Il CORRIERE DELLA SERA pubblica in prima pagina e apagina 26 un articolo di Magdi Allam sulle consultazioni elttorali che si apriranno in Egitto il 9 novembre.
Ecco il testo:La grossa novità delle elezioni legislative che si inaugurano il 9 novembre in Egitto potrebbe essere lo sdoganamento dei Fratelli Musulmani. All'insegna di un tacito compromesso con il regime di Mubarak su una spartizione più o meno concordata dei seggi del nuovo Parlamento, che farebbe emergere il movimento islamico come la principale forza d'opposizione.
E sulla base di un'ipotesi, condivisa con aspettative contrapposte, secondo cui sarebbe possibile perseguire per via democratica il traguardo di uno Stato islamico che abbia il Corano come Costituzione.
Le previsioni sull'accordo sottobanco trovano conforto nell'impellente necessità di compattamento e di legittimazione del Pnd (Partito nazional-democratico) che detiene l'88,6% dei seggi del Parlamento uscente. Già alle scorse elezioni del 2000 Mubarak riuscì ad assicurarsi il monopolio del potere soltanto convincendo 213 deputati «indipendenti» ad aderire al Pnd, che si aggiunsero ai 175 eletti del Pnd. E ora si riassiste alla lacerazione in seno ai troppi candidati che, non godendo dell'avallo del Pnd, si presentano come «indipendenti». Tra loro ci sono figure di spicco del Pnd che fronteggeranno personalità al potere a loro preferite da Mubarak.
Si tratta probabilmente di un gioco di ruoli per perpetuare un regime monolitico. Ma al tempo stesso l'immagine del Pnd in conflitto con se stesso è il sintomo della profonda malattia di un sistema politico in cui i partiti non hanno un reale radicamento popolare e, soprattutto, in cui è abissale la distanza che separa la politica dal Paese reale. Basti considerare che solo il 25% degli elettori si recò a votare alle scorse legislative e ancor meno, il 23%, è stata l'affluenza alle urne alle presidenziali del 7 settembre scorso che hanno incoronato Mubarak per un quinto mandato successivo di sei anni con l'88,6% dei suffragi.
E' in questo contesto di miseria della politica che il movimento islamico militante appare come una invincibile macchina da guerra. Che Mubarak immagina di contenere offrendo un compromesso ai Fratelli Musulmani.
Sui 444 seggi del Parlamento assegnati con il sistema maggioritario, per cui concorrono 5.310 candidati, tra i 50 e i 70 seggi dovrebbero andare ai Fratelli Musulmani, contro i 17 attualmente detenuti. «Avremmo potuto presentare 444 candidati alla stregua del Pnd», ha dichiarato la «guida spirituale» Mohamed Mahdi Akef, «ma abbiamo deciso di non provocarli e di proporre solo 150 candidati». Strana logica di gestione di una democrazia più formale che sostanziale, dove la spartizione del potere viene stabilita dietro le quinte, mentre alla base non resta che ratificare decisioni imposte dall'alto. Ed è così che i Fratelli Musulmani, messi fuorilegge da Nasser nel 1954, di fatto riabilitati da Sadat nel 1970, potrebbero essere presto legalizzati da Mubarak. Che si tratti di un tacito accordo lo attesta anche la decisione dei Fratelli Musulmani di non concorrere alle elezioni in seno al neonato «Fronte nazionale per il cambiamento», a cui aderiscono 11 partiti nazionalisti, liberali e di sinistra.
Chi avesse dubbi sulle intenzioni dei Fratelli Musulmani non deve far altro che entrare nel loro sito
www.ikhwanonline.com ed ascoltare l'inno, dal ritmo accattivante a metà tra marcia militare e rap moderno, che prende nome dalla loro parola d'ordine: «L'islam è la soluzione». Mubarak sembra volere legalizzare e far emergere i Fratelli Musulmani per scrollarsi da dosso l'accusa di essere un dittatore, modificando quel tanto che basta il quadro della democrazia formale, ma al tempo stesso per ammonire l'Occidente dal rischio dell'avvento al potere degli integralisti islamici qualora si insistesse per uno scrupoloso rispetto della democrazia sostanziale.
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