L'UNITA' di lunedì 14 novembre 2005 pubblica in prima pagina e a èagina 25 un articolo di Maurizio Chierici, "Falluja silenzio stampa", nel quale viene formulato un esplicito paragone tra il comportamento delle forze armate americane in Iraq e il nazismo e tra la battaglia di Falluja e lo sterminio degli ebrei.
L'uso del fosforo bianco contro obiettivi umani è stato seccamente smentito dagli americani e ancora non è stato provato il contrario.
In ogni caso, nessuno ha accusato gli Stati Uniti di aver bersagliato con le armi al fosforo obiettivi civili e andrebbe ricordato che la battaglia di Falluja è iniziata solo dopo che le truppe americane avevano assicurato l'evacuazione della popolazione civile (non accettata da tutti i non combattenti).
Vedere in questa condotta qualcosa di simile al nazismo ci sembra, come minimo, una violenta deformazione propagandistica.
Come pure gli insulti contro Massimo Teodori, reo di avere tentato, durante una trasmissione televisiva, dirispondere all'uso propagandistico delle tuttora frammentarie e dubbie informazioni sulla vicenda di Falluja.
Ecco il testo:Non è facile dirlo ma sono spaventato dalla violenza quotidiana della quale noi perbene ci dichiariamo incolpevoli. Il male è sempre la piaga degli altri. non spaventano solo le periferie che bruciano, o le mafie che sparano, o le guerre che continuano il loro trionfo tra squilli e bandiere e poi un po' di morti altrimenti che guerra è. L'angoscia di una società impaurita dal futuro è l'indifferenza: far finta di niente alzando il volume delle vioci e delle cose inutili per soffocare le voci del disagio.
Stiamo bene così fino a quando le voci non scoppiano. Per fare un esempio televisivo, trascurando il Vespa indaffaratissimo tra ricette politiche e ricette gastronomiche, ho raccolto la citazione di uno spazio serio: Primo Piano, Rai 3, Tv di venerdì sera.
Negli anni cinquanta il dubbio che accompagnava nuove e vecchie generazioni voleva scoprire se la gente qualsiasi della Germania nazista sapesse o non sapesse dei campi di sterminio. Adesso noi sappiamo quasi tutto su ciò che succede attorno, eppure, come certi tedeschi di allora, facciamo finta di niente.
«Non sono state uccise brave persone, ma terroristi e tagliatori di teste che si facevano scudo dei civili». Sessant'anni dopo il processo di Norimberga, tornano le stesse parole - proprio le stesse - non come esercizio di memoria per evocare l'alibi al quale inutilmente si aggrappava Hans Frank, governatore nazista della Polonia, condannato a morte per i massacri nel ghetto di Varsavia. Aggiornate al fosforo, le considerazioni Tv pretendevano di spiegare l'innocenza delle polveri bianche rovesciate sulla popolazione di Falluja, proprio un anno fa, anniversario da festeggiare. Spiegavano con assoluta serietà che solo per un caso sfortunato, assieme ai terroristi sopravvissuti a Saddam, le polveri avevano bruciato gente qualsiasi: stava dormendo, o faceva bollire la pentola, o sgranava i rosari laici del passatempo arabo, o correva nel buio della strada col passo di chi scappa dal volo degli elicotteri. Ma per favore, non esageriamo: un piccolo dramma. Anche perché «la guerra è guerra. Che si usino queste o quelle armi in fondo è la stessa cosa...». Nel riascoltare ovvietà che non escono dalla memoria della storia orribile, ma appartengono alla cronaca baci e abbracci dei rapporti diplomatici dell'Italia berlusconiana, il disagio è esasperato dal moralista che si affaccia nello schermo. Non un boia chi molla; purtroppo un vecchio radicale giacca e cravatta, democrazia coltivata nell'innamoramento della stessa America i cui insegnamenti hanno educato alla democrazia le generazioni del dopoguerra. Ma difenderne il mito non vuol dire chiudere per sempre gli occhi e ignorare le ambiguità. Esistono tante americhe come esistono tante italie. I ragazzi che sfilano a Locri hanno più o meno la stessa età e parlano lo stesso dialetto dei ragazzi che sparano per mafia. Eppure sono diversi. Bush figlio e Bush padre inseguono interessi familiari in contanti, lontani dagli interessi di altri presidenti americani o di Tomas Merton, Faulkner, Norman Mailer, Bob Dylan, Oliver Stone, eccetera, eccetera, America della speranza. Ecco perché l'altra sera un intellettuale politico come Massimo Teodori, si è rimpicciolito nel sintomo di un malessere davvero inguaribile se le nuove generazioni non strapperanno le abitudini sociali dall'abitudine che perseguita le nostre politiche: quel limbo infame dell'indifferenza. «Anticamera della non vergogna», scrive Ernesto Sabato, ultimo grande vecchio della letteratura argentina. Nella prefazione al rapporto «Nunca Mas», mai più, sintetizza lo sconforto della commissione incaricata di indagare sulle 32 mila persone uccise, una per una, da militari che rivendicavano la legittimità dell'obbedienza assoluta alla dittatura. Come mai la gente che sapeva ha taciuto?
Perché gli ampi sorrisi di persone accusate d'aver programmato delitti collettivi o corruzioni devastanti possono risplendere in pubblico senza protesta? Non dobbiamo assolvere con la giustificazione dell'opportunità e della convivenza i responsabili del dolore, della miseria, della distruzione. Non possiamo mostrare queste persone ai ragazzi senza distinguere e spiegare, quasi si trattasse di gente normale. Ecco l'oscenità di un certo modo di comunicare. Educare le nuove generazioni lasciandole nell'incertezza: sono eroi o criminali?». Bisogna riconoscerlo, Teodori è un sintomo tutt'altro che isolato dalla moltitudine che preferisce confondere napal modificato e i vapori al fosforo con i fuochi di Piedigrotta. E non è isolato dai giornali che decidono di non parlarne per affidarsi ai luoghi comuni in quanto ogni esame di coscienza rischia di destabilizzare.
Non è la debolezza di oggi: è sempre andata così. Gli archivi del Corriere della Sera conservano la lettera di Alceo Valcini, corrispondente nella Varsavia «liberata» dai nazisti. Scrive al «commendator Borrelli» direttore del giornale per conto del regime. Negli ambienti diplomatici girano voci, e non solo voci ma testimonianze - assicura rispettosamente Valcini - su massacri misteriosi. Gli ebrei vengono trasferiti dal ghetto, dove vivono praticamente da prigionieri, in campi di lavoro. Si riferisce che lungo le linee ferroviarie vi sarebbero centinaia di corpi abbandonati con ferite da arma da fuoco.
A proposito dei campi, le informazioni diventano più tragiche. Parlano di esecuzioni di massa. Valcini chiede al direttore cosa fare: scrivere articoli o mandare notizie riservate? Borrelli non risponde ma spedisce a Praga l'inviato storico Paolo Monelli per verificare la fondatezza di ciò che scrive Valcini, soprattutto controllare se la fede politica del giornalista «si sia intiepidita». Valcini protesta con un'altra lettera - «la mia adesione al fascismo risale in tempi non sospetti e si mantiene fervida» - ma non ottiene risposta. Comincia l'abitudine al silenzio che, attraverso una catena di stragi vicine e lontane, arriva alla strage di Falluja. Se ne parlerà in futuro quando la storia l'avrà imbalsamata. Per il momento far finta di niente sembra una soluzione equilibrata. Rispettosa verso l'alleato americano sulla cui lealtà meglio non dubitare. Svelena la polemica a proposito delle nostre truppe comandate a pagare col sangue la guardia al petrolio Eni di Nassiriya. Allontana il sospetto che perseguita giornalisti troppo curiosi su Falluja: spariscono, vengono uccisi, rapiti come Giuliana Sgrena o misteriosamente colpiti a morte quando liberano la Sgrena che ha raccolto le voci dei profughi di Fallujia. Girotondo infernale. Povero Calipari. Meglio seguire l'esempio dei reporter embedded: al ritorno fanno carriera. La risposta dell'ambasciata americana riporta «serenità nel rispetto della verità». È vero, un po’ di polvere è stata lanciata; un niente per illuminare nella notte i nascondigli degli infami. «Per favore non facciamo paragoni col bombardamento di Dresda, ultima guerra mondiale. Erano tonnellate di fosforo. Qui solo un po’». Ma i problemi sollevati dall'inchiesta RaiNews24 di Sigfrido Ranucci, scavalcano il bombardamento chimico di Falluja con un interrogativo che è vecchio ma ormai nuovo: come mai le inchieste sono diventate pezzi unici nella vetrina dell'informazione? Se ne fanno sempre meno, soprattutto in Tv. Report resta l'esempio quasi isolato. Meglio chiacchierare, uno di destra, uno di sinistra: se la gente non sa e non capisce, pazienza. Par condicio rispettata. Proprio le polveri di Falluja riaprono la ferita. Silenzio delle altre Tv, con l'eccezione del Tg3. Berlusconi non vuole infastidire l'amico americano già nei guai e Mediaset fa la cuccia. La Rai è un servizio pubblico abbastanza privatizzato: lascia perdere.
Ma i giornali? La notizia diventa lo scoop che fa parlare: solo una curiosità che il giorno dopo sparisce. E come se all'indomani della scoperta dei corpi nelle Fosse Ardeatine, lavata la coscienza con qualche prima pagina, nessun giornale avesse cercato di sapere chi ha sparato, chi ha dato gli ordini e quale destino ha trascinato le vittime nelle grotte della morte. D'accordo, i caduti delle Ardeatine sono italiani; i bruciati di Falluja chissà chi sono. Lasciamo tempo al tempo, la gente dimenticherà. Così come ha dimenticato il museo degli orrori di Saigon, reparto dell'ospedale che cura le ferite della guerra chimica. Ogni anno 18 mila donne vanno a farsi vedere col cuore in gola: i figli che stanno per nascere possono essere bambini diversi. Diversi perché la madre e il padre hanno vissuto l'infanzia avvolti nella guerra liquida dei defoglianti Usa. Continuano a nascere bambini già morti e bambini mostruosi. Due teste, l'occhio in mezzo alla fronte. Dietro la porta di una piccola stanza corrono scaffali che non portano libri. È l'archivio dei mostri. Galleggiano nei vasi di vetro. Fanno paura non per l'aspetto che deforma senza pietà l'immagine dell'uomo, ma per l'avvertimento che continua a perseguitare: un certo tipo di guerra non finisce mai. Anche allora nessuno ha chiesto scusa. O ha ammesso che l'agente orange, polvere dal bel colore, poteva cambiare vita e connotati alle generazioni future.
Adesso che tutti sappiamo, perché tanta timidezza nell'accertare se le immagini e le interviste di Rainews sono vere o false? Finora voci solo dell'opposizione, governo muto. L'Unione ha chiesto al ministro Martino di riferire in Parlamento. Rifondazione ha allargato il problema all'attenzione di Bruxelles. L'Unità e Il Manifesto sono i giornali che continuano a cercare chiarezza. Liberazione ha organizzato per oggi un sit in davanti all'ambasciata americana, via Veneto. Domani sit-in a Milano. Voglia disperata di sapere se il fosforo è l'abitudine nascosta che continua a bruciare migliaia di persone, sia pure non italiane e non cattoliche, ma sempre gente come noi.
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