Le idee e le ragioni della fiaccolata per Israele e per la libertà dei popoli del Medio Oriente
espresse da Giuliano Ferrara, Magdi Allam, Emilia Guarnieri e Riccardo di Segni
Testata:
Data: 04/11/2005
Pagina: 1
Autore: Giuliano Ferrara - Magdi Allam - Emilia Guarnieri - Riccardo Di Segni
Titolo: mailto:lettere@ilfoglio.it
IL FOGLIO di venerdì 4 novembre 2005 pubblica in prima pagina un editoriale di Giuliano Ferrara che spiega "Com'è nata la fiaccolata dei meticci" in difesa del diritto all'esistenza di Israele.

Ecco il testo:

Come è nata la fiaccolata? E’ strano, perché non siamo idealisti, ma è nata da un’idea. Comunicata per telefono venerdì mattina della scorsa settimana dal direttore ai vicedirettori di questo giornale. Comunicata a Pannella e Boselli che registravano una puntata di Otto e mezzo alle dieci di quel giorno, e hanno aderito per primi, di cuore. In rapida sequenza, poi, la riunione di redazione per fare il giornalone di sabato con la convocazione della fiaccolata e il primo titolone rosso, scrittura delle tre righe di appello firmato poi in rigoroso ordine alfabetico da una immensa quantità di brava gente (i "molti, diversi, opposti, normali, strani, uniti" dei nostri titoli successivi), l’appuntamento con Paolo Del Bufalo, che aveva curato con la sua agenzia anche la giornata per Israele del 15 aprile del 2002, reperimento indirizzo ambasciata iraniana, richiesta di permesso in questura, confezione del manifesto (bruttino, ma chiaro), ordinativi per le fiaccole, prenotazione del camion per un po’ di musica e i discorsi. Il tutto per tredicimila euro, novemila euro erano il rimanente della vecchia sottoscrizione della "società dei liberi", lanciata all’epoca del "caso Buttiglione", il resto lo ha messo il supercassiere del Foglio, mica tanto generoso in genere.
Ora voi direte, magari influenzati dalle frivolezze e dalle obliquità che si scrivono in genere su di noi. Non ce la conti giusta, caro elefantino, era tutto calcolato, era tutto un marketing per dividere la sinistra, unire la destra, spostare il centro, eteropilotare i giornali e le tv… ma sono scemenze anche un po’ disgustose. I direttori di giornale e di tg hanno chiamato, si sono associati, ci hanno creduto, così anche i singoli, i gruppi e i partiti, e le notizie dall’Iran, la visita infuocata del ministro degli Esteri a Gerusalemme, la folle evoluzione estremista dei pasdaran di Ahmadinejad hanno fatto il resto. Non abbiamo raccolto nemmeno una polemica, anzi le abbiamo spente, non abbiamo bacchettato nessuno, blandito nessuno. L’ideuzza si è fatta strada da sola, camminando sulle gambe della realtà: e questo tipo di idealismo già ci piace un po’ di più. Bipartisan? Trasversale? No, fiaccolata meticcia (e ci dispiace per Pera e per i suoi scioglilingua nocivi; e ci dispiace per Lerner, il superintegrato che si finge bastardo, e per i suoi distinguo posticci). Gli oratori sono stati consultati per telefono, e hanno detto di sì senza remore. Noi non beviamo la rassicurazione culturale di un Hans Küng, che parla di una famiglia abramitica (ebrei, cristiani, musulmani) unita e indistinta: siamo di un’altra scuola teologica e politica e antropologica. Però era tutto chiaro, non c’era bisogno di far niente di speciale. A una fiaccolata così è ovvio che debbano parlare un musulmano coraggioso, che vive scortato per le sue idee (Allam), una dirigente cattolica che sa sposare identità e dialogo (la Emilia Guarnieri), il capo religioso degli ebrei di Roma (Di Segni). Il resto dei distinguo, di destra di sinistra di centro, era perfettamente inutile. Qualche sporca diffamazione era da mettere nel conto, successe già nell’aprile del 2002, accadde il 10 novembre del 2001, all’epoca della solidarietà con gli americani per l’11 settembre. Gli uomini spesso dimenticano di essere uomini e attribuiscono al vicino i loro stessi peccati di presunzione, di egolatria, di faziosità politica, di miserabile malizia morale. La storia dell’ingegnoso hidalgo, Don Chisciotte cavaliere della Mancia, la leggono in pochi. Pazienza. L’unica nota amara è stata la difficoltà di trovare un oratore iraniano dell’opposizione, perché sono minacciati, sia in Italia sia in patria, loro e le loro famiglie. Abbiamo riparato scandendo DURUD BAR AZADI – ZENDEBAB ISRAEL, che in farsi vuol dire: viva la libertà, viva Israele.
In prima pagina e a pagina 2 dell'inserto IL FOGLIO pubblica i discorsi tenuti durante la fiaccolata da tre oratori: Magdi Allam, Emila Guarnieri, e Riccardo Di Segni.

Ecco il testo del coraggioso intervento di Magdi Allam:

Cari amici, non vi nascondo la mia
profonda emozione da cittadino italiano,
musulmano, laico, nel testimoniare la
mia strenua difesa del diritto inequivocabile
all’esistenza di Israele. Cari amici israeliani
e ebrei, la vostra battaglia per il diritto
di Israele all’esistenza è anche la mia
battaglia per il diritto alla vita di tutti, compresi
i palestinesi che aspirano legittimamente
a un proprio Stato indipendente,
compresi i troppi musulmani vittime del
barbaro terrorismo di matrice islamica. Sul
terreno del diritto alla vita, tutti noi giochiamo
in casa. Ed è una battaglia di civiltà
e per la vita che dobbiamo affrontare insieme
e che vinceremo insieme.
Quanto sta avvenendo questa sera a Roma
rappresenta a mio avviso una svolta rilevante
nell’atteggiamento dell’Italia sul tema
cruciale della lotta al terrorismo globalizzato
di matrice islamica e dell’ideologia
manichea, nichilista, negazionista che lo
alimenta disconoscendo il diritto alla vita
propria e altrui. Ed è la stessa ideologia
che sottostà alla negazione del diritto di
Israele all’esistenza.
(segue dalla prima pagina) Negazione elevata a
strategia di stampo nazista dal presidente
iraniano Mahmoud Ahmadinejad, da
perseguire con la minaccia delle armi di
distruzioni di massa di cui l’Iran è già in
possesso mentre rincorre il sogno dell’atomica.
Grazie alla vostra massiccia partecipazione
a questa fiaccolata promossa dal
Foglio di Giuliano Ferrara, avete riscattato
l’onta che si è abbattuta sulla nostra
Italia quando, all’indomani delle efferati
stragi di Madrid e Londra, poco più di un
centinaio di persone raccolsero l’invito
del sindaco di Roma Walter Veltroni a
manifestare in Campidoglio contro un terrorismo
che è simile nella sua efferatezza
a quello che insanguina Israele, l’Iraq e
molti altri paesi musulmani.
E’ triste constatare che ci sia voluta la
minaccia nazista di Ahmadinejad per
compattare un fronte interno italiano che
non perde occasione per dividersi su tutto.
Questa volta ha prevalso il buon senso
e la nostra Italia ne ha tanto bisogno. Così
come dopo la seconda guerra mondiale
riconoscere de facto lo Stato di Israele è
stato il parametro per vagliare l’eticità di
quanti si resero responsabili, complici o
conniventi dell’Olocausto, oggi nell’era
del terrorismo globalizzato di matrice
islamica il riconoscimento del diritto di
Israele all’esistenza è il parametro per vagliare
l’eticità di quanti si sono resi responsabili,
complici o conniventi dell’ideologia
che legittima il massacro di innocenti
strumentalizzando e offendendo l’islam.
Ecco perché chiedo alla classe politica
italiana che questa sera ha dato una
formidabile prova di maturità etica e politica,
di continuare ad assumere degli atteggiamenti
coerenti. Il che significa che
non è più possibile stringere la mano e
sottoscrivere accordi con chi disconosce il
diritto di Israele all’esistenza. Nella consapevolezza
che legittimando e rafforzando
i nemici del diritto alla vita di tutti, si
continuerà a fomentare insicurezza e con
flittualità ovunque nel mondo.
Noi tutti questa sera dobbiamo ringraziare
Israele, faro di democrazia e àncora
di libertà in medio oriente. La tenace e risoluta
battaglia di Israele per la vita è un
fulgido esempio che deve ispirarci. E si
tratta di una battaglia per la vita di Israele
ma anche dei palestinesi e dei popoli
arabi circostanti.
Piaccia o meno ma è una realtà storica
che i palestinesi hanno potuto incamminarsi
sulla via della realizzazione del sogno
di uno Stato indipendente soltanto grazie
alla volontà e alla disponibilità di
Israele, quando il 13 settembre 1993 Rabin
strinse la mano ad Arafat. Per contro, piaccia
o meno, gli stati arabi hanno sempre
ostacolato la nascita di uno Stato palestinese.
Da quando, dichiarando guerra al
neonato Stato ebraico nel 1948, seppellirono
la risoluzione 181 dell’Onu che contemplava
la contemporanea nascita di una entità
palestinese. E poi spartendosi i territori
palestinesi con l’annessione della Cisgiordania
da parte della Giordania nel
1949 e il passaggio sotto amministrazione
egiziana di Gaza fino al 1967. Perché mai
gli arabi non consentirono che su quei territori
si desse vita a uno Stato palestinese?
Perché mai sono morti più palestinesi massacrati
dagli eserciti arabi che non palestinesi
caduti nelle rappresaglie dell’esercito
israeliano per contrastare il terrorismo?
Sbagliano quelle forze politiche italiane
che hanno disertato questo nostro stupendo
incontro immaginando che il riconoscimento
senza se e senza ma del diritto
di Israele all’esistenza possa essere
considerato come lesivo del diritto dei
palestinesi a un proprio Stato. La verità è
esattamente opposta. Perché a impedire
la nascita di uno Stato palestinese sono
proprio coloro che disconoscono il diritto
di Israele all’esistenza. Lo prova il fatto
che il terrorismo suicida palestinese
esplose nell’ottobre del 1993 proprio all’indomani
della storica stretta di mano
tra Rabin e Arafat. Da allora con una lunga
scia di sangue israeliano innocente si
vuole in primo luogo impedire il successo
del processo di pace, da parte di gruppi
estremisti palestinesi che disconoscendo
il diritto di Israele all’esistenza di fatto
impediscono la nascita di uno Stato palestinese.
Oggi più che mai tutti coloro che sinceramente
vogliono uno Stato per i palestinesi,
devono anzitutto sostenere senza se
e senza ma il diritto di Israele all’esistenza.
Oggi più che mai tutti coloro che sinceramente
vogliono un mondo arabo e islamico
libero e democratico, devono anzitutto
sostenere senza se e senza ma il diritto
di Israele all’esistenza. Oggi più che
mai tutti coloro che hanno a cuore una comune
civiltà dell’uomo dove trionfi il valore
della sacralità della vita di tutti, devono
sostenere senza se e senza ma il diritto
di Israele all’esistenza.
Di seguito, l'intervento di Emilia Guarnieri, presidente dell' associazione
Meeting per l’amicizia fra i popoli:

Voglio rivolgere un caloroso ringraziamento
a Giuliano Ferrara che mi ha
invitato qui stasera. Perché quelle parole
furiose arrivate dall’Iran – "Cancellate
Israele" – mi hanno ferito profondamente
in quanto irragionevoli e assolutamente
dissonanti con l’esperienza che vivo. E
hanno fatto nascere in me delle domande
che provo a porre stasera a tutti voi. C’è
qualcosa di più atroce dell’affermazione
di un’identità al prezzo dell’eliminazione
dell’altro? Da quale sorgente sgorga una
inimicizia così radicale e autolesionista?
L’unico modo che conosco per giudicare
un evento, qualunque evento, è paragonare
la mia esperienza con quanto accade. E
la mia esperienza, come quella di tanti
che lavorano al Meeting – questo bizzarro
appuntamento che 26 anni fa dedicammo,
con termine oggi desueto, all’amicizia fra
i popoli –, è che si può. Si possono costruire
legami tra identità diverse per nascita,
tradizione, cultura, si può avviare un dialogo
che aggiunga qualcosa alla conoscenza
e al rispetto reciproci, senza per questo
rinunciare alla propria identità.
(segue dalla prima pagina) Ci risuonava in mente,
quando iniziammo – primi Ottanta, secoli fa –
una bellissima frase di San Paolo. L’avevamo
imparata da don Giussani e ce la siamo sentita
ripetere poi, nel 1982, da Giovanni Paolo II
a Rimini: "Vagliate tutto e trattenete ciò che
è buono". Cosa è buono? Il desiderio di giustizia,
di verità, di bellezza che alberga nel
cuore dell’uomo, che gli fa giudicare ogni cosa.
E’ questo anelito di verità per la nostra vita
che ci permette di riconoscerlo nell’altro,
e di valorizzarlo nell’altro. E’ anche il punto
di partenza per il dialogo interreligioso, perché
consente di invitare l’altro ad andare al
fondo della sua tradizione, paragonandola
con le esigenze del suo cuore. E di aiutarlo,
sostenerlo in questo tentativo che è sempre
commovente. Se in ogni esperienza umana
vera alberga un frammento di verità, di giustizia,
di bellezza, questi frammenti noi abbiamo
cercato, riconosciuto e valorizzato nei
testimoni che abbiamo portato a Rimini:
ognuno di loro ha aggiunto qualcosa al cammino
che ci accomuna, quello teso al destino,
alla scoperta del senso della vita.
Al Meeting in questi anni sono arrivati
ebrei, musulmani, buddisti, teologi e pensatori,
agnostici e santi. E’ arrivato persino un
irriducibile come Giuliano Ferrara. E sono
nate amicizie che hanno resistito all’usura
del tempo e della distanza. In questo percorso,
è inevitabile arrivare, a un certo punto,
alla radice della parola tolleranza. Perché
troppo spesso ci siamo sentiti ripetere che
sviluppo e integrazione sono possibili solo
sacrificando l’identità e la cultura dei popoli
sull’altare di criteri e diritti tanto astratti,
da arrivare ad attuarsi come indifferenza.
Una generica indifferenza che si trasforma
facilmente in violenza nei confronti dell’uomo
concreto. Per immaginare una possibile
convivenza, occorre allora combattere quel
relativismo che da tempo attraversa la cultura e la politica europea, una corrente che
vede ogni verità – politica, morale e religiosa
– sullo stesso piano. Quando tutto si equivale,
nulla ha valore, come ha scritto qualcuno
proprio sul Foglio: la ragione non distingue
e il cuore non sceglie. All’uomo non è riconosciuta
la sua grandezza spirituale, in
cammino. Alberga qui, nell’esperienza di
un’identità certa che si fa incontro all’altro,
che non ha paura, la radice della democrazia,
nell’esigenza naturale che la convivenza
aiuti l’affermazione della persona, che i rapporti
"sociali" non ostacolino la personalità
nella sua crescita. Il senso dell’uomo "in
quanto è", l’affermazione dell’uomo "perché
è". Solo la scoperta che ho bisogno dell’altro
per vivere, e il desiderio profondo, interessato,
che l’altro possa esprimersi compiutamente,
salva dalla tentazione di ridurre la
convivenza democratica a puro fatto di ordine
esteriore o di maniera. Perché in tal caso,
il rispetto per l’altro tende inevitabilmente
a coincidere con una fondamentale
indifferenza per il suo destino.
In questi anni, al Meeting sono accadute
cose che forse il Palazzo di Vetro non riuscirebbe
nemmeno a immaginare. E lo dico con
un certo stupore, perché l’incontro è un imprevisto
e, aggiungerebbe Montale, "un imprevisto
è la sola speranza". Per tutti. I ministri
degli esteri israeliano e palestinese seduti
allo stesso tavolo, lo scorso anno, lo scrittore
ebreo Chaim Potok che parla del Mistero
con mons. Lorenzo Albacete, davanti a
diecimila ragazzi, il rabbino David Brodman
che discute di felicità con Ali Qleibo, professore
presso la Al Quds University di Gerusalemme.
E David Rosen, Direttore dell’Inter-
Religious Affairs, che accoglie a casa sua
una sconosciuta come me, arrivata a Gerusalemme
con una richiesta impossibile – il prestito
dei preziosi "frammenti di Qumran" per
una grande mostra da realizzarsi a Rimini
sulle origini del Cristianesimo, "Dalla terra
alle genti" – e dice sì. Mi ero portata dietro,
come unico biglietto da visita, il telegramma
che don Giussani aveva inviato al Presidente
dello Stato di Israele e a Simon Peres, in
segno di cordoglio per la uccisione di
Yitzhak Rabin. C’erano queste parole: "La vicenda
storica del popolo di Israele è decisiva
per tutto il mondo. Per questo ciò che è accaduto
non insanguina solo gli immediati
partners. Di tale popolo noi osiamo sentirci
così devoti da esserne, se fosse possibile,
quasi parte. Proprio dalla sua storia noi abbiamo
imparato che Dio, mentre prova il suo
popolo, gli rimane fedele". Rosen venne poi
al Meeting nel ‘96 e nel ‘97.
Cosa ci accomuna a lui, cosa ci accomuna
a tutti gli ebrei, al punto da provare un
soprassalto davanti alle grida scomposte
che arrivano dall’Iran, quasi fossero rivolte
a noi? Il senso di una storia, quell’idea
di persona unica e irripetibile che è patrimonio
di tutto il mondo civile. O, come ha
ricordato Benedetto XVI, "le nostre radici
comuni e il ricchissimo patrimonio spirituale
che gli ebrei e i cristiani condividono".
E ancora, "l’elezione di un popolo che
nasce da Abramo, per cui la persona viene
creata per la salvezza del mondo con un
compito identificabile con quello del popolo
stesso". E siccome il concetto di popolo
non è astratto, ma riguarda l’uomo, il suo
destino, il radicamento in una terra, ogni
difesa degli ebrei che non difenda Israele
è ipocrisia o antisemitismo mascherato.
Perché lo Stato di Israele, che ha dato una
patria agli ebrei sperduti nel mondo, è elemento
irrinunciabile a un equilibrio di pace
internazionale. Come è giusto dare una
patria ai palestinesi e assicurare uno sviluppo
a tutte le nazioni del medio oriente,
è fondamentale preservare il diritto di
Israele a crescere e a prosperare. E dunque,
non è retorica ripetere "noi siamo
ebrei". Siamo ebrei quando tre ragazzine
cristiane vengono decapitate per strada, in
Indonesia. Siamo ebrei davanti alle scritte
ingiuriose, vergate su una chiesa di Torino,
contro il Papa. Aggiungo un dettaglio, che
però tale non è nella vita civile: come cristiana,
sono profondamente grata allo Stato
di Israele che ci permette di visitare i
luoghi santi della nostra fede.
In chiusura, voglio ringraziare ancora chi
ha ideato e organizzato questa impressionante
mobilitazione, che mi colpisce profondamente
e mi commuove. Credo sarebbe riduttivo
attribuirle soltanto quella valenza emotiva
che sicuramente ha contribuito al suo
successo. Ma il nostro ritrovarci qui, stasera,
è evidentemente qualcosa di più: un giudizio
e, insieme, un impegno. Di mestiere faccio
l’insegnante e l’evento di stasera ha tutte le
caratteristiche di una esperienza educativa.
Che poi, tradotto in soldoni, vuol dire che se
non impariamo continuamente a distinguere
il bene dal male, se non ci lasciamo educare
dalla realtà, non la scampiamo. E a proposito
di educazione, mi scuserete se chiudo proprio
con le parole di quello che, per me e per
tanti, è maestro e padre, don Giussani. Che
scriveva, il 18 novembre 2003, per la copertina
del TG2 dedicata ai funerali delle vittime
di Nassirya: "Questo canto popolare potrebbe
risorgere, se una educazione del cuore
della gente diventasse orizzonte dell’Onu, invece
che schermaglia di morte – favorita da
quelli che dovrebbero farla tacere – tra musulmani
ed eredi degli antichi popoli, ebrei
o latini che siano. E questa sarebbe la vera
ricchezza della vita di un popolo! Se ci fosse
una educazione del popolo, tutti starebbero
meglio". Oggi, sentiamo queste parole più vere
che mai. Grazie
Concludiamo con l'intervento di Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma:
Prima di tutto desidero ringraziare tutti
voi presenti qui, un numero incredibile
di persone, senza distinzione di religione
e di credo politico, uniti dal comune
desiderio di denunciare un evento gravissimo:
la minaccia all’esistenza stessa dello
stato d’Israele. E’ il superamento grave
e intollerabile di un limite insuperabile.
Ma vorrei salutare anche chi non è presente
qui questa sera. A chi dissente dai
modi della protesta ma non dalla protesta
chiediamo che l’assenza non si trasformi
in silenzio. Che la scelta di opportunità politica
non prevalga sull’istanza morale.
Perché è un’istanza morale, quella che testimoniamo
qui questa sera. A chi invece
non c’è perché è indifferente alle parole
del presidente dell’Iran o magari le condivide
desideriamo spiegare con forza e pacatezza
civile il senso del nostro orrore.
Sappiamo che in Iran qualcuno, pochi,
stanno manifestando contro l’ambasciata
d’Italia, in segno di protesta per questa nostra
manifestazione. Chissà se i manifestanti
potranno leggere liberamente quello
che stiamo dicendo ora.
Ma almeno diciamocelo
subito e chiaramente: la nostra non è
una protesta contro l’Iran, né contro il popolo
iraniano, di cui ammiriamo la civiltà e
abbiamo seguito con trepidazione le vicende
di questi ultimi anni. Noi non bruciamo
bandiere. La bandiera dell’Iran è qui esposta
nel palco, al posto di onore che merita,
insieme a quelle d’Italia e di Israele.
Se qui in occidente commentiamo quanto
succede in quelle terre non lo facciamo
certo con lo spirito dell’imperialismo. Lo
facciamo perché in Europa abbiamo imparato
a caro prezzo che cosa significano certe
idee e certi proclami. E di conseguenza
non solo ci permettiamo di parlarne, ma
sentiamo il dovere di farlo.
Potrà sembrare in un certo senso ovvio e
scontato, che a parlarvi del diritto dello
Stato d’Israele ad esistere sia un rabbino.
Ma ciò che cercherò di spiegare non sarà
affatto ovvio e scontato. Sarà un invito a riflettere
sul significato angosciante delle parole
del presidente iraniano.
Preciso subito che non ho intenzione di
dimostrare il diritto dello Stato di Israele
all’esistenza. Mettersi su questo piano significa
ammettere una distinzione preliminare
tra questo e gli altri Stati. E questo
non è accettabile. Non si mette in discussione
l’esistenza dell’Italia, della Francia, dell’Iraq,
dell’Iran e di qualsiasi altro Stato
del mondo. Non la si mette in discussione
quali che siano i comportamenti dei suoi
governi, quale che sia l’antichità della sua
fondazione o la crudeltà delle guerre che
hanno portato quello Stato all’indipendenza.
Ogni Stato europeo ha nel suo passato la
memoria di guerre, di milioni di morti, di
confini che si spostano. Di nessuno si contesta
l’esistenza, di Israele invece sì.
Sappiamo bene quale sia il livello di democrazia in Israele, quale sia la qualità
delle sue strutture parlamentari e giudiziarie,
quanto sia forte la tensione del dibattito
sul rapporto con i vicini quasi sempre
ostili. Eppure dello Stato d’Israele si contesta
il diritto ad esistere. Non lo si fa con le
peggiori dittature del mondo, con i governi
più macellai. Non è strano? Non c’è dietro
a questo qualcosa di tenebroso, un male antico
che riemerge sempre in forme nuove?
Non si contesta nessuno Stato della terra
ma si contesta quello d’Israele, quello che
ha il più alto rapporto del mondo di libri rispetto
al numero di abitanti; che ha università
di livello eccezionale, un sistema sanitario
invidiabile e aperto a tutti, un enorme
progresso tecnologico, uno stato che continua
a produrre premi Nobel per la scienza
invece che aspiranti kamikaze.
Con lo Stato d’Israele, a confronto con gli
altri Stati, si adottano spesso due pesi e due
misure, quello che fanno i suoi governi è
immediatamente al centro dell’attenzione,
mentre su ben altre cose del mondo c’è indifferenza
o silenzio; e subito c’è la corsa al
giudizio e alla condanna morale, spesso sostenuta
dal pregiudizio religioso. I metri di
giudizio sono differenti perché il presupposto
più o meno confessabile è che gli ebrei
siano differenti e da trattare in modo negativo
e differente. Prima di tutto negando al
popolo d’Israele il suo diritto all’autonomia
politica.
Gli analisti politici in questi giorni cercano
di comprendere le complesse ragioni
che hanno portato la leadership di un grande
paese come l’Iran ad esprimere posizioni
tanto radicali. In realtà certe idee circolavano
da decenni; la novità sta solo nella
sconcertante sincerità con cui questi propositi
sono stati affermati ai massimi livelli.
L’analisi politica cerca poi di spiegare le ragioni di questo fenomeno, l’aspetto più
inquietante dello scenario del nuovo millennio,
inaugurato dall’attacco alle Torri
Gemelle.
Accanto all’analisi politica la visione
ebraica propone altre prospettive: quella
storica millenaria, e quella religiosa. Anche
chi non la condivide non potrà sottrarsi
a domande inquietanti. Perché in questa
prospettiva il progetto politico del presidente
iraniano non è una novità. Sarà pure
clash of civilizations, sarà pure riscossa del
mondo islamico, sarà quel che si vuole in
termini politici ma per noi è sempre la stessa
cosa. E’ l’odio primordiale contro il popolo
d’Israele, che lo segue dalla sua nascita
e appena cerca di organizzarsi. E’ l’odio
dei Filistei (la Palestina prende il nome da
loro) contro i Patriarchi; è l’odio del Faraone
che fa uccidere tutti i neonati Israeliti
perché li considera una minaccia militare;
è l’odio di cui parla il salmo 83, di cui vorrei
citare alcuni versi: "O Signore i tuoi nemici
sono in tumulto, contro il tuo popolo,
dicono: venite e distruggiamoli come nazione,
e che il nome di Israele non sia più ricordato.
Sono le tende di Edom e gli Ismaeliti,
Moav e gli Hagariti, Gheval. Amon e
Amaleq, Filistea e abitanti di Tiro e anche
l’Assiria con i figli Lot". Fin qui le parole
del salmo, che descrive un bello scacchiere
mediorientale, con molti riferimenti all’attualità.
Gli esempi biblici finiscono proprio
con l’antico Iran, dove fu sventato il
progetto di genocidio del primo ministro
Haman, che ancora ricordiamo nella festa
del Purim.
Non si creda alla favola che mettere in
dubbio il diritto dello Stato d’Israele sia solo
un problema politico di anticolonialismo
e non sia invece una manifestazione di odio
contro gli ebrei. Non si elimina lo Stato ragioni di questo fenomeno, l’aspetto più
inquietante dello scenario del nuovo millennio,
inaugurato dall’attacco alle Torri
Gemelle.
Accanto all’analisi politica la visione
ebraica propone altre prospettive: quella
storica millenaria, e quella religiosa. Anche
chi non la condivide non potrà sottrarsi
a domande inquietanti. Perché in questa
prospettiva il progetto politico del presidente
iraniano non è una novità. Sarà pure
clash of civilizations, sarà pure riscossa del
mondo islamico, sarà quel che si vuole in
termini politici ma per noi è sempre la stessa
cosa. E’ l’odio primordiale contro il popolo
d’Israele, che lo segue dalla sua nascita
e appena cerca di organizzarsi. E’ l’odio
dei Filistei (la Palestina prende il nome da
loro) contro i Patriarchi; è l’odio del Faraone
che fa uccidere tutti i neonati Israeliti
perché li considera una minaccia militare;
è l’odio di cui parla il salmo 83, di cui vorrei
citare alcuni versi: "O Signore i tuoi nemici
sono in tumulto, contro il tuo popolo,
dicono: venite e distruggiamoli come nazione,
e che il nome di Israele non sia più ricordato.
Sono le tende di Edom e gli Ismaeliti,
Moav e gli Hagariti, Gheval. Amon e
Amaleq, Filistea e abitanti di Tiro e anche
l’Assiria con i figli Lot". Fin qui le parole
del salmo, che descrive un bello scacchiere
mediorientale, con molti riferimenti all’attualità.
Gli esempi biblici finiscono proprio
con l’antico Iran, dove fu sventato il
progetto di genocidio del primo ministro
Haman, che ancora ricordiamo nella festa
del Purim.
Non si creda alla favola che mettere in
dubbio il diritto dello Stato d’Israele sia solo
un problema politico di anticolonialismo
e non sia invece una manifestazione di odio
contro gli ebrei. Non si elimina lo Stato d’Israele
con una conferenza diplomatica; lo
si elimina uccidendo i suoi milioni di cittadini
ebrei e non ebrei in una nuova shoah
collettiva.
Il paradosso attuale è che mentre l’Europa
e il cristianesimo si riconciliano con il
popolo d’Israele, il mondo islamico riscopre
con la religione l’ostilità antiebraica, e
la usa a sostegno di interpretazioni storiche
rozze e grossolane, come il mito dello Stato
d’Israele avamposto della civiltà occidentale
e ostacolo al risveglio musulmano. Semplificazioni
balorde, che tra l’altro ignorano
il peso essenziale in Israele della componente
sefardita, cioè di ebrei di origine
dai paesi islamici.
Ma non siamo venuti qua per ascoltare
un lamento o l’ennesima protesta per l’odio
antiebraico. La nostra presenza qui è per
riaffermare il diritto di tutti, e non solo d’Israele
ad esistere come popoli liberi. Per
affermare diritti universali che vengono sistematicamente
violati da culture totalitarie
e opprimenti. L’attacco a Israele è solo
un simbolo, una scusa e un pretesto per mascherare
pulsioni violente e micidiali contro
tutta l’umanità e contro il suo progresso.
Il popolo ebraico che di nuovo si presenta
come ferito e attaccato, è anche e soprattutto
un popolo ottimista, che crede fermamente
nella vita, che si pone al servizio
del mondo portando luce, speranza e fermento
di libertà. E’ con le parole di Isaia
che ci presentiamo questa sera, "per mandare
libero chi è oppresso e spezzare ogni
giogo di schiavitù". Ed è forse proprio per
questa istanza radicale che il mondo totalitario
non può tollerarci. Ma è anche perché
speriamo fermamente in un mondo migliore
che siamo qui a testimoniare questa sera.
Grazie a voi tutti.
Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma

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