Rabin e la sua eredità
intervento di Ehud Gol, ambasciatore di Israele in Italia
Testata:
Data: 15/11/2005
Pagina: 4
Autore: Ehud Gol
Titolo: Lo spirito di Ytzhak
IL FOGLIO di martedì 15 novembre 2005 pubblica a pagina 4 un articolo di Ehud Gol, amabasciatore d'Israele in Italia, che commemora Ytzhak Rabin.

Ecco il testo:

Al direttore - Lo scorso sabato sera, a Tel
Aviv, si sono raccolte oltre duecentomila
persone, per commemorare Yitzhak Rabin
nel decimo anniversario del suo assassinio.
Ieri, che secondo il calendario ebraico, il
12 di Cheshvan, era la data esatta della sua
morte, oltre ai suoi familiari e ai suoi amici
più stretti, anche molti leader internazionali,
con in testa Bill Clinton, suo partner
nel processo di pace in medio oriente,
si sono recati a visitare la sua tomba a Gerusalemme.
Sia durante il raduno in piazza, sia sulla
sua tomba, sia nella sessione speciale della
Knesset, il Parlamento israeliano, si è
parlato ampliamente dell’eredità di quest’uomo
e della visione che ha lasciato ai
posteri.
Yitzhak Rabin era un uomo d’armi, che
per ventisette anni ha combattuto tutte le
guerre d’Israele, per garantire la pace e la
sicurezza del suo paese. Con la stessa devozione,
la stessa fervente fede e lo stesso
spirito di sacrificio che lo caratterizzarono
quale uomo d’armi, Rabin decise di dedicarsi
da politico alla risoluzione del conflitto
israelo-palestinese e al conseguimento
di una pace vera per i due popoli.
A dieci anni dalla sua scomparsa è molto
difficile stimare l’enorme danno causato
al processo di pace dalla sua tragica morte,
tuttavia, anche al di là della dimensione
temporale, è chiaro a tutti noi israeliani
che l’assassinio di Rabin, ad opera di un
folle estremista, ha scosso i pilastri fondamentali
della società israeliana.
Il dibattito politico in Israele è sempre
stato carico di elementi ideologici, ma nessuno
si aspettava che questo confronto oltrepassasse
i limiti della violenza. Vi erano
stati, sì, dei segnali e delle avvisaglie, ma
l’assassinio ha comunque lasciato un vuoto
e provocato uno shock tale che, per lenirne
il dolore, se sarà affatto possibile, saranno
necessarie decine di anni.
Abbiamo un’altra occasione, non buttiamola
Rabin era disposto ad assumere dei rischi
per la pace. Questo è in effetti il cuore
stesso del confronto politico in Israele: fino
a che punto lo Stato d’Israele può permettersi
il lusso di sacrificare delle vite e di fare
concessioni. Il desiderio di pace è il comune
denominatore della stragrande maggioranza
degli israeliani, ma l’origine della
discordia era ed è tuttora esistente e attuale:
qual è il prezzo che dobbiamo pagare in
cambio dell’agognata pace?
I dieci anni trascorsi dalla morte di Rabin
sono stati caratterizzati da alti e bassi.
In particolare penso alla campagna di terrore
e di violenza condotta da Arafat, per
raggiungere i propri obiettivi. Con la sua
scomparsa si sono create molte opportunità,
e solo tre mesi fa Israele ha portato a
termine un processo ardito e coraggioso,
colmo di rischi, ma anche di nuove prospettive.
Il ritiro da Gaza può essere la
chiave per il successo del processo di pace,
basta che si trovino dei partner degni anche
dall’altra parte.
Rabin, al pari dei leader israeliani che
l’hanno preceduto e seguito, credeva che la
chiave per ogni soluzione sta nella solidità
della sicurezza dello Stato d’Israele. Al contempo
egli credeva nel dialogo con i nostri
vicini e in una soluzione basata su due stati
per due popoli.
La sensazione provata dalle centinaia di
migliaia di persone, sabato scorso in piazza,
e dal resto dei partecipanti alle varie
commemorazioni, compresa quella di ieri
presso la tomba di Rabin, è che davvero
Israele stia agendo con questo spirito, che
ci troviamo di fronte a una rara occasione
per mettere fine allo spargimento di sangue,
e che non possiamo sprecarla.
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