L'Iran ha dichiarato i suoi intenti, come reagirà il mondo?
analisi e commenti
Testata:
Data: 28/10/2005
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein - Magdi Allam - Franco Venturini - Carlo Panella - Daniele Raineri
Titolo: Chi ha paura del voto di Baghdad - Nella geografia insegnata ai bambini esiste solo una
LA STAMPA di venerdì 28 ottobre 2005 pubblica in prima pagina e a pagina 11 un'analisi di Fiamma Nirenstein sulle minacce iraniane a Israele, "Chi ha paura del voto di Baghdad ".

Ecco il testo:

DOPO che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha proferito la sua inammissibile dichiarazione secondo cui Israele deve essere cancellata dalla carta geografica, e chi oserà fra i Paesi arabi farci la pace «brucerà nel fuoco della furia della nazione islamica» (una pesante minaccia ai Paesi arabi moderati), sia Ariel Sharon che Shimon Peres hanno affermato che l’Onu deve espellere l’Iran dal suo consesso, perché le dichiarazioni del suo Presidente configurano un crimine verso l’umanità. Peres ha aggiunto che le dichiarazioni «sono ancora più gravi alla luce del tentativo di sviluppare l’arma nucleare e di rafforzare il suo sistema di missili a lunga gittata». Vero; ma non è solo per la minaccia contro Israele che Ahmadinejad deve essere preso molto sul serio: quello che ha detto, se guardato bene, è una summa strategica che ci mostra i pericoli che corre la grande rivoluzione democratica del Medio Oriente. Ahmadinejad ha parlato non solo spinto dall’odio contro Israele, ma per descrivere un processo controrivoluzionario in corso.

Non si può più dire che la rivoluzione democratica del Medio Oriente è una forzatura, che è importata con la guerra e con essa morirà. Dopo che gli iracheni hanno votato per la Costituzione sfidando di nuovo la morte, con tanti altri segnali di risveglio dei popoli oppressi del Medio Oriente, meglio guardare a che cosa impedisce che si compia la volontà popolare. E’ bene capire che il gioco è molto largo, l’attentato di Hadera di mercoledì, per esempio, è una tipica operazione che serve a bloccare il processo di pace e con esso la nascita di una democrazia palestinese. Vediamo come.
Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha anche fatto una promessa: la nuova ondata di attacchi palestinesi distruggerà Israele. Si tratta di una frase propagandistica? Forse no. La Jihad islamica, che prende ordini direttamente da Damasco ma che è fra tutte le organizzazioni terroriste quella più direttamente ispirata dall’Iran e ad esso legata, è il gruppo che, dopo lo sgombero da Gaza, detiene il record di attentati. Inoltre con sgomento Abu Mazen ha constatato che le Brigate di al Aqsa, appartenenti a Fatah (Abu Mazen intende reclutarle nelle sue milizie per neutralizzarle) operano apertamente con la Jihad islamica sia nella West Bank che a Gaza. Lua’i Sadi, il capo della Jihad che è stato ucciso dagli israeliani a Tulkarem questa settimana, aveva formato una cellula dei due gruppi e lo stesso era accaduto a Nablus e a Jenin. Mercoledì, dopo l’attacco di Hadera, le Brigate e la Jihad hanno tenuto una conferenza stampa insieme a Gaza per rivendicare la responsabilità dell’attacco. Decine di giornalisti erano presenti e le forze di sicurezza palestinesi no. Perché Abbas, che pure seguita a proclamare di fronte al Consiglio legislativo (l’ultima volta martedì) che il terrorismo danneggia il suo popolo, e che promette che una nuova pagina di democrazia si aprirà con la fondazione dello Stato in vista, non riesce a reclutare almeno i suoi, le Brigate di al Aqsa, invece di assistere tristemente alla loro unione con la Jihad? Perché l’intervento straniero, ovvero degli Hezbollah, tramite iraniano e siriano, fornisce agli uomini delle Brigate denaro, tirocinio, armi più di lui. Probabilmente quindi le parole di Mahmoud Ahmadinejad sono calibrate sulla galvanizzazione di vecchie e nuove reclute. La Siria, nei guai in questi giorni, fornisce rifugio a chi manda ordini da Damasco: al regime certo non conviene un accordo palestinese con Israele. Abu Mazen si è lamentato che i rifugiati in Libano ricevono armi dalla Siria. L’ingerenza straniera che Abbas fronteggia nell’Autonomia la fronteggiano oggi gli iracheni che cercano la democrazia: il flusso di uomini e denari dalle frontiere siriane e la presenza iraniana rallentano il processo di democratizzazione con gli attentati. I sunniti se non sorretti dall’esterno hanno dato prova con la partecipazione al voto per la Costituzione di potere convivere col nuovo processo storico. Il Libano soffre ancora: gli Hezbollah, per quanto siano una forza autoctona, pure sono legati a doppio filo alla Siria e all’Iran. Ora questo dominio si va sfilacciando sulla traccia dell’indagine dell’Onu, la strada giusta per affrontare il tema di tutte le violenze esportate.
Il CORRIERE DELLA SERA pubblica a pagina 3 un articolo di Magdi Allam, "Nella geografia insegnata ai bambini esiste solo una "Grande Palestina".

Ecco il testo:

Ricordo ancora la sentenza perentoria sul mio libro di storia araba alle medie: «L'imperialismo internazionale ha conficcato il cancro dell'entità sionista nel cuore del mondo arabo per ostacolare la nascita della Nazione araba accomunata dall'unità del sangue, della lingua, della storia, della geografia, della religione e del destino». Sulla carta geografica a latere Israele non compariva affatto. La Palestina si estendeva dal Giordano al Mediterraneo. «Non rinunceremo a un palmo di terra dal fiume al mare», tuonò l'allora presidente egiziano Nasser, «ciò che è stato preso con la forza non potrà essere riscattato se non con la forza».
La condanna a morte di Israele si tramutò in un suicidio politico per Nasser e in una catastrofe per l'Egitto e per i Paesi arabi di «prima linea» usciti sonoramente sconfitti nella guerra del 5 giugno 1967. Ma quei testi scolastici sono rimasti sostanzialmente immutati nella gran parte dei Paesi arabi e musulmani.
Ecco perché l'affermazione del presidente iraniano «Israele deve essere cancellato dalla carta geografica» non è uno show solitario bensì genuina espressione di un convincimento radicato e diffuso. Perfino in quei Paesi che hanno riconosciuto Israele de facto, senza tuttavia accettarne il diritto all' esistenza. Un caso emblematico fu quello del leader palestinese Yasser Arafat che, all'indomani della storica stretta di mano con Rabin alla Casa Bianca il 13 settembre 1993, sostenne in una moschea in Sudafrica che quella pace aveva la stessa valenza del trattato di Hudaibiya. Nel febbraio del 628 il profeta Mohammad (Maometto) sottoscrisse una tregua con i nemici meccani quando, da una posizione di inferiorità, constatando l'impossibilità di conquistare la sua città natale, s'impegnò a non farvi ritorno per dieci anni. Invece due anni dopo, nel gennaio del 630, Mohammad conquistò la Mecca e la trasformò nella città santa dell'islam. Quindi per Arafat l'accordo di Camp David era né più né meno che una tregua. Il suo pregiudizio nei confronti del diritto di Israele all'esistenza fu confermato dal rifiuto della storica proposta di pace avanzata dall'allora premier Barak nell'estate del 2000. Questo pregiudizio trova una giustificazione religiosa nei versetti coranici (Sura 17, Il viaggio notturno, 4-7) che Kamal Abdel Raouf sul quotidiano egiziano Akbar el Yom ha così interpretato: «Alcuni teologi ritengono che la prima volta che i figli di Israele hanno portato la corruzione nella Terra Santa della moschea di Al Aqsa, fu quando uccisero i profeti e violarono i precetti della Torah. E la seconda volta quando uccisero il profeta Giovanni figlio di Zaccaria e decisero di ammazzare Gesù. Altri dicono che la seconda volta deve ancora arrivare. La prima volta Dio mandò il re Nabuccodonosor di Babilonia per punire e uccidere i figli di Israele e per distruggere il loro tempio. Alcuni teologi pensano che la seconda volta si è consumata per mano di Hitler che li ha ammassati nei campi di sterminio e li ha annientati con il gas. Poi sono tornati a corrompere la terra una terza volta dopo aver preso il controllo dell'America e delle sue ricchezze. Ora ci domandiamo: Dio li punirà nel modo più drastico come ci ha promesso? Quel che sta succedendo nella Terra Santa preannuncia la fine dei figli di Israele? Io sono convinto che sia vicina l'ora della fine dello Stato dell'Ingiustizia. Allah è paziente ma non dimentica».
E' un dato di fatto che molti predicatori islamici, compresi i supposti moderati, concludono il sermone elevando l'invocazione «Dio aiutaci a annientare gli ebrei», a cui il coro dei fedeli risponde «Amin». Succede regolarmente nei Paesi musulmani ma anche nella grande moschea di Roma. Era il 6 giugno 2003 quando, al termine di un sermone infuocato, l'imam Abdel-Samie Mahmud Ibrahim Moussa mi disse: «Dal punto di vista islamico non c'è alcun dubbio che le operazioni dei mujahiddin contro gli ebrei in Palestina sono legittime. Sono operazioni di martirio e gli autori sono dei martiri dell' islam. Perché tutta la Palestina è Dar al harb, Casa della guerra. Perché tutta la società ebrea occupa illegalmente una terra islamica». La verità è che i Paesi arabi e musulmani sono divisi su tutto, compreso il riconoscimento de facto di Israele, ma sono compatti nel disconoscere il diritto all'esistenza dello Stato ebraico.
In prima pagina e a pagina 48 il CORRIERE DELLA SERA pubblica l'editoriale di Franco Venturini "I tormenti europei e l'incubo atomico".

Ecco il testo:

HAMPTON COURT — «Finora mi è stato chiesto di impegnarmi a non far nulla contro l'Iran, ma cosa risponderò se un giorno mi chiederanno perché non ho scelto di agire?». Il tormento di Tony Blair è diventato il tormento di tutta l'Europa da quando il furore anti-israeliano di Mahmoud Ahmadinejad ha preso in contropiede la disponibilità negoziale di Londra, Parigi e Berlino.
Ve lo immaginate, rincara Blair, uno Stato del genere dotato di armamenti nucleari? Chirac definisce «insensate e irresponsabili» le parole che vengono da Teheran, tra i Venticinque convenuti a Hampton Court la prevista riflessione sui destini dell'Europa pare poca cosa davanti all'unanime disgusto verso chi auspica che i «sionisti» siano cancellati dalla carta geografica, e una specifica dichiarazione condanna «nei termini più energici» i propositi di Ahmadinejad manifestando inquietudine sulle future intenzioni dell'Iran.
Gli europei, insomma, hanno espresso come tutti la loro indignazione. Ma hanno sofferto un po' più degli altri. Non era stata l'Unione europea a seguire nei confronti della Teheran di Khatami quel «dialogo critico» che agli Usa già sembrava troppo arrendevole? E poi, non sono stati gli inglesi, i francesi e i tedeschi a prendere la guida di un confronto negoziale con l'Iran per limitare al settore civile le sue ambizioni nucleari, mentre la solita America suggeriva piuttosto il deferimento al Consiglio di sicurezza dell'Onu? La trattativa euro-iraniana è in crisi soprattutto da quando Ahmadinejad è stato eletto alla presidenza, e tra meno di un mese l'Agenzia per l'energia atomica di Vienna potrebbe decidere che le sanzioni Onu sono l'unica via ancora percorribile. Gli europei saranno verosimilmente d'accordo, se si giungerà a tanto. Ma nella loro già disastrata politica estera comune resterà il segno di un tentativo fallito, e ancor più, come è risultato evidente ieri nel palazzo che fu di Enrico VIII, resterà la ferita di un «tradimento» che nemmeno il khomeinismo di Ahmadinejad aveva lasciato presagire.
Una spiegazione ha tentato di darsela Blair: «Forse a Teheran pensano che il mondo è distratto da troppe altre cose...». È possibile, infatti, che Ahmadinejad abbia valutato le estreme difficoltà cui andrebbe incontro un'azione militare contro l'Iran mentre la ferita irachena resta apertissima e quella afghana segue a ruota. È possibile che il presidente iraniano abbia letto i sondaggi sulla popolarità di George Bush. È possibile che il rifiuto britannico di partecipare a una ipotetica iniziativa militare (finora, come sottolinea Blair), quelli analoghi di Francia e Germania e l'appoggio russo in Consiglio di sicurezza abbiano creato a Teheran un senso di sicurezza e di impunità garantita.
Se così è, Ahmadinejad gioca col fuoco. È vero che gli europei, ieri, non hanno annunciato la rottura del negoziato nucleare con Teheran rifugiandosi nella formula della prossima consultazione tra alleati: non si vuole che la sparata anti-israeliana abbia per effetto di spianare la via all'atomica iraniana come di certo i falchi di Teheran desiderano. Ma il presidente iraniano ha sottovalutato l'imbarazzo che la sua sortita crea presso l'amica Russia. Ha sottovalutato i nuovi argomenti e la nuova determinazione che potranno prendere piede in America. Ha sottovalutato la rabbia degli stessi europei. In altre parole, alzando troppo il tiro ha sottovalutato quel che rappresenta lo Stato di Israele.
Come abbiamo già scritto su queste colonne, si può dissentire anche duramente dalla politica dei governi israeliani. Ma la Storia vieta, a noi europei più che a chiunque altro, di accettare che l'esistenza dello Stato di Israele venga messa concretamente a rischio. Ahmadinejad ha fatto di più: ha espresso un pubblico auspicio che appartiene sì alla tradizione khomeinista, ma che cambierebbe volto il giorno in cui Teheran disponesse di un arsenale atomico. L'Iran ha il merito di aver chiarito i termini della questione. Ora restano da chiarire i termini della risposta.
IL FOGLIO pubblica a pagina 3 dell'inserto l'articolo di Carlo Panella "Alla fine l'Europa scoprì l'odio di Teheran".

Ecco il testo:

Roma. La diplomazia europea ha reagito con sdegno e indignazione (ma anche sorpresa) alle parole con cui il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha pubblicamente incitato a "distruggere Israele". Gli ambasciatori iraniani sono stati convocati per chiarimento a Parigi, a Berlino, a Vienna e a Londra e il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, fermo alleato dell’Iran, ha giudicato le parole di Ahmadinejhad "inaccettabili". Jacques Chirac, presidente francese, ha detto di essere "scioccato", Josep Borrel, presidente dell’Europarlamento, ha annunciato il solito dibattito sul tema. Il sindaco di Roma, Walter Veltroni, ha giudicato le parole del presidente iraniano "intollerabili per la comunità internazionale". Parole e posizioni
sacrosante. Ma stupisce lo stupore: tanta indignazione è ipocrita e tardiva. Ahmadinejad non ha detto assolutamente nulla di nuovo, non ha operato alcuna
"svolta", ha soltanto ribadito la posizione ufficiale nei confronti di Israele, il quale secondo la Repubblica islamica dell’Iran "è da cancellare dalla faccia della terra" dal 19 febbraio 1979 in poi. Intervenendo a una conferenza a Teheran dal titolo "Il mondo senza il sionismo", Ahamadinejad ha dunque detto: "L’istituzione del regime sionista è stata una mossa dell’oppressore contro il mondo islamico. Le scaramucce nella terra occupata fanno parte di una guerra del destino. Il risultato di centinaia di anni di guerra sarà definito nella terra palestinese. Come disse l’ayatollah Ruhollah Khomeini, Israele deve essere spazzato via dalla cartina geografica". L’unica novità in questa posizione è il riferimento evidente, anche se tra le righe, alla "guerra di civiltà" che contrappone "da centinaia d’anni" l’islam alle altre religioni e che sarà "definito nella terra palestinese". Per il resto, il presidente iraniano s’è limitato a citare lo slogan di Khomeini che da decenni è riportato su decine di murales a Teheran, è ritmato durante le preghiere del venerdì e apre la tradizionale parata, stile piazza Rossa, nell’anniversario della rivoluzione del 1979. Slogan più volte ribadito sia dall’ayatollah Khamenei sia dal "moderato" Khatami. Se si paragonano le parole di Ahamadinejad con quelle pronunciate il 27 marzo 1992 da Khamenei non si coglie nessuna differenza: "La lotta del popolo palestinese deve essere appoggiata sino alla liberazione definitiva di Gerusalemme. Il martirio e il jihad sono le uniche strade per lavare la macchia di disonore che l’esistenza stessa di Israele rappresenta per la umma islamica". Minacce ribadite da Khamenei il 20 ottobre 2000 (per ricordare solo due tra le decine di discorsi simili): "L’ unico modo per porre fine alla crisi in medio oriente è estirparla dalle radici. E cosa c’è alle radici della crisi? C’è il regime sionista che è stato imposto nella regione. I leader arabi si devono impegnare adoperarsi per ripulire la sacra Gerusalemme dai sionisti". Identico messaggio nella risoluzione approvata il 23 gennaio 1998, durante la preghiera del venerdì di Teheran e presentata dal realpolitiker hojatoleslam Ali Akhbar Rafsanjani, da Khatami, allora presidente della Repubblica, e dal presidente del Parlamento, Ali Nateq Nouri: "Invochiamo il proseguimento della guerra santa e le azioni dei martiri kamikaze per affrontare l’America criminale e cancellare il sionismo dalla terra palestinese". Perché, allora, nel 1992, nel 1998, nel 2000 e nelle decine d’altre occasioni in cui da Teheran s’è invocata la "distruzione di Israele", le diplomazie europee, l’Europarlamento (e Walter Veltroni) non hanno mai reagito sdegnati come – finalmente – fanno oggi? La risposta è in un’ipocrisia formale. Continuano a fingere che la gravità della minaccia di Ahamadinejad stia nella sua funzione istituzionale di capo dello Stato, di autorità
di governo, mentre fanno finta di credere che Khamenei – e prima di lui Khomeini – rappresentino soltanto una autorità religiosa. Non è così. Il Khomeini che lanciò la consegna di "cancellare Israele dalla faccia della terra" era – a norma di Costituzione iraniana – non soltanto l’unico depositario di tutto il potere politico, ma anche il responsabile istituzionale della politica estera e il capo delle Forze armate dell’Iran. E così è oggi Khamenei, il quale – proprio per dare ordini concreti per distruggere Israele
– esercita poteri costituzionali sovraordinati rispetto a quelli di Ahamadinejad. Questa permanente indicazione genocida verso Israele di Khomeini e Khamenei non è soltanto una posizione religiosa, ma era ed è politicamente e praticamente vincolante per lo Stato iraniano. Seguendo proprio gli ordini di Khomeini e di Khamenei, infatti, l’Iran si è dotato di missili con una gittata
che arriva giusto in Israele e ora prepara l’atomica. Insomma, Ahmadinejad, ha il solo torto di non essere un politico raffinato, ma un rivoluzionario tutto d’un pezzo. E’ diretto, non usa le perifrasi che hanno fatto credere all’Europa che Khatami fosse un "riformista". E’ tanto rozzo da ribadire queste minacce a poche ore dalla strage di Hadera, a nord di Tel Aviv, portata a termine da quel Jihad islamico che è il braccio palestinese di Hezbollah, l’"Internazionale sciita", che fa capo a Teheran. A dimostrare che gli ayatollah alle parole fanno seguire i fatti. Per rendersi conto di quanto sia ipocrita e tardivo lo scandalo delle cancellerie europee basta verificare come le reazioni di oggi di Ariel Sharon e di Shimon Peres siano identiche a quelle di sempre. Se oggi Sharon dichiara che "uno Stato che chiede lo sterminio di un altro popolo non può fare parte delle Nazioni Unite" – anche perché proprio quell’Onu ha creato lo Stato d’Israele e un suo membro oggi non può chiederne l’annientamento – il 25 dicembre 2001 Peres (che ieri ha ribadito la stessa richiesta del premier) scriveva a tutti i paesi membri del Consiglio di sicurezza denunciando "le dichiarazioni di Rafsanjani che non lasciano spazio al dubbio circa le intenzioni dell’Iran di distruggere Israele, con un evidente e rivendicato carattere genocida. Israele vi chiede di agire per arrestare i programmi nucleari iraniani prima che sia troppo tardi". Ma per quattro anni, le stesse nazioni che oggi "scoprono" che l’Iran vuole distruggere Israele si sono impelagate in una trattativa soft, che ha permesso a Teheran di procedere indisturbata nei suoi programmi per la bomba atomica e oggi saranno così sbeffeggiate nel corteo che Ahamdinejad ha convocato a Teheran per mostrare quanti iraniani vogliono distruggere Israele e non temono le critiche dell’Europa.
Sempre apagina 3 dell'inserto del FOGLIO troviamo l'articolo di Daniele Raineri "Il marketing creativo della Repubblica islamica per esportare l'antisemitismo nel mondo".

Ecco il testo:

Roma. Il regime di Teheran squilla come un allarme impazzito. Quattro giorni fa, prima del proclama in cui si augurava che Israele fosse cancellato dalla carta geografica, il presidente dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad, ha ridicolizzato gli sforzi dell’occidente di negoziare un compromesso sul programma nucleare. "All’inizio hanno fatto un mucchio di rumore, ma gradualmente li stiamo mettendo seduti e in silenzio – ha detto Ahmadinejad a una sala affollata di studenti universitari a Teheran, riferendosi alle trattative ora sospese tra l’Iran e la controparte europea di Gran Bretagna, Francia e Germania – la Repubblica islamica ha raggiunto la conclusione che se avessimo continuato come prima sarebbe stato dannoso per la nostra sicurezza nazionale. Più noi ci ritiravamo, più loro muovevano in avanti, al punto che Mohammed ElBaradei, il segretario generale dell’Agenzia internazionale per
l’energia atomica, è arrivato a dirci che ‘loro non vogliono che voi abbiate tecnologia nucleare’". " Ma perché dovremmo smettere? – ha continuato – Dov’è scritto che dobbiamo supplicare gli europei per i nostri diritti?". Il presidente ultraconservatore s’è detto sicuro invece che l’occidente sarà forzato a ritirarsi di fronte all’atteggiamento fermo del regime iraniano, e ha rivelato che il suo governo è uscito baldanzoso dalla reazione fiacca degli europei. La ritrovata spavalderia contro le democrazie occidentali di Ahmadinejad, che – secondo alcuni – fiuta la loro debolezza "come Osama bin Laden sentì quella degli americani dopo l’abbattimento dei loro elicotteri in Somalia nel 1992, o come Adolf Hitler fece negli anni Trenta", non è il solo grattacapo. Ieri il mensile tedesco Cicero, in un’anteprima del numero di novembre, ha rivelato che l’Iran permette a 25 membri di spicco di al Qaida, inclusi tre figli di bin Laden, di girare liberamente per la capitale. Secondo le fonti d’intelligence citate, gli individui sarebbero di nazionalità araba, egiziana ed europea, e vivrebbero in case messe a disposizione dalla Guardia rivoluzionaria. Ma il bullismo nucleare di Teheran e i rapporti affabili con i terroristi non sono che parte del problema. Il regime sta conducendo un’aggressiva e sistematica campagna di propaganda antisemita, sia all’interno del paese sia fuori dei suoi confini. Il proclama di mercoledì di Ahmadinejad non è arrivato a caso, ma proprio nel corso di una manifestazione celebrativa intitolata "un mondo senza sionismo". Era già stata annunciata una settimana prima: l’apice sarebbe stata la premiazione di un concorso mondiale di vignette per appunto dedicate al tema. La competizione aveva per oggetto anche altri, portentosi filoni: "Un mondo senza America", "un’illusione chiamata sionismo" e
"l’Intifada". Tredici dei lavori più belli, inviati da studenti cinesi, argentini, francesi, iraniani e americani, sul tema del "regime d’occupazione sionista" sono già in mostra sul sito della manifestazione. Mercoledì, a mezzogiorno, poco dopo la dichiarazione del presidente, le campanelle in tutte le scuole dell’Iran hanno suonato insieme per auspicare, ancora, "un mondo senza sionismo". Il caso più recente d’esportazione di antisemitismo fuori dai confini iraniani è alla BuchMesse di Francoforte, la fiera del libro cui partecipano più di 100 paesi e che fa registrare ogni anno quasi 300 mila visitatori. Nello spazio espositivo numero cinque, il più grande appartenente a un paese islamico, l’Iran non promuove la propria letteratura, almeno non soltanto, ma presenta in lingua inglese una selezione infamante di libelli contro gli ebrei. C’è, non poteva mancare, il titolo che influenzò Adolf Hitler, sotto la dicitura "Cospirazione ebraica": i Protocolli dei Savi di Sion, il falso confezionato dalla polizia zarista per scatenare i pogrom. L’edizione è curata dalla "organizzazione islamica di propaganda" della Repubblica islamica dell’Iran, come si avverte nelle prime pagine. All’interno il "dipartimento delle Relazioni internazionali" iraniano spiega lo scopo della pubblicazione: "Esporre il vero volto del nemico satanico", per poter infine "svegliare tutti i musulmani in grande pericolo", perché il sionismo è " un tumore mortale". Un altro testo è "Tale of the ‘Chosen people’ and the Legend of Historical Right". L’autore è Mohammed Taqi Taqippour, l’editore è di nuovo lo Stato iraniano. Nella prefazione, Taqippour si dichiara fiducioso nella
vittoria della sua causa, ed echeggia le parole del presidente: grazie al movimento islamico globale, Israele sparirà presto dalla mappa. Il libri sono esposti in modo da incapparvi dentro anche soltanto in una visita casuale. Ma non è una novità. Nella scorsa edizione della fiera, dedicata al mondo arabo, erano apparsi molti libri che negavano l’Olocausto e altri testi antisemiti. Allora come quest’anno, le autorità tedesche si sono tirate fuori, anche se in Germania la vendita dei protocolli e del Mein Kampf è vietata.
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