IL RIFORMISTA di mercoledì 23 novembre 2005 pubblica a pagina 3 l'articolo "Anche Bertinotti va al convegno su Israele" sul seminario "La sinistra e Israele", che si terrà dalle 14 di giovedì 24 novembre 2005 presso il palazzo dell'informazione di piazza Mastai, a Roma e che vedrà la partecipazione di Peppino Calderola (con la relazione "Sionismo è una bella parola"), di Antonio Landolfi dello Sdi ("I socialisti e Israele) e di altri. Annunciata anche la presenza di Fausto Bertinotti, "la novità vera" del convegno, secondo Peppino Caldarola.
Deludente l'intervista a Fausto Bertinotti di Gianna Fregonara, pubblicata dal CORRIERE DELLA SERA di mercoledì 23 novembre 2005.
Apprezza il coraggio di Sharon , ma gli imputa l'"unilateralismo", senza porsi il problema di quanto il terrorismo palestinese, prima sostenuto da Arafat, poi non adeguatamente combattuto da Abu Mazen , l'abbia reso una via obbligata; dichiara conclusa una fantomatica fase "espansionista" della vita di Israele che in realtà ha sempre dovuto lottare per difendere la propria esistenza, appare ben lontano dal comprendere la portata offensiva e persino l'ignominia morale del terrorismo palestinese, tanto da dichiarare "Israele il dominus e gli altri i resistenti"...
Insomma, nulla di veramente nuovo, per ora, nella posizione di Rifondazione Comunista. Speriamo che il convegno romano porti consiglio...
Ecco il testo:ROMA — Onorevole Bertinotti, il progetto del partito della pace di Sharon piace anche alla sinistra riformista italiana. E a lei?
«A dire il vero autorevolissimi leader riformisti hanno avuto un atteggiamento molto attento. Da parte di altri ha prevalso invece la solita vocazione a correre in soccorso del vincitore. Si aggiunga che tutto ciò che entra in una relazione privilegiata con gli Stati Uniti viene guardato con un interesse particolare, tale da ridurre l'autorevolezza di una forza riformista».
Non negherà però l'importanza di quanto sta succedendo in Israele?
«Condivido quanto scritto dai giornali israeliani che parlano di un big bang come conseguenza del ritiro da Gaza, operazione che ha avuto non grandissima influenza nei rapporti tra Israele e Palestina, ma ha segnato la politica interna perché è stata il simbolo del tramonto del disegno del Grande Israele ».
Allora lei disse di Sharon che era coraggioso e stava facendo una cosa straordinaria. E oggi?
«Da quel momento c'è stata una torsione del sistema politico israeliano che ha provocato due rivoluzioni parallele: la rottura di Sharon con il Likud e l'arrivo di Peretz alla guida del partito laburista, per la prima volta un sefardita che porta come centrale la questione sociale nel programma laburista. Finito il Grande Israele, diventano importanti le questioni interne come in qualsiasi Paese europeo».
Israele un Paese «normale»?
«I partiti non si identificano più intorno al problema dell'esistenza di Israele, ma si tende a passare a una fase di laicizzazione e secolarizzazione, un vero e proprio cambiamento dei costumi della società. Da oggi le forze politiche tenderanno a dividersi su quale modello di Israele. E infatti, con l'assunzione di responsabilità politica di Peretz prende corpo una sinistra socialista e laica, direi internazionalista. Persiste la destra nazionalista, con forti componenti religiose, e iperliberista e si viene costituendo il centro moderato, borghese e molto costruito anche su idee neo liberiste temperate: si tratta di quella che in Europa è la Grande coalizione».
Intende dire che non c'è più il problema della sopravvivenza di Israele?
«Dico che è finita la fase espansionistica di Israele: i tre schieramenti hanno tre risposte per quello che resta un problema, la soluzione della questione con i palestinesi. Non viene di colpo cancellato il problema della presenza dello Stato in un'area così massicciamente araba e musulmana. Non mi sfugge poi la nascita di un fondamentalismo nel mondo arabo e di costruzioni teocratiche come quella iraniana che rappresentano un elemento preoccupante. Ma penso che la Comunità internazionale sia in grado di isolarli e sconfiggerli. Tra le cause di questo fondamentalismo c'è anche una parte che riguarda Israele, che con i muri e la colonizzazione ha dato una spinta alla crescita di queste politiche».
Lei parla di una transizione epocale dentro Israele, la conclusione positiva del processo passa per la vittoria di Sharon?
«Passa per la pace con i palestinesi. Che non deve essere una pace octroyé, concessa, ma una pace negoziata con i palestinesi. La tentazione che vedo nell'operazione di Sharon è quella di puntare sull'unilateralismo».
Questo terremoto interno a Israele avrà qualche effetto anche sulla politica dell'Anp? Che cosa pensa che debbano fare i Palestinesi?
«Non dimentichiamo l'asimmetria: Israele è il dominus e gli altri i resistenti. Non è vero che Sharon sta a Israele come l'Anp sta alla Palestina. Non imbrogliamo le carte. Non si può chiedere ai palestinesi di essere Stato sovrano laddove non lo sono. Ed è per questo che l'intervento internazionale non è surrogabile, in una conferenza di pace che riequilibri questa relazione».
Lei ha detto che Israele sta diventando dal punto di vista politico simile agli Stati europei. Si può immaginare un futuro più vicino all' Unione Europea?
«E' una linea di fuga, dannosa: se l'Occidente continua a far credere che Israele è una sentinella dell'Occidente fa il male di Israele».
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