L'UNITA' di venerdì 18 novembre 2005 pubblica a pagina 12 un'intervista di Umberto De giovannangeli a Guy Bechor sul pericolo iraniano.
Il titolo "L'unico vero nemico di Israele è l'Iran", appare forviante. Bechor infatti non afferma che non esistono altri nemici di Israele oltre al regime degli ayatollah e che non sia necessario rispondere alle loro aggressioni.
Afferma soltanto l'Iran è l'unico dei nemici di Israele militarmente in grado di tentare di attuare i suoi propositi di distruzione.
Alcune domande di De Giovannangeli ("dunque il pericolo dell'atomica non è così grave e imminente?", parlandom dei nemici di Israele lei ricorda solo l'Iran...") appaiono piuttosto tendenziose e obbligano Bechor a precisazioni( "non voglio essere frainteso (...) penso purtroppo che abreve medio terminela corsa all'armamento nucleare sia un pericolo più che tangibile"; "è sempre alto il rischio dell'esplosione di una terza intifada in Cisgiordania".)
Ecco il testo:PER METTERE A FUOCO le strategie antiterrorismo di Israele e per coglierne le priorità geopolitiche non c'è cosa migliore che indirizzarsi al Centro Interdisciplinare di Studi Strategici di Herzliya, il più importante di Israele, Guy Bechor è uno dei ricercatori di punta. «Il nostro incubo - sottolinea il professor Bechor - ha un nome: Iran». E in questa intervista a l'Unità spiega il perché.
Le minacce del presidente iraniano Ahmadinejad contro Israele hanno sollevato una fortissima protesta della comunità internazionale. Ma perché questa volta le reazioni sono state diverse rispetto al passato? C'è una qualche indicazione che il pericolo è oggi più tangibile?
«Per meglio capire l'inusuale massa di reazioni mondiali, bisogna prendere in considerazione le circostanze e l'atmosfera politica internazionale che hanno reso queste dichiarazioni inaccettabili al mondo. Siamo testimoni e vittime di un terrorismo di stampo jihadista che colpisce in ogni parte del pianeta senza tregua, mentre Israele si è guadagnato molto "credito" con l'uscita dalla Striscia di Gaza, superando la situazione di scontro politico nella quale si era trovato con diversi Paesi europei per lunghi anni. D'altronde, gli iraniani sono stati sorpresi quanto noi. Abituati come sono stati per anni, a potersi permettere un linguaggio che era diventato legittimo, quasi paradigmatico, almeno quando era usato verso l'opinione pubblica interna, sono stati spiazzati dalla veemenza delle reazioni contrarie. C'è qui, probabilmente, anche una certa dose di inesperienza del presidente iraniano, che non ha saputo comprendere che i mezzi del passato non sono sempre e necessariamente buoni anche per il presente».
Vale a dire?
«L'Iran si trova sotto pressione. Il regime teocratico istituito da Khomeini nel 1979 aveva cacciato lo Scià accusandolo fra l'altro di aver usato mezzi terribili per mantenere il proprio potere. Gli eredi di Khomeini usano oggi quegli stessi mezzi e probabilmente anche di peggiori. La situazione economica e le condizioni sociali si sono senz'altro aggravate ed è chiaro a moltissimi in Iran che la rivoluzione khomeinista ha arrecato al Paese danni incalcolabili. Insieme alla massa incolta, c'è in Iran una parte importante della società, e al suo interno moltissimi giovani, che capisce e parla inglese, che attinge notizie dall'esterno, che scambia informazioni e partecipa a chat e blog, e che attraverso internet esprime il proprio malcontento. Il regime è ben conscio di tutto questo e per deviare l'attenzione e il malcontento delle masse, tenta di usare quel sistema che sempre, in passato, si era rivelato una ricetta sicura: incanalare la rabbia verso Israele per far dimenticare i problemi interni».
Dunque il pericolo dell'atomica non è così grave e imminente?
«No, non voglio essere frainteso. Anche se sono convinto che il regime iraniano sia in un chiaro declino e che la sua fine non è lontanissima, penso purtroppo che a breve e medio termine la corsa all'armamento nucleare sia un pericolo più che tangibile, perché è il modo in cui la leadership di Teheran sente di poter assicurarsi la propria sopravvivenza ponendosi come una potenza nucleare di fronte a Pakistan, India, Russia, nel tentativo di ottenere il massimo controllo sulle risorse petrolifere della zona. E questo il mondo non può accettarlo rimanendo a braccia conserte. Resta da vedere cosa avverrà prima: la caduta del regime di Teheran o il conseguimento dell' atomica».
Parlando dei pericoli per Israele, lei ricorda solo l'Iran ...
«Si, perché è l'unico Paese nel mondo arabo e islamico che è in grado, e ha nei suoi piani, di attentare all'esistenza stessa di Israele. La Siria, già in fase di indebolimento dall'82, è oggi sulla difensiva, alle prese con le pesanti richieste avanzate al regime di Damasco da Usa ed Europa. Giordania ed Egitto sono in una situazione di pace formale e hanno attivato anche alcune forme di collaborazione con Israele. Con il Libano non c'è una pace formale ma si è arrivati ad una situazione di stabilità. La Libia è uscita dalla cerchia del conflitto. La forza di Hezbollah è in declino ed il suo futuro incerto. Paesi più lontani quali Marocco e Tunisia, così come l'Arabia Saudita e gli Emirati del Golfo, riallacciano le relazioni diplomatiche con Israele e/o annullano l'embargo economico. Nel conflitto più vicino e doloroso, quello con i palestinesi, Israele dopo il ritiro da Gaza si trova oggi in una posizione privilegiata - anche se è sempre alto il rischio dell'esplosione di una terza Intifada in Cisgiordania - fermo restando che in termini di minaccia all'esistenza fisica dello Stato d'Israele, i palestinesi non hanno mai raggiunto questo "status". Rimane quindi solo l'ombra dell'Iran che però, prima ancora di allungarsi su Israele, si propaga minacciosa sui Paesi vicini e, in una proiezione geografica e temporale, mette in pericolo non solo l'esistenza di Israele e la sicurezza regionale, ma gli stessi equilibri mondiali».
u.d.g
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