Niente di fatto contro il pericolo dell'atomica iraniana
come contrastare in futuro i progetti del regime degli ayatollah ?
Testata:
Data: 25/11/2005
Pagina: 1
Autore: un giornalista - Alberto Ronchey
Titolo: L’ennesimo nulla di fatto sulla bomba islamica e il passetto russo-cinese - Se l'atomica è islamica
IL FOGLIO di venerdì 25 novembre 2005 pubblica in prima pagina l'articolo: "L’ennesimo nulla di fatto sulla bomba islamica e il passetto russo-cinese"
Roma. All’Agenzia atomica l’ennesimo D-day sul dossier nucleare di Teheran è scivolato via tra scontati avvertimenti europei e vaghe aperture iraniane. In un documento fatto circolare alla vigilia della riunione di ieri a Vienna, la troika dell’Unione europea – Regno Unito, Francia e Germania – ha aspramente condannato il possesso da parte di Teheran di disegni "che non potrebbero essere utilizzati per altro scopo se non la fabbricazione di una testata nucleare", ma come previsto nessuno ha spinto per un deferimento del caso Iran al Consiglio di sicurezza. Ogni decisione è stata rimandata al 6 dicembre, quando riprenderanno le trattative tra i negoziatori europei e quelli iraniani, con Mosca protagonista. "Dobbiamo fare quello che possiamo per esplorare la finestra di opportunità offerta dalla proposta russa, dobbiamo offrire più tempo alla diplomazia, perché i tempi non sono maturi", hanno spiegato fonti dell’Aiea. La troika europea sarebbe pronta a rimandare la richiesta di un stop definitivo a tutte le attività della centrale nucleare di Isfahan in vista di una ripresa della trattativa, una misura che consentirebbe a Teheran di difendere nuove concessioni dagli attacchi degli oltranzisti. Ma all’Agenzia atomica corre anche voce che la nuova dirigenza nucleare potrebbe perdere il controllo del dossier a favore del Consiglio per il discernimento presieduto dall’ex presidente Hashemi Rafsanjani, che in questi giorni ha sconfessato senza giri di parole l’operato del team di Mahmoud Ahmadinejad.
Nel frattempo, dopo aver fatto fuoco e fiamme, la nuova dirigenza iraniana – fiaccata da una serie di pericolosi passi falsi – ha aperto uno spiraglio. Dopo un primo sdegnato rifiuto, le autorità di Teheran hanno lasciato intendere che considereranno l’ipotesi di convertire l’uranio in patria e arricchirlo in un secondo momento in Russia. Sommerso dalle critiche, il negoziatore iraniano, Ali Larijani, si è esposto in prima persona ventilando al ministro degli Esteri inglese, Jack Straw, la sospensione delle operazioni per la conversione nella centrale di Isfahan (come richiesto nell’ultima risoluzione dell’Aiea) "per motivi tecnici", a patto che l’accordo rimanesse segreto (per non urtare la suscettibilità del nutrito partito nucleare), ma Straw ha rifiutato l’offerta. A Larijani non è rimasto altro che ordinare comunque l’alt "per esigenze strutturali" alle attività della centrale, come segno di buona volontà alla vigilia della riunione.
Nel frattempo, il ministro degli Esteri iraniano, Manuchehr Mottaki – pur sottolineando che l’Iran "aspira all’arricchimento sul suo territorio" – si è definito ottimista sulla ripresa del dialogo. Fiducioso anche il direttore dell’Aiea, Mohammed ElBaradei, che ha citato segnali positivi, tra cui l’apertura del sito militare di Parchin e l’assenza di tracce di materiali proibiti dai campioni prelevati nelle installazioni iraniane. Constatazioni che hanno aiutato Teheran a mantenere la sua alleanza con i paesi non allineati, tutti uniti nel sostenere che la controversia iraniana debba essere risolta nell’ambito della giurisdizione dell’agenzia. Ma dietro le quinte dell’ufficialità diplomatica qualcosa si muove. Se l’India recede dallo schieramento statunitense a causa di crescenti pressioni parlamentari, Pechino e Mosca – pur contrarie al deferimento del dossier iraniano – appaiono meno granitiche d’un tempo.

L’introvabile ministro del Petrolio
Intanto a Teheran, oltre alle incognite sul nucleare che si addensano sul suo orizzonte, il presidente iraniano Ahmadinejad incassa l’ennesima sconfitta. Aveva promesso di purificare la nazione dalle trame della mafia degli idrocarburi e di distribuire più equamente le rendite del petrolio, ma da agosto la poltrona di uno dei ministeri più strategici del paese è vacante e, per la terza volta, il candidato del presidente è stato bocciato. Su 254 parlamentari soltanto 77 hanno approvato la nomina di Mohsen Tasalloti al dicastero del Petrolio. Boicottano il presidente riformisti e pragmatici, ma anche un buon numero di "conservatori tradizionali" spaventati dalla retorica isolazionista di Ahmadinejad.
Nel braccio di ferro tutti gli accordi internazionali restano appesi a un filo. "E’ un fatto gravissimo che indebolisce anche la nostra posizione all’Opec", sottolinea il deputato conservatore Kazem Jalali. Monta infatti l’ incertezza per il futuro dei giacimenti di Azadegan legati ad un accordo da tre miliardi di dollari con il Giappone, ma sono in forse anche i destini della pipeline che dovrebbe approvvigionare di gas iraniano l’India e il Pakistan e un trattativa da 100 miliardi di dollari con la Cina.
In prima pagina il CORRIERE DELLA SERA pubblica un articolo di Alberto Ronchey, "Se l'atomica è islamica".

Ecco il testo:

Con il suo piano per la produzione di uranio arricchito, l'Iran aveva da tempo innescato una strenua vertenza internazionale. I governi europei e gli esperti dell'Aiea, l'agenzia dell'Onu impegnata contro la proliferazione delle armi nucleari, non riuscivano a ottenere garanzie che il progetto di Teheran fosse d'uso energetico civile, inconvertibile a piani militari. Erano elusivi anche i ragguagli del moderato Mohamad Khatami, presidente fino al 17 giugno, che rivendicava la «piena sovranità nazionale». Affioravano poi tendenze inclini all'aperto nazionalismo atomico, incuranti d'ogni allarme contro l'ulteriore proliferazione alla mercé di troppi governi capaci nel nostro tempo di provocare catastrofi planetarie. Il governo iraniano, replicavano, è del tutto responsabile.
Ma una clamorosa prova d'irresponsabilità l'ha fornita il neopresidente, Mahmoud Ahmadinejad, con quel discorso del 26 ottobre: «Israele va cancellato dalla carta geografica». L'aveva già detto l'Imam Khomeini, dal 1979. Ma Teheran allora, caduto lo Scià Reza Pahlavi con le sue ambizioni di strategia imperiale, non era sulla «soglia nucleare».
Oggi, si può rabbrividire anche solo dinanzi all'ipotesi che l'Iran arrivi a dotarsi di ordigni rudimentali.
Certo non è davvero probabile che Ahmadinejad, malgrado il suo temerario linguaggio dettato forse dal bisogno di scaricare sul nemico esterno le tensioni interne, persegua una diretta sfida nucleare con Israele. In quel caso, l'Iran sarebbe annientato dalle soverchianti e inevitabili rappresaglie. Ma Teheran, se non altro, potrebbe diffondere il timore d'un terrorismo atomico strisciante, grazie ai seguaci di Hamas, Jihad islamica palestinese, Hezbollah, o alle cellule di Bin Laden e Al Zarqawi. Anzi, con poche testate nucleari e i già schierati missili a medio raggio, avrebbe una pericolosa capacità intimidatoria in tutta l'area del Golfo e oltre. Sarà eccessivo il pessimismo di chi descrive un simile scenario, ma è anche necessario domandarsi come reagire dinanzi alle ipotesi peggiori.
Washington esclude l'opportunità, o l'azzardo, di colpire con preventive incursioni aeree basi nucleari di ricerca e sviluppo come quella d'Isfahan. Ogni ricorso al Consiglio di sicurezza dell'Onu, per ottenere la delibera di sanzioni, può urtare contro i veti della Cina e della Russia, motivabili da interessi economici o calcoli politici, sempreché all'ultima ora Pechino e Mosca non siano indotte a desistere dall'assunzione di responsabilità troppo gravi. Un blocco dei commerci occidentali, anche al rischio d'una ulteriore ascesa delle quotazioni petrolifere, avrebbe parziali effetti poiché l'interscambio degli Stati Uniti con l'Iran è insignificante.
Ora l'Iran ha respinto l'offerta compromissoria di svolgere sul territorio russo, con il parere favorevole di Bush, il trattamento finale dell'uranio. In pari tempo una lettera da Teheran, che forse teme malgrado tutto l'isolamento, ha invitato gli europei a riprendere i negoziati. La risposta è che prima venga sospeso il piano per la produzione d'uranio arricchito, come chiede l'Aiea, poi si potrà discutere. Con quali prospettive? In cambio della dichiarata rinuncia di Teheran al nazionalismo atomico, qualche diplomazia suggerisce che gli occidentali concedano investimenti, o aiuti per i 70 milioni d'iraniani spesso non succubi del regime. Ma è dubbio che l'operazione sia proponibile, oltreché praticabile, trattando con Ahmadinejad all'ombra dello sdegnoso e oracolare ayatollah Khamenei, al quale viene attribuita quella fatwa segreta che proclama: «L'atomica islamica è giusta».
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@ilfoglio.it ; lettere@corriere.it