L'Iran conferma le sue minacce
Bertinotti la sua ambiguità
Testata: Corriere della Sera
Data: 31/10/2005
Pagina: 5
Autore: Alessandra Coppola - Dino Martirano - Daria Gorodisky
Titolo: Teheran: «Riconoscere Israele è un crimine» - Bertinotti: non vado, manca il riferimento alla Palestina - Non giudico i singoli Valuterò i no dei partiti
Il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 31 ottobre 2005 pubblica a pagina 5 l'articolo di Alessandra Coppola "Teheran: «Riconoscere Israele è un crimine» ".
Ahmadinejad non fa marcia indietro e ribadisce le sue minacce a Israele e ai paesi islamici disposti a riconoscerne l'esistenza.

La Coppola consulta un iranista (l'ex direttore della Scuola Orientale di Napoli) che sostanzialmente minimizza la portata delle dichiarazioni di Ahmadinejad attribuendole a una ricerca del consenso interno.

Sarebbe stato necessario dare spazio a opinioni diverse. Inoltre, anche se Ahmadinejad fosse motivato dalla ricerca del "consenso", ciò indicherebbe la presenza di settori del regime che premono per una politica sempre più aggressiva verso Israele, o di una strategia volta a mantenere il controllo di una società sempre più insofferente attraverso la costruzione di un nemico esterno.
Va poi ricordato che nulla, nella biografia di Ahmadinejad può far pensare che non esprima, con i suoi discorsi di odio, idee che sono anche sue.

Ecco il testo:

La platea è giovane e motivata: studenti Basiji, le guardie armate della Rivoluzione. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad si presenta in tenuta da Intifada: kefiah bianca e nera poggiata sulle spalle. E parla: per un Paese islamico riconoscere lo Stato ebraico «sarebbe un crimine imperdonabile»; «i governi che dovessero fare un simile passo si ritroverebbero ad affrontare l'intera umma », la comunità dei credenti; il ritiro da Gaza è solo un «complotto» per indurre i musulmani a riconoscere Israele.
Sul tema si è inserito anche il Grande Ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema dell'Iran: «La resistenza palestinese farà cadere il regime sionista». Monito ai Paesi «sottomessi» a Washington: «Egitto, Arabia Saudita, Giordania — elenca — devono tener conto che gli Usa non hanno un problema solo con Libano e Siria», ma vogliono instaurare «governi-fantoccio nella regione».
L'argomento è ancora quello: Israele-Palestina. E le tesi sono le stesse che hanno fatto infuriare le diplomazie di mezzo mondo, scatenando una condanna Onu. Quattro giorni di polemiche da quando, mercoledì, Ahmadinejad ha pronunciato uno slogan di Khomeini: «L'entità sionista andrebbe cancellata dalla mappa del mondo». Ieri non l'ha ripetuto, ma è come se l'avesse fatto: «Abbiamo ribadito le parole degli ultimi 27 anni. E' chiaro».
Non per tutti. In Iran c'è chi comincia a esprimere perplessità su questa raffica di dichiarazioni che rischiano di isolare il Paese, rompendo anche ogni possibile rapporto con i «cugini» (alcuni, per la verità, già lontani) musulmani. Così il pragmatico Mohammad Khatami, che è stato presidente per gli ultimi 8 anni: «Non dovremmo fare dichiarazioni che possano causare problemi politici ed economici all'Iran». Così il deputato Heshmatollah Falahat Pisheh, della Commissione Esteri: «Se il presidente avesse tenuto in considerazione l'atmosfera delicata di questi giorni nel mondo, le sue parole avrebbero avuto minori conseguenze».
Ma se Ahmadinejad non ne ha tenuto conto è perché lo scenario mondiale in questo momento non gli interessa, è l'analisi dell'iranista Adriano Rossi, ex rettore dell'Orientale di Napoli: «La chiave è nell'incertezza della situazione politica interna». In questa visione, il presidente iraniano starebbe chiamando a raccolta la propria base: «Da una parte parla ai poteri forti, dall'altra ai giovani delle periferie delle grandi città che sono stati decisivi nella sua elezione». E che ora gli servono da portare sul piatto dei giochi di potere in corso a Teheran dopo il voto di giugno.
I governi occidentali e ora anche islamici restano, però, preoccupati. «Da quando ha firmato gli accordi di Camp David — ha risposto il ministro degli Esteri del Cairo Abul Gheit —, l'Egitto si è sempre battuto per la creazione di uno Stato palestinese che viva accanto a Israele». E da anni ha un ruolo importante di mediatore nella regione. Sarebbe opera egiziana anche la decisione della Jihad islamica — notizia diffusa ieri — di rientrare nella tregua dei gruppi armati palestinesi con lo Stato ebraico.
A pagina 7 il CORRIERE DELLA SERA pubblica un'intervista di Dino Martirano al segretario di Rifondazione Comunista: "Bertinotti: non vado, manca il riferimento alla Palestina".

La logica di questa scelta è inaccettabile. Bertinotti rifiuta di manifestare a favore di Israele e contro le minacce genocide di un regime fondamentalista perché contemporaneamente non si manifesta a favore di uno Stato palestinese. Vuol dire che il diritto all'esistenza di Israele è condizionato, secondo Bertinotti, alla sua disponibilità a fare concessioni ai palestinesi?
Va poi ricordato che Israele riconosce il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato. Non vuole, e la cosa appare più che comprensibile, una base terroristta ai suoi confini.
Ne segue che una manifesatzione per il diritto all'esistenza di uno Stato palestinese può assumere due significat: o quello di una manifestazione contro il terrorismo, l'unico ostacolo reale alla nascita di una tale entità politica, o quello di una manifestazione contro il diritto di Israele all'autodifesa.
Quale di questi significati Bertinotti vorrebbe conferire alla manifestazione da lui auspicata?
Nel primo caso non si vede per quale motivo Bertinotti non dovrebbe partecipare alla fiaccolata di Roma, che certamente è anche contro il terrorismo.
Nel secondo caso, invece, non si vede per quale motivo Bertinotti dovrebbe anche soltanto ipotizzare di manifestare contro Ahmadinejad, visto che sostanzialmente sarebbe d'accordo con lui.

Ecco il testo:

ATENE — «Difendere lo stato di Israele è sacrosanto e su questo punto non bisogna avere incertezze. Ma, francamente, io parteciperei a una manifestazione con questa parola d'ordine solo se, contestualmente, si scendesse in piazza per la necessità di garantire la costituzione dello stato palestinese». Questo manda a dire Fausto Bertinotti ai leader dei Ds e della Margherita che il prossimo 3 novembre parteciperanno a Roma alla fiaccolata davanti all'ambasciata dell'Iran per rispondere all'attacco del capo del governo di Teheran («Israele deve essere cancellato dalla carta geografica»). Ma, stavolta, il segretario di Rifondazione comunista fa un passo in più: «Dico che se cambia la parola d'ordine, cioè se si elimina l'omissione sulla garanzia dell'esistenza di un stato palestinese, possiamo anche immaginare una nostra partecipazione all'iniziativa lanciata da Giuliano Ferrara. Sì, anche con Ferrara, che è così distante da noi, per difendere due popoli e due stati. Peccato non averci pensato prima, noi della sinistra».
Bertinotti è fresco e reattivo anche dopo la due giorni del congresso di Atene che lo ha confermato presidente della Sinistra europea. Nel palazzo dello sport dell'Amicizia e della Pace, il segretario ha anche ascoltato le parole di Fatua Kader, rappresentante del presidente dell'autorità palestinese Abu Mazen, e quindi non ha difficoltà a ritagliarsi un ruolo anche in questo campo.
Parte da Piero Fassino che ha garantito la sua partecipazione alla fiaccolata: «La ragione di questa manifestazione è giusta ma accettando l'omissione sullo stato palestinese non si lavora per una vera soluzione del conflitto in Medio Oriente. Non dico che Fassino sbagli ad andare, perché la causa è giusta, ma osservo che potrebbe fare un passo in più».
Sbaglia, dunque, chi pensa che Bertinotti sia insensibile all'attacco lanciato contro Israele dal leader iraniano Mahmoud Ahmadinejad: «Noi della sinistra avremmo potuto prendere l'iniziativa e trasformare questa occasione per lanciare un messaggio di pace dal nostro Paese». Le invettive partite da Teheran hanno aperto un solco, tanto da far dire al segretario del Prc che gli arroccamenti, da una parte e dall'altra, sono perdenti: «Ci si può muovere anche su iniziativa di Giuliano Ferrara, ma non perché si tratta di una manifestazione bipartisan. Piuttosto perché penso alla forza che potrebbe avere un messaggio di pace che parte da personalità così diverse. Perché davanti al fatto che il capo del governo iraniano dica "bisogna distruggere Israele", noi avremmo dovuto avere la prontezza di dire no, subito e senza incertezze. Avremmo dovuto farlo però per rilanciare l'esigenza del diritto di esistere di due popoli ». Prima di salire sull'aereo per Roma, Bertinotti tenta di rilassarsi un po' (gli brillano gli occhi quando legge che lo sciopero dei trasporti a Marsiglia è arrivato al 25˚ giorno consecutivo senza che il prefetto abbia precettato nessuno: «Cose impensabili in Italia...») ma è sempre il Medio Oriente e la fiaccolata del 3 novembre che tengono banco: «Quello che non mi convince di queste manifestazioni è l'unilateralismo. Che si possa di volta in volta dimenticare l'"uno" o l'"altro". E siccome l'"altro" ancora non c'è, secondo me è colpevole una manifestazione che partendo da una cosa giusta, perché la difesa dello stato di Israele è sacrosanta, dimentica l'altra parte del problema». Infine l'aut aut di Riccardo Pacifici, portavoce della Comunità ebraica romana: «Chi non partecipa è nemico di Israele!». Bertinotti allarga le braccia, sospira: «Ecco, dobbiamo abbandonare questa logica del nemico, dell'arroccamento a tutti i costi. Invece, per la pace di due popoli e di due stati, dobbiamo essere capaci di costruire una piattaforma nella quale tutti si possano riconoscere. Anche due persone molto distanti tra loro, come Ferrara e Bertinotti».
Il CORRIERE pubblica anche, sempre a pagina 7, un'intervista di Daria Gorodisky al presidente delle Comunità ebraiche italane Amos Luzzato, «Non giudico i singoli Valuterò i no dei partiti» , che riportiamo:
ROMA — Amos Luzzatto, da presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, sarà alla manifestazione di giovedì sera davanti all'ambasciata iraniana per protestare contro quel «cancelleremo Israele» annunciato dal presidente Ahmadinejad.
«È un'iniziativa molto opportuna. Mette il dito su una piaga a cui non si è prestata sufficiente attenzione: la motivazione
di quelle dichiarazioni. Non esistono né conflitto né confini tra Iran e Israele; né si può parlare di conflitto arabo, visto che l'Iran non è un paese arabo...».
Dunque?
«L'ipotesi che rimane è che l'Iran parli in quanto Paese islamico: e introdurre nella conflittualità internazionale motivazioni di carattere religioso è gravissimo e molto pericoloso per tutto il mondo. Le cause di questo vanno cercate lontano, fin dallo smembramento dell'Impero Ottomano. Partendo da lì si può anche capire che non esiste un problema israelo-palestinese, ma qualcosa di molto più grave, di cui quel conflitto è conseguenza e non causa».
La posizione iraniana non è nuova. E Israele non esiste neppure nelle cartine geografiche dei testi scolastici palestinesi.
«La gente ora ha cominciato a capire che se un conflitto politico diventa religioso, il rischio riguarda tutto il mondo. Quel tipo di linea estremistica non deve passare, anche negli interessi degli iraniani: dopo i lunghi anni di guerra con l'Iraq, ne vogliono scatenare un'altra?» L'appuntamento di giovedì è organizzato, come altri per Israele, da Giuliano Ferrara. Intravede una strumentalità?
«C'è strumentalità in ogni azione che compiamo. Io non faccio processi alle intenzioni. Ed è bene che qualcuno lanci iniziative come questa».
Gli assenti saranno «nemici»?
«L'assenza del singolo non basta per giudicare: si può essere malati, o all'estero. Se invece una forza politica decide di non venire, spieghi perché: e quello si valuterà».
Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, dice che verrebbe se dopo si andasse all'ambasciata israeliana a manifestare «a favore dei diritti dei palestinesi e contro certe scelte del governo Sharon».
«La differenza è che Sharon riconosce il diritto palestinese ad avere uno Stato. Mentre Ahmadinejad vuole cancellare Israele. Cancellare: una parola che fa venire i brividi».
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