Il CORRIERE DELLA SERA di giovedì 27 ottobre 2005 pubblica a pagina 6 la cronaca di Davide Frattini "Kamikaze rompe la tregua: 5 morti in Israele".
Mentre altri quotidiani riportano acriticamante la tesi della Jihad islamica secondo cui la strage di Hadera sarebbe una "risposta" alla recente uccisione del leader deil gruppo terroristico Luay Saadi, il CORRIERE (come anche LIBERO) presenta anche la smentita dei servizi di sicurezza israeliani, che hanno chiarito che l'attentato era in preparazione da tempo.
Ecco il testo.GERUSALEMME — Al «Falafel Barzalai» si fermano un po' tutti tra una bancarella e l'altra del mercato, le sue polpettine fritte sono le più note ad Hadera. Il kamikaze deve averlo scelto perché la fila al chiosco è sempre affollata, un obiettivo per chi cerca la strage: i dieci chili di esplosivo che portava nella cintura hanno ucciso cinque israeliani e causato almeno trenta feriti. L'attacco suicida (il primo con morti dal 12 luglio, quando era stato colpito un centro commerciale a Netanya, una ventina di chilometri più a sud) è stato rivendicato dalla Jihad islamica come «prima risposta all'assassinio di Luay Saadi», ammazzato dalle forze speciali domenica notte, durante un'operazione a Tulkarem.
L'intelligence israeliana non crede che un attentato di questo tipo si possa preparare in poco meno di tre giorni ed è convinta che i terroristi si stessero già muovendo in attesa di un via libera, che sarebbe dovuto arrivare proprio da Saadi, mente militare della Jihad in Cisgiordania.
Il presidente palestinese AbuMazen ha condannato l'operazione («danneggia la nostra causa») e ha chiesto alle fazioni «di non offrire a Israele pretesti per attaccare». La bomba-umana di Hadera ha inflitto un altro colpo alla tregua — negoziata a febbraio dall'Autorità — che ormai in pochi si ostinano a considerare effettiva.
«L'attacco è stato incoraggiato dalle minacce del leader iraniano Mahmoud Ahmadinejad e dal capo di Hamas Mahmoud Zahar, che hanno invocato la distruzione di Israele», ha commentato David Baker, portavoce del governo di Ariel Sharon.
Il ministro israeliano per le Comunicazioni Dalia Itzik ha cancellato un incontro con i dirigenti palestinesi («non ci può essere dialogo, fino a quando gli estremisti non vengono fermati»).
Gli attentati a Netanya e Hadera hanno aperto una breccia nelle certezze sull'efficacia della barriera di sicurezza: le due città costiere sono a una decina di chilometri dalla Cisgiordania, ma in un punto dove la fascia di protezione è costituita anche da lastre di cemento alte nove metri. «Eppure i kamikaze sono riusciti a passare — ha commentato il ministro laburista Haim Ramon, tra i più forti sostenitori del progetto —. E' evidente che la barriera da sola non può bastare».
La Casa Bianca ha condannato l'attacco e per la prima volta ha espresso una posizione netta sulla partecipazione di Hamas alle elezioni parlamentari di gennaio: «Finché continuerà con la violenza, non può avere un ruolo nel processo politico. E' un'organizzazione terroristica e deve essere disarmata dall'Autorità palestinese», ha detto il portavoce Scott McClellan.
Significativa anche l'intervista di Frattini al commentatore del quotidiano palestinese Al Ayyam Hani Masri, «Le armi e la violenza non servono a nulla Abu Mazen fermi il caos o perderemo tutto».
Masri contesta molto chiaramante l'inerzia dell'Auorità Palestinese nel contrastare l'anarchia armata dei territori. "Hanno il potere, lo usino". E prosegue: "Il problema è che l'Autorità palestinese accetta di subire le pressioni delle fazioni: di chi ha ucciso Mussa Arafat, di chi ha iniziato la strategia dei rapimenti, di chi spara i razzi su Israele".
Ecco il testo integrale dell'intervista:GERUSALEMME — «Il presidente Abu Mazen e il premier Abu Ala devono smetterla di parlare come se esprimessero opinioni personali. Hanno il potere, lo usino. Il problema è che l'Autorità palestinese accetta di subire le pressioni delle fazioni: di chi ha ucciso Mussa Arafat, di chi ha iniziato la strategia dei rapimenti, di chi spara i razzi su Israele». Hani Masri è uno dei commentatori più noti di Al Ayyam. Sul quotidiano legato all'Autorità, è pronto a criticare il governo di Ramallah, ma anche la doppia strategia di Hamas. «Il movimento guidato da Zahar ha usato gli attacchi per raggiungere i suoi obiettivi politici. Adesso sa di dover cambiare tattica, perché vuole partecipare alle elezioni parlamentari di gennaio. Allo stesso tempo, senza compiere attentati rischia di perdere influenza».
Abu Mazen ha detto che il kamikaze spedito a Hadera danneggia la causa palestinese.
«Ha ragione. Le armi e la violenza hanno fallito: Israele ha continuato a espandere le colonie in Cisgiordania.
Anche gli accordi hanno fallito: Oslo non ha fermato le nuove costruzioni. Dobbiamo trovare una terza via: resistenza popolare attraverso la disobbedienza civile».
Il governo non sembra in grado di controllare il caos a Gaza e in Cisgiordania.
«L'Autorità è sull'orlo del collasso, deve riformarsi. Ha già ceduto parte del suo ruolo agli egiziani che hanno negoziato con gli israeliani in parte il ritiro da Gaza».
Le elezioni di gennaio potrebbero venire rinviate per evitare una vittoria di Hamas?
«Non credo Hamas possa vincere. L'Autorità deve favorire la sua partecipazione nel processo politico».
Anche all'interno di Hamas sembrano esserci divisioni sulla strategia. Mahmoud Zahar ha ripetuto che l'obiettivo resta la Palestina dal Mediterraneo al Giordano, quindi l'eliminazione di Israele.
«Il movimento ha bisogno di tempo per accettare la soluzione dei due Stati. C'è un confronto tra radicali e leader più moderati. Su tutto: dalla consegna delle armi alle elezioni. Se Hamas non ritrova l'unità, rischia di finire come il Fatah (la fazione di Abu Mazen, ndr) che ormai non è più il partito guida».
LA STAMPA pubblica a pagina 9 l'analisi di Fiamma Nirenstein "Il messaggio al Raiss: non ci disarmerete" che contestualizza l'attentato nell'ambito della sfida lanciata dai gruppi terroristici palestinesi all'autorità di Abu Mazene soprattutto della campagna di incitamento e sostegno all'odio e alla violenza bandita dall'Iran.
Ecco il testo:
GERUSALEMME
Il chiosco di Falaffel Barzilai, 60 anni, sullo stesso angolo, le polpette di ceci e verdure fritte che si mangiano con la pita e con l’humus, nel centro del mercato di Hadera, può essere ritenuto un luogo simbolico in Israele, per la povera gente, quasi quanto può esserlo un monumento nazionale. Le persone che erano destinate a morirvi o a subire orribili ferite per mano di un terrorista suicida, agli occhi della Jihad islamica sono né più né meno che l’israeliano tipico che deve essere ucciso solo per il fatto di vivere nello Stato degli ebrei. E il chiosco del pranzo è un suo rifugio naturale. La scelta della Jihad, anche se viene ricordato il nome del suo capo Luay Sa’adi eliminato in Cisgiordania dopo l’attacco palestinese che ha assassinato tre giovani sulla strada quattro giorni or sono, fa parte di una larga strategia, per cui la polizia israeliana ha messo in piedi una sorveglianza speciale per la durata di tutte le feste religiose (capodanno, kippur, etc). Ad oggi ci sono avvertimenti per trenta attentati in cui sono implicate tutte le organizzazioni estremiste.
Cosa ci dicono gli attentati in corso? Vi si può leggere un chiaro avvertimento ad Abu Mazen, che pure è appena tornato dalla visita negli Usa dove ha spiegato a Bush, consenziente, che non potrà tenere le elezioni di gennaio senza lasciare che Hamas vi partecipi. L’avvertimento dice al Raiss: «Non lasceremo che il tuo preannunciato incontro con Sharon abbia luogo tanto presto; non lasceremo che tu disarmi le milizie esistenti anche se gli Usa te lo chiedono; non ci interessa che durante la seduta del Parlamento ieri tu abbia detto che gli attentati portano danno soprattutto ai palestinesi. Proseguiamo, e non osare intervenire».
La scelta di colpire Israele ha uno sfondo ideologico e anche geografico molto largo: un assistente di Sharon, David Baker, ieri ha dichiarato che «i terroristi sono molto incoraggiati in questi giorni sia dalle uscite del capo di Hamas, Mahmoud Zahar che da quelli del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad». Il primo «incoraggiamento» consiste in una dettagliata intervista ad «Haaretz» di Zahar: il leader di Hamas promette un’ondata di rapimenti sulle tracce dei terroristi iracheni, e ripete che, per Hamas, Israele «dal fiume al mare» (dal Giordano al Mediterraneo) è terra islamica e che ogni altra soluzione è solo temporanea. Il secondo «incoraggiamento» è l’invito pubblico tenuto durante una grande manifestazione dal presidente Ahmadinejad a distruggere Israele. La Jihad Islamica è molto ispirata dall’Iran, il grande potere islamico assoluto nato da una rivoluzione che fa sognare anche agli estremisti palestinesi soluzioni analoghe. Le parole del Raiss iraniano, mai sentite prima in questi termini, suonano come una poderosa promessa di aiuto. Inoltre, le convulsioni del regime siriano mandano da Damasco segnali alle organizzazioni che hanno la loro sede nella capitale di Bashar Assad. Gli attacchi palestinesi e anche quelli in Iraq negli ultimi giorni, sembrano segnali minacciosi: come una promessa di sollevare il caos dopo il documento dell’Onu. Del resto Mahmoud Abbas si è lamentato pubblicamente del fatto che i palestinesi nei campi profughi libanesi vengono avviati al terrorismo e forniti di armi. E da chi, se non dagli Hezbollah, dipendenti dai Siriani e dall’Iran? Infine, l’attentato di ieri dimostra, probabilmente, che Hamas e Jihad stanno organizzando in Cisgiordania la mano pesante, così come finora era organizzata a Gaza. La loro parola d’ordine: abbiamo cacciato Israele da Gaza con la forza, lo stesso avverrà in Cisgiordania.
A pagina 3 del FOGLIO trovoamo l'articolo "Il Jihad rompe la "tregua" che Abu Mazen non ha mai imposto", nel quale a chiare lettere si smentisce che una "tregua" sia mai stata in vigore, confutando così il presupposto di molte distorsioni e strumentalizzazioni propagandistiche (vedi le nostre critiche agli articoli scorretti sulla strage di Hadera)Gerusalemme. L’attentato di ieri in Israele rompe una
"tregua" che non c’è mai stata. Un terrorista suicida, forse
una donna, si è fatto esplodere in un affollato mercato. Cinque
persone sono morte, più di trenta sono rimaste ferite.
Hadera si trova 64 chilometri a nord di Tel Aviv, lungo la costa,
non lontano dalla Cisgiordania.
Sulla carta, Israele e Autorità nazionale palestinese
avrebbero firmato un cessate il fuoco già lo scorso febbraio.
Ma da allora tre persone sono morte in un attacco a Netanya,
in luglio; 21 passeggeri di un autobus sono rimasti feriti,
il 28 agosto, nella cittadina di Bersheeba nel Negev e i
lanci di razzi Qassam dalla Striscia di Gaza su Israele non
si sono mai arrestati, neppure nei giorni a ridosso dello storico
ritiro unilaterale, completato a metà settembre. Il capo
dei negoziatori palestinesi, Saeb Erekat, e l’Anp hanno
condannato l’attacco. "Basta dare scuse a Israele per attaccare",
aveva detto poche ore prima il presidente palestinese
Abu Mazen. L’esercito di Tsahal aveva compiuto
raid aerei sulla parte nord di Gaza, in risposta a lanci di
Qassam sulla città di Sderot. Né da una parte né dall’altra
c’erano sono state vittime, ma la tensione causata dalla
mancanza di sicurezza continuava a salire.
E’ stato il Jihad islamico a rivendicare, con una telefonata
all’emittente americana Cnn, l’attacco di Hadera. L’azione
terroristica sarebbe stata compiuta in risposta all’uccisione
da parte d’Israele, avvenuta lunedì, di un leader
dell’organizzazione: Laui al Saadi, 26 anni, di Tulkarem, in
Cisgiordania. L’esplosione di ieri è un duro colpo per l’Autorità
nazionale palestinese e per la leadership di Abu Mazen.
Il rais, soltanto pochi giorni fa, rassicurava sorridente,
nel giardino della Casa Bianca, il presidente americano
George W. Bush sull’efficacia della sua politica in materia
di sicurezza e ribadiva il proprio impegno. Eppure, non è
ancora riuscito a garantire la stabilità a Gaza e a raggiungere
un dialogo tra le fazioni armate palestinesi. E le elezioni
legislative sono ormai imminenti, il 25 gennaio. Inoltre,
l’attacco di ieri alle porte della Cisgiordania – a pochi
giorni dall’uccisione di tre abitanti di un insediamento nella
stessa regione – mostra come i gruppi armati, in seguito
al disimpegno da Gaza, stiano orientando i propri attacchi
proprio su quel territorio.
Dopo la bomba di ieri, si fanno più intense le pressioni
israeliane e internazionali sulla leadership palestinese. La
data di un possibile incontro con il premier israeliano,
Ariel Sharon, rimandato più volte nelle scorse settimane,
slitta inesorabilmente. Il summit dovrebbe aprire una stagione
di nuovi negoziati. Ma la condizione imposta ad Abu
Mazen per l’avvio di trattative è il controllo delle fazioni armate
e l’imposizione della sicurezza a Gaza e in Cisgiordania,
ed è chiaro che la leadership palestinese non sembra
essere attualmente in grado di promettere la stabilità. Lo
stesso Abu Mazen, davanti al Consiglio legislativo palestinese,
ha ammesso di non avere i mezzi e gli equipaggiamenti
adatti per fronteggiare la situazione. L’Egitto, mediatore
tra le parti ormai da diversi mesi, ha promesso di
organizzare un nuovo incontro tra i gruppi palestinesi al
Cairo, alla ricerca di un punto d’accordo in vista del voto di
gennaio. Ieri, il rais, Hosni Mubarak, ha incontrato il ministro
della Difesa israeliano, Shaul Mofaz. Hanno parlato –
in compagnia del capo dei servizi segreti Omar Suleyman –
del ruolo egiziano nel controllo della frontiera di Rafah.
Membri del Likud, il partito al potere alla Knesset, hanno
pesantemente accusato il Cairo di non impegnarsi per combattere
il contrabbando d’armi attraverso il confine e addirittura
d’appoggiare Hamas. Il gruppo armato, nel frattempo,
ha fatto sapere che se Israele non libererà i detenuti
palestinesi aprirà una campagna di sequestri di persona
contro israeliani. E’ l’ennesima cattiva notizia per la
traballante leadership di Abu Mazen e per le sorti della
Striscia di Gaza del dopo ritiro, che aspetta l’arrivo di 750
milioni di dollari dall’estero per la ripresa dell’economia
e degli investimenti.
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