L'Egitto "schiavo" di Israele
una "grande narratrice", con le referenze di Edward Said, approda al primo quotidiano italiano
Testata:
Data: 02/12/2005
Pagina: 14
Autore: Ahdad Soueif
Titolo: E' la rivolta dei laureati costretti afare gli ambulanti
Edward Said, accademico palestinese-americano apologeta del terrorismo, avversario degli accordi di Oslo e propagatore della tesi per cui il "sionismo" sarebbe la sintesi di tutte le vere e presunte colpe storiche dell'Occidente, la giudicava una "straordinaria narratrice di politica sessuale".
La definizione, per quanto espressa nel gergo esoterico e cervellotico degli universitari americani di estrema sisnistra è tale da mettere in allarme: se piace a Said, non è buon segno.
Infatti, commentando gli scontri aramati nei quali sono degenerate le lezioni egiziane Ahdad Soueif riesce ascrivere:
"La domanda è: «Fin dove intendono spingersi America e Israele?». Non è già abbastanza accogliere le loro navi da guerra nel Canale di Suez, privatizzare le nostre industrie vitali, torturare su loro ordine, vendere agli israeliani il nostro gas a prezzi stracciati, far loro da poliziotti a Rafah? Questa condizione di schiavitù si dimostrerà sufficiente o finiremo come l'Iraq? Non sarebbe meglio porre un limite oggi e dire: «Basta»?".
Questa visione demonica degli Stati Uniti e Israele, accompagnata da rassicurazioni sulla natura del Fratelli musulmani", un movimento che sembra nella descrizione della "narratrice di politica sessuale" avviato a divenire laico e democratico, nonè stata pubblicata dal MANIFESTO, ma dal CORRIERE DELLA SERA di venerdì 2 dicembre 2005.
L'Egitto tortura "su ordine" di Israele ? Vende il proprio gas a Israele a prezzi stracciati imposti (è implicito) con la forza o con la minaccia della forza? Controllare che dal valico di Rafah non passino armi e terroristi è una forma di "schiavitù"?
Che grande narratrice sarebbe Ahdad Soueif se si occupasse di roamnzi fantasy....
Ecco il testo dell'articolo:Oggi in Egitto non esistono organizzazioni estremiste islamiche. L'unica formazione di orientamento estremista ancora attiva è l'Associazione dei Fratelli Musulmani. La messa al bando ufficiale non ha costituito un ostacolo al suo programma di assistenza sociale, che le ha guadagnato un ampio seguito. La vecchia sinistra ha perso credibilità per aver offerto collaborazione — o simulato opposizione — al regime di Sadat prima, a quello di Mubarak poi.
I fatti dell'estate scorsa segnano una nuova e significativa fase per la dissidenza egiziana. Avanzano i movimenti di base. Abbracciano uno spettro ideologico molto esteso: vecchi attivisti che tornano in lizza, professionisti esasperati dalla corruzione e dall'inefficienza del regime, giovani che non conoscono una vita senza Leggi d'Emergenza. Un tempo i movimenti combattevano per la riforma della Costituzione e il termine delle detenzioni arbitrarie. Poi hanno deciso che il regime era al di sopra delle riforme e hanno iniziato a chiederne l'abbattimento. Nessuna delle collaudate tattiche governative sembra in grado di fermarli: pestaggi, arresti, sequestri — i contestatori se ne servono e risorgono.
I movimenti di base riconoscono di occupare un terreno in comune con i movimenti estremisti — l'aspirazione alla democrazia e alla giustizia sociale — e credono che i fondamentalisti dovrebbero godere della libertà di costituire partiti politici legittimi.
La stessa formazione dei Fratelli Musulmani comprende uno spettro ideologico assai ampio. Finora ha respinto l'idea di dar vita a un partito, guadagnando piuttosto potere politico attraverso operazioni volte a controllare le professioni. Si coordina con altri gruppi su questioni specifiche, come la richiesta di indipendenza per l'autorità giudiziaria o le università, ma non è disponibile a collaborazioni su scala più ampia. Si sente abbastanza potente da scucire concessioni al governo e aggiudicarsi forse un discreto numero di seggi in Parlamento. Tra i gruppi laici regna una discreta fiducia nei confronti dei Fratelli Musulmani; alcuni ritengono che il regime al potere sia tanto corrotto e nocivo al Paese che tutte le forze «oneste» dell'opposizione dovrebbero unirsi per combatterlo; altri vedono negli stessi estremisti la minaccia più grave per l'Egitto.
Poi ci sono gli americani. La domanda è: «Fin dove intendono spingersi America e Israele?». Non è già abbastanza accogliere le loro navi da guerra nel Canale di Suez, privatizzare le nostre industrie vitali, torturare su loro ordine, vendere agli israeliani il nostro gas a prezzi stracciati, far loro da poliziotti a Rafah? Questa condizione di schiavitù si dimostrerà sufficiente o finiremo come l'Iraq? Non sarebbe meglio porre un limite oggi e dire: «Basta»?
Il problema maggiore nel Paese è che le restrizioni alla libertà individuale e all'attività politica spianano la strada all'inefficienza e alla corruzione. Gli operai si ammalano di cancro in fabbriche all'amianto dichiarate fuori legge in Europa. I parlamentari controllano i principali mercati di generi alimentari e materiali da costruzione. Le scuole sono sovraffollate. I tesori scompaiono dai musei. Dodici milioni di egiziani sono disoccupati; i laureati fanno i venditori ambulanti e i guardamacchine, corrompono i poliziotti per sbarcare il lunario.
Negli ultimi vent'anni circa 186 miliardi di lire egiziane sono stati rubati e messi al sicuro all'estero, mentre il debito nazionale raggiungeva il 126% del Pil.
I movimenti di protesta chiedono un governo rappresentativo e affidabile. Chiedono che la Costituzione ponga un termine di due mandati alla presidenza, ne limiti i poteri e ristabilisca la separazione tra i rami legislativo ed esecutivo. Chiedono modifiche al sistema elettorale per garantire equità e trasparenza. E chiedono la fine immediata di 24 anni di Leggi d'Emergenza e la tutela dei diritti umani. Secondo un'opinione consolidata tra i professionisti non si può pretendere di realizzare un cambiamento senza avere già pronto un progetto dettagliato. Gli attivisti del movimento popolare Kefaya («Basta»,
ndr) rispondono che non si può elaborare un progetto in un clima di estrema repressione politica. È facile innamorarsi di Kefaya. È diverso, originale, creativo, ottimista e al passo con i tempi. Ogni manifestazione porta una sorpresa: un dimostrante in sedia a rotelle sollevato sulla folla a dirigere il coro; un circolo di giovani in jeans e T-shirt che intonano canti di libertà intorno alle vedove velate di detenuti politici. Si definisce un movimento «orizzontale» ma la sua forza reca in sé il seme della debolezza: l'onnicomprensività implica l'impossibilità di adottare un programma specifico; l'ospitalità significa che il suo tetto può essere usato da altri gruppi meno accoglienti; esuberanza e creatività rischiano di attirare l'accusa di strumentalizzare i media; condizioni economiche relativamente stabili lo espongono al sospetto di non rappresentare «il popolo». Quelli di Kefaya, però, marciano e cantano: Campi e fabbriche venduti per un gettone / Fate il vostro peggio, noi non ci piegheremo.
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