Pubblichiamo l'intervento di Federico Steinhaus al convegno "La sinistra e Israele" tenutosi a Roma il 24 novembre scorso. E' preceduto da una nota dell'autore.Lo scorso 24 novembre un seminario che ha raccolto l’attenzione di quasi tutti i quotidiani e di molte reti televisive ha riunito attorno ad un tavolo, a Roma, alcuni esponenti della cultura politica che genericamente si definisce di sinistra i quali, insieme ad un rappresentante dell’ Ambasciata d’ Israele in Italia ed a me, hanno analizzato impietosamente il difficile rapporto fra la sinistra – o meglio sarebbe dire le sinistre – ed Israele.
Poiché la stampa ha messo in rilievo solamente alcuni frammenti del seminario, dando rilievo alle tesi di Fassino e Bertinotti ma non alle altre, ritengo utile esporre di seguito una cronaca altrettanto parziale e soggettiva che evidenzi solamente la parte che nel contesto del seminario era stata riservata a me, unico rappresentante del punto di vista dell’ ebraismo italiano. Per evitare equivoci, voglio precisare che non mi sono arrogato un ruolo che non mi competeva, e che pertanto fin dall’ inizio ho chiarito che il mio era un punto di vista personale, non solo in quanto esponente dell’ ebraismo italiano ma anche quale storico del conflitto arabo-israeliano.
La relazione introduttiva di Anna Borioni aveva esposto con chiarezza ed impeto le linee guida che gli organizzatori intendevano proporre al seminario, e che non sono state disattese. Del resto la scelta stessa dei relatori era stata tale da favorire una analisi critica di questo lacerante rapporto che negli ultimi 5 anni aveva scavato un profondo fossato tra un ampio settore della sinistra ed una opinione pubblica ebraica che non si può certamente definire, nel suo insieme, faziosa sciovinista o di destra.
Al mio arrivo molti degli amici ebrei presenti mi avevano salutato esclamando un "finalmente cominciamo a parlarci" che la diceva lunga sullo stato di frustrazione che le incomprensioni della sinistra per le ragioni di Israele avevano causato in questi anni e che tutti speravamo si potessero cominciare a superare.
Avevo preparato alcuni appunti sugli argomenti salienti che intendevo trattare; ritengo utile riportarli qui di seguito, per poi dedicare la giusta attenzione alla polemica diretta il cui bersaglio immediato è stato Bertinotti ma che in realtà era indirizzata a tutti quei settori della sinistra che (come ha precisato di sè il giorno dopo il "manifesto") si dichiarano e sono a priori contro Israele e contro il sionismo.
L’antisemitismo islamico fa proprie le accuse più tipiche dell’ antigiudaismo cristiano, quali il deicidio, la propensione all’usura, la teoria del complotto per dominare il mondo, e le rafforza usando la tipica immagine dell’ebreo con naso adunco e sguardo malefico, la barbetta a punta e le orecchie grandi , le dita adunche per l’avidità e la bava alla bocca
Questo antisemitismo ha contagiato con varia intensità tutto lo scenario politico europeo; è sconcertante rilevare quale diffusione e forza d’impatto esso abbia trovato proprio nelle sinistre, che storicamente lo hanno sempre combattuto
In alcuni settori della sinistra le battaglie ideologiche e politiche tradizionali ( lotta contro il razzismo, rifiuto del nazionalismo, battaglia per la laicità dello stato, difesa dei diritti umani, pacifismo ) fanno talora da sfondo e da pretesto per questa aberrazione che indica il nemico negli ebrei / nel sionismo / in Israele
Questa constatazione provoca molta amarezza negli ebrei, che si sentono traditi proprio a causa della loro condivisione di questi ideali
In particolare, il sionismo è visto come una forma di nazionalismo priva di una dignità intrinseca, e lo si collega alla lettura estrema della Bibbia oppure alla triste epoca del colonialismo, accogliendo senza alcuna analisi critica le tesi del nazionalismo islamico che, come sappiamo, è fondato su presupposti religiosi
A causa della non comprensione della natura di movimento di liberazione nazionale del sionismo tende ad emergere una delegittimazione di Israele; non si tratta necessariamente della negazione tout court del diritto ad esistere, ma piuttosto di un pesante interrogativo sulla sua liceità come stato ebraico, che si fa dipendere dalle sue scelte politiche
Conseguenza di questo martellante uso distorto ed acritico di luoghi comuni e di messaggi antisemiti è stato il radicarsi di un pregiudizio negativo nei confronti di Israele, che si deve costantemente giustificare, contrapposto al pregiudizio positivo nei confronti dei palestinesi che si sottraggono a priori ad un esame approfondito della loro politica
La sinistra, è bene precisarlo, non è stata contaminata dal virus dell’antisemitismo, ma lo tollera in silenzio anche quando è evidente, pressante, brutale come nella propaganda araba; è vero che anche alcune frange della sinistra usano talvolta questi stereotipi antiebraici, ma la sensazione che gli ebrei hanno dell’atteggiamento complessivo della sinistra è di una collusione passiva radicata nelle antiche simpatie per la cosiddetta "causa araba" oltre che nella viscerale avversione nei confronti degli Stati Uniti
Il ruolo dei media è essenziale in questa analisi, dato che il messaggio può essere alterato dal modo in cui esso viene trasmesso e comunicato
L’uso di parole che nella comune accezione hanno un significato diverso, o che vengono normalmente usate in contesti radicalmente diversi, è una pratica molto diffusa: così, definire i terroristi militanti, guerriglieri, attivisti, resistenti svuota di ogni drammaticità il crimine commesso; il concetto che gli israeliani sono i nuovi nazisti ed i palestinesi i nuovi ebrei assume diverse colorazioni, ma è riconoscibile in molte cronache e vignette satiriche; l’uso per gli israeliani del verbo "morire" sostituito per i palestinesi da "essere uccisi" fornisce di scontri ed attentati due valenze molto diverse fra loro. Ugualmente si possono usare nel titolo parole che fanno pensare ad un contenuto diverso da quello descritto, od associare gli articoli ad immagini estranee al loro contenuto ed estrapolate da altri contesti (il bambino palestinese ed il tank israeliano, l’ebreo ortodosso con palandrana e boccoli insieme al militare armato fino ai denti)
Questo modo di trasmettere i messaggi, che è molto frequente in un vasto segmento della stampa, ne altera il significato senza che ciò venga percepito dal destinatario, ed indirizza in maniera inconsapevole simpatie ed antipatie
L’ unilaterale ambiguità del messaggio politico (Israele ha diritto di esistere, MA bisogna anche dare uno stato ai palestinesi) non si è mai riferita ad altre realtà tragiche e cariche di violenza diverse da quella del contenzioso israelo-palestinese; quando queste ambiguità e questi silenzi si associano ai messaggi con cui i media influiscono sul nostro inconscio il pregiudizio e l’ ostilità preconcetta attecchiscono facilmente
E’ singolare che nella sinistra non vi sia imbarazzo per l’ uso di accuse veterocristiane in un contesto ideologico laico, ed è ancor più incomprensibile che non venga denunciata la pericolosità dell’uso che il mondo islamico fa delle icone antigiudaiche cristiane quali il deicidio e l’omicidio rituale. Queste anzi vengono talora recepite nella sinistra da esponenti di una cultura raffinata, ma anche da chi le usa per rendere suggestive le proprie vignette; anche il negazionismo, l’ accusa che gli ebrei sono i nuovi nazisti e la teoria del complotto giudaico sono stati usati indistintamente e trasversalmente da tutti gli schieramenti ideologici in funzione anti-israeliana, fino al punto da non rendere riconoscibile di primo acchito la matrice ideologica di chi li divulga.
Avviato il dibattito, la mia prima osservazione ha riguardato un punto che giudico essenziale nella revisione critica del rapporto della sinistra con Israele: la sinistra non deve affrontare questo percorso "perché con il ritiro da Gaza la politica del governo Sharon ha cambiato rotta" (come in qualche inciso avevano detto alcuni dei relatori), ma indipendentemente da qualsiasi linea politica dei governi israeliani, al solo scopo di porre rimedio al danno ed al malessere spirituale che il pregiudizio negativo nei confronti di Israele ha provocato. La visione deve essere strategica e non tattica, per poter rimanere salda anche nell'eventualità di una non condivisione di scelte politiche contingenti.
Nel suo intervento Bertinotti ha ritenuto di riesumare una vecchia affermazione dei padri fondatori del sionismo, che giudicavano la Palestina un territorio nel quale non abitava alcun popolo (una terra senza popolo per un popolo senza terra) per dimostrare che la nascita dello stato d'Israele nel 1948 aveva in sè quello che egli ha definito "un vizio di origine", ossia la deliberata violazione dei diritti naturali di un popolo per affermare il proprio.
La mia contestazione è stata storica e politica: ho osservato che nei tempi antecedenti il 1948 ed anche negli anni immediatamente successivi la parte della Palestina in cui la Società delle Nazioni e poi le Nazioni Unite hanno voluto che si radicasse lo stato ebraico era abitata solamente da arabi che lavoravano come servi della gleba per latifondisti viventi nel lusso oltre il Giordano, e che proprio questi diseredati avevano tratto un immediato beneficio dalla presenza operosa degli immigranti ebrei; ma, ho sottolineato, costituiva una falsificazione inserire in quel contesto storico lo slogan politico odierno di "due stati per due popoli", in quanto già nel 1948, se non lo avessero impedito gli stati arabi, lo stato arabo della Palestina sarebbe nato per la volontà congiunta del sionismo e delle Nazioni Unite. Comunque all'epoca nessuno, neppure gli interessati stessi, era consapevole del fatto che gli arabi di Palestina potessero costituire un popolo diversificato all'interno del mondo arabo.
Quando Bertinotti ha affermato che la sinistra non era stata contaminata dal veleno antisemita, neppure all' epoca della tragedia di Sabra e Chatila che egli ha di nuovo usata contro Israele, ho ritenuto appropriato leggere alcune citazioni estrapolate da articoli che nel 1982 avevano contribuito ad un clima da caccia all'ebreo, e che qui rievoco per quanti non hanno vissuto l'angoscia che attanagliò gli ebrei in quell'anno:
"Uomini, donne,bambini...vengono massacrati nell' illusione di trovare con il genocidio la soluzione finale del problema palestinese" (Federazione Provinciale Lavoratori Metalmeccanici, Milano)
"Questo stato non può arrogarsi la rappresentanza delle vittime dei campi di sterminio...meno che mai questo stato rappresenta una tradizione, una cultura, una letteratura, una poesia" (Il Manifesto)
"L'ebreo vede la violenza come la giustificazione di Dio, la fedeltà alla promessa...Se dovessimo dire oggi dive è il Dio del Vasngelo, ebbene dovremmo dirlo...nel popolo umiliato...nel nuovo popolo della dispersione: in questo popolo palestinese che sostiuisce gli ebrei" (Gianni Baget Bozzo nel Manifesto)
"Questo genocidio che non ha precedenti nelle storie di ogni popolo civile...EBREI ASSASSINI" (ANPI di Palazzolo sull'Oglio)
"Dal momento della sua creazione...lo stato d'Israele ha scatenato ben cinque guerre d'aggressione e sterminio" (Mensile dell'Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti).
Ho evitato, per motivi di tempo, di leggerne altre non meno gravi di padre Ernesto Balducci, di Francesco Alberoni, di Luigi Firpo, di Paolo Gambino, fino al titolo di "Amica" che sintetizzava il concetto in una domanda rivolta al celebre regista Gillo Pontecorvo: "Non si vergogna di essere ebreo?".
La replica di Bertinotti è stata sconcertante: poiché la parola "ebreo" compariva di rado in questi articoli, non si poteva trattare di antisemitismo. Comunque, quei pochi imbecilli che avevo citati non erano significativi per dimostrare la mia tesi. E di Forattini, dopo che avevo incalzato Bertinotti ricordando le ignobili vignette che dalla Stampa e dall'Unità trasformavano gli ebrei nei nuovi nazisti e scagliavano contro di loro l'accusa di deicidio, il leader di Rifondazione ha detto che il vignettista era fuori tema in quanto nel frattempo si era spostato verso la destra dello schieramento politico italiano.
A quel punto ho ritenuto di ricordare come esempio di quel clima antisemita un episodio di cui avevo avuto esperienza diretta. Nel 1982 una Comunità ebraica aveva programmato per metà settembre, il periodo che coincideva con le festività ebraiche più solenni del capo d'anno e del Giorno dell'espiazione, la proiezione di un film in lingua yiddish girato in Polonia nei primi anni 30 e recuperato in una cineteca di Parigi. Casualmente, proprio in quei giorni si verificò la strage di Sabra e Chatila. Alcuni esponenti locali del PCI e della CGIL avevano comunicato al presidente di quella Comunità che avrebbero impedito la proiezione del film se egli non si fosse prima pronunciato contro il governo d'Israele. Il presidente (che pure notoriamente non condivideva la visione politica del primo ministro israeliano Begin) rifiutò con molta determinazione di acconsentire a quel ricatto.
In maniera non meno sconcertante Bertinotti ha sostenuto che quell' episodio non era dovuto ad antisemitismo, ma solo al legittimo uso della pressione politica per ottenere che gli ebrei italiani prendessero posizione contro il governo israeliano. Su questa interpretazione è nata una polemica che è proseguita a quattr'occhi, senza che io riuscissi a far modificare a Bertinotti la sua interpretazione, anche dopo la conclusione del convegno.
Concludo con un' opinione espressa da Bertinotti che deve far riflettere. Anna Borioni e poi Caldarola e Fassino avevano sottolineato che lo slogan "due stati per due popoli" non poteva più bastare alla sinistra e doveva essere sostituito dallo slogan "Due popoli, due stati, due democrazie". Ebbene, Bertinotti ha sostenuto che questo allargamento della rivendicazione alla richiesta che lo stato palestinese fosse democratico era improponibile e che la sinistra non avrebbe dovuto intromettersi nelle scelte future del costituendo stato palestinese.
Ho motivo di immaginare che altri convegni ed incontri possano in futuro proseguire sulla strada tracciata da questo, allo scopo di favorire una migliore comprensione da parte della sinistra per le ragioni d'Israele e per la reale essenza del sionismo. Di questo convegno e delle reazioni ad esso della stampa di sinistra si dovrà , organizzando i futuri convegni, conservare la memoria per mettere a fuoco con precisione gli snodi culturali e politici che ancora sono all'origine del pregiudizio negativo nei confronti di Israele, ma anche per far entrare nelle stanze della politica la consapevolezza della responsabilità che ne portano i media a causa dell' imprecisione, della superficialità, della negligenza e talora della malafede con cui informano - o disinformano - l' opinione pubblica.