IL FOGLIO di martedì 8 novembre 2005 pubblica in prima pagina e pagina 3 dell'inserto un'intervista di Anna Barducci Mahjar all'analista iraniano in esilio Amir Taheri sulle violenze scoppiate in Francia.
Ecco il testo:Roma. "La Francia sta attraversando una
crisi d’identità – dice al Foglio Amir Taheri,
analista politico iraniano con base in Europa
– Gli ultimi avvenimenti nella banlieue parigina
ne sono semplicemente un sintomo". A
Clichy-sous-Bois, dov’è cominciata la rivolta,
più dell’80 per cento degli abitanti è composto
da immigrati musulmani in prevalenza
arabi e africani. In altre zone della città gli
stranieri oscillano dal 30 al 60 per cento. Il
tasso di disoccupazione – ha scritto Taheri –
in queste aree periferiche è del 30 per cento,
mentre i giovani immigrati in cerca di lavoro
raggiungono il 60 per cento. In questi sobborghi,
costruiti negli anni Cinquanta riproducendo
le abitazioni sovietiche dell’epoca stalinista,
gli immigrati vivono in condizioni misere
– scrive Taheri – e vedono la "vera vita
francese" soltanto in televisione. "L’ondata di
stranieri ha cambiato il volto al paese – dice
l’analista iraniano – la Francia deve affrontare
il suo mutamento identitario. Nessuno a
Parigi sta affrontando questo argomento, perché
mentre gli americani s’identificano
nella Costituzione,
i francesi si riconoscono
nella loro cultura, e questo
cambiamento li spaventa".
Taheri lo dice chiaro: la
politica di "assimilazione"
d’oltralpe, che doveva far
diventare gli immigrati appartenenti
a qualsiasi
background sociale in "veri
francesi" in poco più di
una generazione, ha fallito.
Parigi continua a sbagliare nella risposta
all’"intifada" delle periferie. "La repressione
e la tecnocrazia sono quasi inutili –
spiega – Queste devono essere accompagnate
dall’apertura di un immediato dibattito
culturale per trovare un minimo comune
denominatore su cui tutti, inclusi gli immigrati,
possono essere d’accordo. A oggi
l’unica cosa che accomuna i francesi agli
stranieri in Francia sono i documenti di cittadinanza".
La situazione, per Taheri, non
può essere paragonata agli immigrati italiani
dal sud al nord, perché la religione
era la stessa e la lingua "più o meno simile".
A Parigi molti immigrati non conoscono
il francese e il modo di vivere è opposto
a quello cui sono abituati. Per Taheri, "l’assimilazione
alla francese" risulta quindi
quasi impossibile, se si considera che nelle
scuole delle aree periferiche di Parigi
meno del 20 per cento degli alunni è madrelingua.
e il pericolo dell’"alternativa"
Il numero di immigrati
è in crescita e più i "beurs" aumentano,
più gli oriundi si trasferiscono in zone
"più calme". In alcune aree è possibile trascorrere
l’intera vita senza parlare in francese
e senza familiarizzare con alcun
aspetto della cultura del paese. Il risultato
è l’alienazione. Questo offre l’opportunità
ai fondamentalisti islamici di sfruttare la
situazione per propagare il loro messaggio
religioso-integralista e di apartheid culturale.
Taheri, inoltre, spiega che i fondamentalisti
vogliono imporre ai musulmani
francesi di organizzarsi sulla base del sistema
"millet", che sotto l’impero ottomano
divenne un termine tecnico utilizzato
per identificare le comunità religioso-politiche
organizzate e riconosciute, che godevano
di certi diritti e di una certa autonomia.
"Questo sistema funzionava sotto gli
ottomani e ha regalato loro la pace per un
lungo periodo – dice Taheri – La differenza
è che allora la maggioranza era musulmana,
mentre oggi non lo è più ed è diventata
una minoranza", strumentalizzata da
islamisti convinti di essere ancora una
maggioranza. Questi cercano di imporre
una cultura alternativa a quella francese,
che ha invece richiesto un "islam d’oltralpe".
Per questo, la Francia ha adesso bisogno
di un secondo illuminismo: quello delle
minoranze.
Alla fine Taheri commenta anche le affermazioni
contro Israele di Mahmoud Ahmadinejad.
"L’occidente non deve sottovalutare
questo uomo dall’aria umile – dice
Taheri – da quando è salito al potere ha
messo in pratica le basi per una Seconda
rivoluzione islamica, iniziando in primo
luogo dall’assetto governativo". Il presidente
iraniano ha poi rinstaurato il concetto
dell’"imam nascosto", il Mahdi (figura
messianica), come concetto chiave della
vita politica, culturale, economica e sociale
del paese. "Ahmadinejad ha scritto e firmato
un patto con l’imam nascosto – dice
Taheri – Così si è svincolato dalle decisioni
dei mullah e della Guida suprema".
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita lettere@ilfoglio.it