Come non spiegare il fallimento del vertice di Barcellona
tre quotidiani a confronto
Testata:
Data: 29/11/2005
Pagina: 11
Autore: Emanuele Novazio - Alessandro Oppes - Umberto De Giovannangeli
Titolo: Per l’Iraq di oggi il vero pericolo è una società instabile - Euromed condanna il terrorismo ma tace sul diritto di
LA STAMPA di martedì 29 novembre 2005 pubblica apagina 11 un'intervista di Emanuele Novazio al segretario della Lega araba Amr Moussa che dichiara: "Per l’Iraq di oggi il vero pericolo è una società instabile"

Altre dichiarazioni di Mussa sono degne di essere segnalate: rifiuta di chiamare Hamas "terrorista", precisa che la democratizzazione del mondo arabo non porterà a "copie conformi delle società e delle democrazie occidentali" (una frase ambigua, che può anche voler dire che non ci sarà nessuna vera democrazia) e lega, senza alcuna giustificazione che non sia la volontà di far ricadere su un nemico esterno i problemi interni dei paesi arabi e islamici, il processo di democratizzazione del Medio oriente alla divisione di Gerusalemme.

Nessuna replica da parte di Novazio.
Ecco il testo:

Segretario Amr Moussa, Saddam Hussein avrebbe organizzato un complotto per fare uccidere il giudice che presiede il processo a suo carico. Secondo la Lega Araba che lei guida, l'ex dittatore iracheno costituisce ancora una minaccia ed è giusto processarlo?
«Il pericolo Saddam resta, ma il vero rischio è l'instabilità del Paese».
L'ex premier iracheno Allawi sostiene che la situazione è peggiore che ai tempi di Saddam. Concorda?
«La situazione in Iraq è difficilissima. Dal punto di vista dell'instabilità e della sicurezza, e per la presenza delle truppe straniere».
Se ne devono andare subito, comprese quelle italiane?
«La Lega Araba appoggia la posizione della Conferenza nazionale irachena: il ritiro deve avvenire secondo un preciso calendario».
Crede anche lei che si comincerà l'anno prossimo?
«Nel 2006 assisteremo a un movimento in questo senso».
Al vertice euromediterraneo di Barcellona, ancora una volta, occidentali, israeliani e arabi non sono riusciti a trovare una definizione condivisa di terrorismo. Perchè?
«Ci siamo dovuti accontentare di un compromesso. La Lega araba considera il terrorismo uno dei fenomeni della politica internazionale, come la discriminazione, la politica del doppio standard, l'uso delle pressioni, l'egemonia di alcuni Paesi su altri. Il terrorismo è il risultato di tutto questo: se lo si vuole attaccare e vincere, non bastano le forze di sicurezza e l'uso delle armi. Bisogna cambiare il modo di far politica».
L'accordo è saltato per il vostro rifiuto di considerare terrorismo le azioni collegate alla resistenza armata?
«Il terrorismo è qualcosa di diverso dalla lotta di liberazione e dalla resistenza di un popolo a truppe straniere. La resistenza si rivolge contro l'occupazione, il terrorismo contro la gente come lei e me».
In Iraq, e non solo, le due cose spesso coincidono.
«C'è terrorismo quando si rapiscono civili o li si uccide. Ma in Iraq c'è anche resistenza alle truppe straniere».
Il documento di Barcellona insiste sulla necessità di estendere il pluralismo politico nei Paesi della sponda Sud, garantire la libertà di espressione e aumentare la partecipazione delle donne nei processi decisionali. Un impegno realistico per i Paesi arabi?
«Non si tratta di un evento ma di un processo che richiederà tampo, il meno possibile mi auguro. Perchè non dovrebbe avere successo?».
Fra dieci anni le società arabe saranno democratiche?
«Lo saranno, ma chi ritiene che debbano diventare copie conformi delle società e delle democrazie occidentali si sbaglia. Già che ci siamo, auguriamoci che fra dieci anni Israele si sia ritirato da tutti i territori occupati, compresa Gerusalemme Est, e che il conflitto israelo-palestinese sia finito. Non si tratta di processi slegati: fanno tutti parte dello stesso pacchetto».
Come valuta l'incontro di lunedì sera, qui a Barcellona, fra il vice premier israeliano Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen, che rompe un lungo silenzio ad alto livello fra le due parti?
«Non ci trovo niente di simbolico e niente di davvero nuovo. Gli incontri di per se stessi non sono importanti, l'importante sono i risultati».
La road map ha ancora un futuro?
«Dipende. E' essenziale che Washington ci aiuti tutti e non tenga una posizione ambigua».
La partecipazione alle prossime elezioni palestinesi di Hamas, che l'Unione europea ha inserito nelle lista nera del terrorismo internazionale, aiuterà quel movimento ad abbandonare il terrorismo?
«Mi rifiuto di considerare Hamas un gruppo terroristico. Non tutte le azioni violente sono terroristiche, e non tutto Hamas compie azioni violente. Di certo la partecipazione alle elezioni aiuterà lo sviluppo della sua ala politica».
LA REPUBBLICA titola a pagina 4 "Euromed condanna il terrorismo ma tace sul diritto di "resistenza" ".
Si tratta di un'espresione ambigua che nasconde il fatto che il "diritto di resistenza" viene chiamato in causa dai paesi arabi proprio per relativizzare la condanna al terrorismo, giustificando anche le stragi di civili quando sono compiute in Israele e in Iraq.

Condanna al terrorismo e riconoscimento del "diritto di resistenza" nei termini proposti alla conferenza di Barcellona sono dunque incompatibili.

L'ambiguità del titolo si ritrova nell'articolo di Alessandro Oppes, che così esordisce:

BARCELLONA - Il primo vertice euro-mediterraneo dei capi di Stato e di governo approva un "codice di condotta" per la lotta contro il terrorismo «in tutte le sue forme e manifestazioni», ma evita di pronunciarsi sul diritto alla resistenza contro l´occupazione, eludendo un´esigenza manifestata in blocco dai paesi arabi.
Di seguito, pubblichiamo il resto dell'articolo:
Un compromesso di basso profilo, raggiunto in extremis dopo ore di snervante trattativa, che ha permesso di scongiurare il fallimento della conferenza di Barcellona. Di fronte all´impossibilità di arrivare a un accordo sottoscritto da tutti i partecipanti, il documento conclusivo è una dichiarazione della presidenza, che il premier britannico Tony Blair, scegliendo la definizione di «visione comune», ha provato a gestire - con un ampio sorriso a denti stretti - come una dimostrazione di pieno successo. «È il comunicato più forte che è stato possibile ottenere sulla determinazione unanime di lottare contro il terrorismo in tutte le sue forme», ha riconosciuto nella conferenza stampa finale sotto lo sguardo compiaciuto di José Luis Rodríguez Zapatero. Il primo ministro spagnolo era evidentemente sollevato perché le speranze di arrivare a un´intesa anche minima - con i principali leader arabi che avevano disertato in blocco l´incontro - sembravano davvero esigue. Per questo, di fronte al pericolo scampato, il leader spagnolo è apparso raggiante, elogiando la «lucidità e il coraggio» dei partecipanti al vertice e definendo «un fatto senza precedenti» che più di trenta paesi dell´area mediterranea abbiano condannato «con energia e senza palliativi» il fenomeno del terrorismo.
Il codice di condotta stabilisce iniziative di cooperazione tra ministeri degli Interni e forze di sicurezza dei 35 paesi euro-mediterranei, appoggiate per la prima volta da arabi e israeliani, ed enuncia l´impegno comune «a rispettare tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite per la lotta contro il terrorismo». Ma mentre riconosce la relazione tra «pace, sicurezza, sviluppo economico e sociale e diritti umani», rifiuta al tempo stesso «qualsiasi tentativo di associare il terrorismo a qualunque nazione, cultura o religione». L´impegno comune è a lavorare a una «definizione legale» degli atti terroristici prima della fine della sessantesima sessione dell´Assemblea generale dell´Onu, che termina nel settembre del 2006.
Il vertice euro-mediterraneo ha anche varato un «piano di lavoro» quinquennale per estendere i tradizionali ambiti di cooperazione economica, politica e culturale a temi di fondamentale importanza per i paesi dell´area come la sicurezza e la lotta contro l´immigrazione illegale.
L'UNITA' pubblica a pagina 10 l'articolo di Umberto De Giovannageli "Summit Euromed nessun accordo su cosa sia terrorismo", a dir poco reticente nell'indicare le cause del fallimento del summit. C'è chi accusa Israele, scrive u.d.g., mentre Israele accusa i paesi arabi.
Se si guardano i fatti, però, si constata che i paesi arabi hanno chiesto che il terrorismo contro Israele venisse giustificato. E che Israele, comprensibilmente, ha rifiutato.
Stabilire chi ha la responsabilità del fallimento di un vertice che aveva fra i suoi obiettivi la lotta al terrorismo, allora, non dovrebbe essere così difficile.

Ecco il testo:

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