marzo.
Secondo Eli Karmon, analista dell’International
Policy Institute for Counter-Terrorism
di Herzliya, la questione della sicurezza
nella politica israeliana ha sempre mantenuto
una posizione centrale, nonostante il
periodo di trasformazione. In seguito a questo
nuovo attacco, "tutti i politici devono affrontare
il problema nell’immediato. Ma è il
governo di Sharon a incontrare maggiori difficoltà",
perché prima delle elezioni è improbabile
portare a termine ampie operazioni
militari – nonostante il ministro della
Difesa, Shaul Mofaz, abbia annunciato ieri
che l’esercito è pronto a riprendere gli attacchi
mirati sia a Gaza sia in Cisgiordania –
ed è l’esecutivo del premier che ha guidato
il piano di ritiro da Gaza; il disimpegno ha
incontrato l’opposizione di molti, a destra,
proprio per il timore di un aumento della
minaccia terroristica. Gli ex compagni di
Sharon, che avevano fatto fronda contro il ritiro,
potrebbero ora, in tempo d’elezioni,
usare l’arma della mancanza di sicurezza
contro il movimento del premier. Sharon ha
appena accolto all’interno di Kadima l’ex
leader laburista Shimon Peres, celebre colomba
agli accordi di Oslo, che non è percepito
dall’opposizione come persona capace
di garantire la sicurezza e di imporre un atteggiamento
duro contro il terrorismo.
"L’Anp non fa nulla", dice Karmon
L’attacco di Netanya è un ulteriore segno
della debolezza dell’Autorità nazionale palestinese
e della sua incapacità di mantenere
sotto controllo i gruppi armati. Questo, nonostante
il presidente Abu Mazen sia il politico
palestinese che ha maggiormente condannato
il terrorismo, come scriveva ieri
Danny Rubinstein sul quotidiano israeliano
Haaretz. Il rais sembra avere poca abilità
pratica. La situazione a Gaza e in Cisgiordania
rimane instabile. Pochi giorni fa sei persone
sono morte in scontri tra fazioni. Le forze
di sicurezza sono disorganizzate. I clan
hanno uomini meglio armati degli agenti di
polizia. Durante le primarie del partito al
potere, Fatah, le violenze e gli scontri fuori
e dentro i seggi hanno forzato i vertici a cancellare
il voto in alcuni distretti. "L’Anp non
fa nulla" per fermare gli attacchi, spiega al
Foglio Karmon. "Condanna gli attentati, ma
non si muove. E’ un paradosso. La strategia
di Abu Mazen è cooptare i gruppi armati
nella vita politica". Nessuno, nella leadership
dei territori, è deciso a parlare di disarmo
prima delle elezioni legislative del 25
gennaio. Alle primarie, la cosiddetta nuova
guardia del Fatah ha ottenuto un grande
successo. "Ho sempre pensato che Abu Mazen
non possa arrivare a un accordo finale
con Israele, se non cambia strategia – dice
Karmon – Soltanto una leadership giovane,
che viene dai territori, può trovare un compromesso".
Il problema è che molti di loro
"sono stati attivi nell’Intifada", come il leader
Marwan Barghouti, condannato all’ergastolo.
Karmon tenterebbe l’opzione Barghouti:
"Potrebbe essere un partner. Ma è
un’incognita: potrebbe ritornare al terrorismo",
e nessun governo azzarderebbe una
mossa simile prima delle elezioni.
Su AVVENIRE, che sulla strage apre in prima pagina titolando "Kamikaze a Netanya Uccisi 5 israeliani" troviamo due articoli di Graziano Motta.

Uno spiega come quello di lunedì 5 dicembre 2005 sia il "Terzo massacro di clienti dello shopping center" e perchè Netanya sia un bersaglio tanto facile per i terroristi da essere divenuta la "città martire per antonomasia" in Israele.

Ecco il testo:

È ormai considerata la "città martire" per antonomasia di Israele perché i palestinesi di attentati terroristici ne ha hanno fatti una decina negli ultimi cinque anni e ne hanno tentati almeno il quadruplo. Netanya, distesa sulla costa del Mediterraneo poco a nord dell'area di Tel Aviv, (da cui dista 35 chilometri), è peraltro considerata la "città più europea" d'Israele per l'importante comunità di ebrei francesi a cui si è affiancata quella proveniente dalle Repubbliche russe. La sua "sfortuna" è di essere situata nella parte più stretta del territorio israeliano, compresso da una parte dal mare dall'altra dalla linea di separazione dai Territori palestinesi: ad appena dieci chilometri c'è infatti la città di Tulkarem, e il collegamento è assicurato da una superstrada che si percorre in cinque minuti. Ma - ed è quello che in quest'ultima circostanza viene sottolineato a gran voce - non c'è ancora una barriera di divisione. Se ci fosse, con molta probabilità sarebbe stata impedita la penetrazione in territorio israeliano di questo ultimo kamikaze e di quello che lo precedette, il 12 luglio scorso, con il medesimo obiettivo, il centro commerciale Hasharon, un grande fabbricato in cemento e vetro che sembra eserciti una perversa attrazione sui terroristi, sia per la sua posizione centralissima, ma anche per la sua altissima frequentazione. La prima volta che venne scelto per far strage fu quattro anni fa, il 18 maggio del 2001, e anche allora il kamikaze fu fermato all'ingresso dell'Hasharon e tuttavia con la sua morte provocò quella di altre otto persone e il ferimento di 130. Ma l'attentato più terribile, quello per cui si è cominciato a chiamare Netanya "città martire", avvenne in occasione della Pasqua ebraica di tre anni fa: era il 27 marzo e nel Park Hotel, vicinissimo al centro Hasharon, era appena cominciato il seder, la tradizionale cena, evento di grandissima rilevanza religiosa. Nel salone vi si introdusse un terrorista, i morti furono trenta e 130 i feriti. Lo sdegno fu generale, in tutto il mondo. Per reazione Sharon ordinò la rioccupazione di tutti i Territori palestinesi, Betlemme e Ramallah inclusi. Si ruppe il tentativo di mediazione per una tregua intrapreso dall'inviato americano George Tenet. Il grosso problema israeliano per Netanya, tuttora irrisolto, è il controllo del "corridoio" invisibile che la collega con i "covi" della guerriglia di Cisgiordania, in particolare di quelli fondamentalisti, che sono nelle due grandi città del nord, cioè Nablus e Jenin.
Nell'articolo "Sicurezza, destra contro il premier", invece, Motta spiega perché "la violenza può minare il consenso che gode nei sondaggi il partito Kadima".

Ecco il testo:

Entrata nel vivo, la campagna elettorale ha immediatamente risentito dell'attentato terroristico di Netanya, ma già si era accesa per i nuovi ripetuti lanci di missili dei guerriglieri dalla Striscia di Gaza sul confinante territorio israeliano del Negev, in particolare nei pressi della cittadina di Netivot.
Ed è tutto lo schieramento della destra nazionalista e confessionale ad alzare alta la voce contro Ariel Sharon, l'ex leader del Likud fondatore del nuovo partito Kadima, che ha appena ribadito la determinazione di portare avanti il negoziato di pace con i palestinesi grazie al sostegno di Shimon Peres, l'ex leader laburista che lo ha raggiunto nello stesso partito. Antichi rivali, ma divenuti alleati nell'attuazione del ritiro da Gaza, sono stati protagonisti domenica di una conferenza stampa congiunta in cui hanno abbondato in reciproche cortesie. Sharon ha detto che in caso di vittoria, Peres avrà nel governo un posto di primo piano di sua scelta e comunque il suo sarà un ruolo centrale nel processo di pace, nello sviluppo del Negev e della Galilea e nell'aiuto alla ricostruzione economica di Gaza.
Peres da parte sua ha spiegato che ha voluto continuare a stare a fianco di Sharon perché lo considera il leader più idoneo a portare avanti il processo di pace; e poi perché impegnato in un piano quinquennale di sviluppo economico del Paese. «Un'opportunità dunque da non mancare», ha detto quasi per motivare la sua uscita dal partito, tenendo a precisare che resta fedele ai principi laburisti, ovvero del socialismo democratico.
Occorrerà adesso vedere se, persistendo la guerriglia e gli attentati palestinesi, i sondaggi di opinione continueranno a dare il Kadima gran vincitore delle elezioni politiche di marzo e il Likud gran perdente. È opinione diffusa che tutta la destra se la situazione in materia di sicurezza resterà precaria, guadagnerà consensi.
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