Voltare la testa dall'altra parte di fronte alla minaccia iraniana
e ripetere i vecchi slogan
Testata:
Data: 03/11/2005
Pagina: 1
Autore: Zvi Shuldiner - Piero Sansonetti
Titolo: Proclami di guerra - Le vere ragioni della fiaccolata
IL MANIFESTO di giovedì 3 novembre 2005 pubblica in prima pagina un editoriale di Zvi Shuldiner, "Proclami di guerra".
La volontà del regime iraniano e del terrorismo che esso finanzia di distruggere Israele, per Shuldiner sono solo rumori di fondo, distorsioni percettive che impediscono di cogliere i veri problemi: l'occupazione israeliana della Cisgiordania, le azioni militari di Israele, l'occupazione dell'Iraq che secondo Shuldiner, in contrasto con i fatti più noti, si starebbe trasformando in una Repubblica islamica sciita.
Nell'articolo affiora un certo turbamento per i dichiarati propositi genocidi di Ahmadinejad, subito superato con la riaffermazione del dogma per cui il vero male è rappresentato da "Bush e Sharon".
Un'illusione ideologica destinata prima o poi a cadere nella spazzatura della storia.
Saranno i popoli del Medio Oriente a spiegare un giorno la differenza morale tra una società libera e una dittatura a chi non vuole vederla, a far capire a tutti che guerra e tirannia sono due facce di una stessa medaglia.

Ecco il testo:

L'atteggiamento fondamentalista e criminale del presidente iraniano, in teoria, sarebbe destinato ad aiutare il popolo palestinese nella sua lotta, ma quasi sicuramente è uno dei migliori contributi per far dimenticare quel che sta realmente accadendo in queste settimane. Il gentile presidente fornisce inoltre un'opportunità inestimabile a tutti i signori della guerra: adesso sappiamo che non succede nulla e che il problema è l'Iran. Il proclama di cancellare Israele dalla faccia della terra non è altro che una nuova edizione delle ideologie più estremiste che hanno perseguito lo sterminio del popolo ebraico o di quelle che si sono prodotte in ogni genere di esercizio ideologico per giustificare l'unico caso di liquidazione di uno stato perché non risponde a questo o a quel purismo ideologico. Apparentemente, all'infuori di Israele, tutti gli altri stati nazionali del mondo sarebbero stati creati secondo regole più umanitarie, pure e sacrosante che si possa immaginare.

Ma al margine della condanna che, senza mezzi termini, la dichiarazione del presidente iraniano si merita, sarebbe necessario domandarci in quale contesto si collocano le dichiarazioni esternate di recente.

In Iraq la guerra criminale di Bush e dei suoi alleati è una continuazione della guerra in Afghanistan ed esprime le più violente manifestazioni dell'imperialismo degli ultimi decenni. Decine di migliaia di vittime pagano la guerra criminale che, a ben guardare, porta gruppi sciiti sotto dominazione iraniana a dominare l'Iraq. In Medio oriente, il primo ministro Sharon ha già dimenticato il suo ruolo di nuovo De Gaulle e giorno dopo giorno le forze israeliane si accaniscono in una brutale repressione che ha già fatto rinascere il terrore e che ci riporta a periodi che molti credevano superati con il ritiro unilaterale da Gaza. Il sangue che viene sparso ogni giorno sta già alimentando una catena di vendette e controvendette che trova la sua ragione nel fatto che nessuno guarda quello che sta accadendo qui mentre il presidente iraniano fornisce simili prelibatezze alla stampa internazionale.

Invece di guardare quello che succede realmente, grazie al signor presidente iraniano persino certi «democratici» italiani, israeliani e via elencando possono urlare per scongiurare il «grande pericolo iraniano». Se non esistesse, Bush e Sharon dovrebbero chiedere ai loro agenti propagandistici di crearne uno uguale.

Il problema principale resta nostro, di noi che siamo all'interno del pacifismo, di noi che siamo di sinistra. Per quanto doloroso e arduo dovremo sempre tornare a fare un'analisi dettagliata delle questioni di principio. Dovremo sempre ricordare quali sono gli elementi fondamentali dell'analisi. Ciò renderà più facile la condanna di tutte quelle cose che fanno parte della cultura della guerra, siano i proclami fondamentalisti del presidente iraniano o di qualsivoglia sacerdote di una religione qualunque, siano le azioni criminali alle quali ci sta abituando la crociata di Bush e dei suoi alleati.

Pur con tutta la repulsione che la dichiarazione iraniana mi provoca, raccomando a tutti di non dimenticare: in nome della democrazia e degli ideali puri dell'occidente illuminato, in questi giorni i signori della guerra sono là. Sono Bush e i suoi alleati e la distruzione di tutto il tessuto sociale in Iraq.

Sono qui, sono Sharon e Mofaz e i suoi alleanti che nella «sacra lotta contro il terrorismo e per l'esistenza» si accaniscono in una repressione sanguinosa destinata a distruggere le strutture basilari, i tessuti più profondi della società palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967.

(traduzione di Marcella Trambaioli)
Piero Sansonetti sulla prima pagina di LIBERAZIONE pretende di spiegare le "vere ragioni" della fiaccolata romana di solidarietà a Israele,a suo avviso sostanzialmente di politica interna.
Dietro l'iniziativa del FOGLIO vi sarebbe una sorta di complotto volto ad assicurare la "fedeltà" di un eventuale governo di centrosinistra all'alleato americano.
Da tale contorto ragionamento si capisce che il governo di centrosinistra auspicato da Sansonetti vedrebbe negli Stati Uniti e non negli Stati terroristi, antisemiti e aspiranti membri del club nucleare la vera minaccia alla pace in Medio Oriente e non difenderebbe Israele per paura di giustificare guerre contro chi vuole spazzarla via dalla faccia della terra.
All'interno di questo centrosinistra "ideale" nella conclusione del suo articolo Sansonetti include Romano Prodi, che non ha aderito alla fiaccolata e che dichiara di non giudicare "importante" parteciparvi o meno.
Come ben si capisce dall'editoriale di Sansonetti, invece, partecipare o non partecipare alla fiaccolata è molto importante, soprattutto per un candidato a premier.
Serve a chiarire se i dogmi del pacifismo antiamericano sono ritenuti più o meno importanti di un elementare principio di civiltà, quello per cui la cancellazione di popoli e stati dalla carta geografica, l'odio ideologico religioso o razzista spinto fino all'invettiva e poi all'azione sterminatrice sono inaccettabili.
Vedremo dunque se Romano Prodi darà ragione a Sansonetti o saprà trovare il coraggio civile di scendere in piazza in difesa del diritto all'esistenza di Israele.

Ecco l'articolo:

Se stasera Giuliano Ferrara, e gli altri organizzatori della fiaccolata davanti all'ambasciata iraniana, dichiareranno di volere una netta condanna delle demenziali maledizioni di Ahmadinejad contro Israele, e poi chiederanno a Sharon di lasciare i territori occupati dal suo esercito, dando così il via libera al sorgere di uno Stato palestinese, se tutto questo avverrà, domani stesso, su questo giornale, troverete un articolo nel quale Liberazione riconoscerà di avere sbagliato a non appoggiare l'iniziativa del "Foglio". Non è una trovata polemica, è la verità. Anzi, è una promessa. Liberazione, insieme al manifesto, è l'unico giornale italiano a non avere aderito alla fiaccolata di Giuliano Ferrara. Tutti gli altri organi di stampa, in modo esplicito o indiretto, hanno sostenuto l'iniziativa. Con grande clamore, con grandi mezzi, con una forte passione. Quasi nessun'altra manifestazione politica, o corteo, o sit-in, o fiaccolata, nella storia recente d'Italia, è stata annunciata con tanto rumore e in modo così unanime, e per così tanti giorni di seguito. E' inutile negarlo, noi e il manifesto ci siamo trovati molto isolati. Il rapporto di forze tra noi e gli altri giornali è più o meno di cento o duecento a 1, e se poi contiamo anche le televisioni allora è di mille a 1 o forse ancora più squilibrato.

Perché siamo così isolati? C'è una ragione chiara e un po' banale e una ragione più complicata. La ragione evidente è che il popolo palestinese, oggi, è isolato. Non gode di grandi sostegni nel mondo. Anzi, non gode di nessunissimo sostegno e deve affrontare una enorme ostilità. Dopo l'11 settembre si sono chiusi tutti gli spiragli con Washington e i palestinesi stanno pagando carissima la spirale guerra-terrorismo. In termini materiali e anche in termini di distacco dall'opinione pubblica occidentale.

La ragione più complessa è invece legata alla ardua e delicata questione politica che si è aperta, sul piano internazionale, in previsione di un cambio di governo in Italia. Se le previsioni di tutti gli osservatori si avvereranno, e il centrosinistra vincerà le elezioni, quale sarà la sua politica estera? Cioè, quale posizione assumerà nei confronti degli Stati Uniti, e, soprattutto, quale posizione nei confronti del conflitto arabo- israeliano? E' un passaggio decisivo, questo, e dentro questo passaggio si è scatenata una campagna politica, un massiccio esercizio di pressioni, promesse, ricatti, che vengono da forze diverse e che investono come un ciclone le varie componenti del centrosinistra. In fondo, anche dietro la divertente vicenda della gaffe di Berlusconi a Washington (ha detto che Bush era preoccupato di un cambio di governo in Italia, e poi ha dovuto goffamente smentire) c'è esattamente la sostanza di quello che stiamo dicendo. Certo che Bush è preoccupato - Berlusconi ha detto la verità; ha detto: "il re è nudo... " - ma non è preoccupato di chi sarà il premier: Bush vuole garanzie su una leadership di centrosinistra che non modifichi gli equilibri tra Europa e Usa (sebbene su questo piano l'Italia non conti così tanto da poter preoccupare Washington) e non modifichi il quadro internazionale e gli equilibri del Medioriente e del Mediterraneo.

L'affare-Iran entra dentro questo quadro. E' un affare di politica italiana, ha poco a che fare con le questioni di principio e con il diritto sacrosanto di Israele ad esistere. Del resto, se non siete convinti di questo, date un'occhiata ai giornali americani o inglesi, scorrete tutte le prime pagine, e poi diteci dove avete trovato un titolo sulle minacce dell'Iran contro Israele. In nessuno di questi giornali avete trovato quel titolo. Il caso è montato solo in Italia proprio perché è un caso di politica italiana. Finora ha prodotto un grosso risultato: la stragrande maggioranza dei leader dei partiti riformisti del centrosinistra hanno accettato il diktat e si sono schierati con la destra di Ferrara. Lo ha fatto - sembrerebbe - persino Massimo D'Alema, che pure ha alle spalle una storia lunga e seria di amico dei palestinesi. Ma D'Alema, nella sua precedente esperienza di governo (1998-1999) imparò una grande verità: i poteri forti sono forti davvero.

E tuttavia - nonostante l'adesione di giornali, tv, partiti, sindacati, gruppi di pressione, leader, intellettuali ed altro - l'operazione-fiaccolata non ha avuto un pieno successo. Perché? Non solo perché la sinistra radicale ha tenuto ferma la sua posizione: no al premier iraniano, no all'occupazione della Palestina, no alla guerra. Ma perché tra i tantissimi che hanno aderito, manca un nome. E' un nome importante: Prodi.
3 novembre 2005
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