"Verità" distorte sul vertice Bush-Abu Mazen
confronto tra quattro quotidiani
Testata:
Data: 21/10/2005
Pagina: 21
Autore: Paolo Mastrolilli - Umberto De Giovannangeli - Anna Guaita - Michele Giorgio
Titolo: Bush è con Abu Mazen "Sharon stop a colonie" - Bush-Abu Mazen occasione perdutUsa, solo briciole alla Palestinaa - Abu Mazen presenta a Bush la lista dei problemi irrisolti -
LA STAMPA di giovedì 21 ottobre 2005 pubblica a pagina 21 un articolo di Paolo Mastrolilli sul vertice Bush-Abu Mazen.
Il titolo "Bush è con Abu Mazen "Sharon stop a colonie" " enfatizza uno degli argomenti toccati dal presidente degli Stati Uniti, a discapito di quello del disarmo dei gruppi terroristici che emerge solo nel sottotitolo "Ma la democrazia palestinese deve "disarmare le bande" ".
Va anche rilevato che Bush ha parlato di "due stati e due democrazie" come di un obiettivo, ha lodato i passi fatti in questa direzione, come le recenti elezioni palestinesi, ma non ha definito l'Anp una "democrazia".

L'UNITA' pubblica a pagina 12 l'articolo di Umberto De Giovannageli "Bush-Abu Mazen occasione perduta".
De Giovannangeli sostiene che il vertice sarebbe stato un fallimento per via della mancata indicazione di una data per la nascita dello Stato palestienese. Non lo sfiora il sospetto non sia un bene che uno Stato palestinese nasca comunque, anche come base di operazioni terroristiche e come ennesima tirannia mediorientale.

Ecco il testo:


IL PROPOSITO È NOBILE: la pace in Medio Oriente è ancorata alla realizzazione «di due Stati, due democrazie», Israele e al Palestina, «che vivano in pace l’uno accanto all’altro, ciascuno al sicuro all’interno dei propri confini». Ma ciò che manca è la cer-
tezza dei tempi e delle tappe di avvicinamento. E visto che in politica i tempi sono (quasi) tutto, ecco allora che l’atteso vertice alla Casa Bianca tra il presidente americano George W.Bush e il suo omologo palestinese Abu Mazen ha il retrogusto un po’ amaro dell’occasione perduta. Bush ribadisce la sua visione dopo aver ricevuto alla Casa Bianca, per la seconda volta quest’anno, e la prima dopo il ritiro israeliano da Gaza, il successore di Arafat. Il presidente Usa ammette però «di non sapere dire quando» la Palestina sarà Stato e, rispondendo a una domanda, rifiuta di stabilire un legame fra il conseguimento dell’obiettivo e la fine del suo mandato nel gennaio 2009: «Non bisogna ragionare sui calendari politici americani - avverte -. Se si farà prima, ne sarò volentieri testimone. Se non si farà, lavoreremo duro per porre le basi» perché una intesa in tal senso possa essere raggiunta. Troppo poco per le attese, peraltro non straordinarie, della vigilia.
Dall’incontro con Abu Mazen viene sì una spinta di principio al processo di pace, ma non escono fatti nuovi sostanziali. Bush neppure sollecita, come era stato ipotizzato, una ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi: segno, rimarcano gli esperti, che gli Usa non intendono proporre loro piani, ma si affidano alla speranza che il premier israeliano Sharon e Abu Mazen si muovano, per conto loro, lungo la Road Map verso la pace tracciata dal Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia).
Il presidente rinnova, però, precise richieste a israeliani e palestinesi perché le opportunità di pace create dal ritiro degli israeliani da Gaza vengano raccolte. Agli israeliani, in particolare, Bush chiede che smantellino gli insediamenti illegali e cessino le espansioni delle colonie e che favoriscano lo sviluppo dell’economia palestinese. E, ai palestinesi, che rinuncino alla violenza e che sviluppino le riforme democratiche del loro futuro Stato. Abu Mazen, dal canto suo, ha presentato le sue richieste agli israeliani: ha criticato la costruzione del «Muro» di sicurezza in Cisgiordania e ha chiesto che le restrizioni ai movimenti dei palestinesi, che causano «umiliazioni e difficoltà», vengano levate. Con il leader palestinese, Bush è stato prodigo di elogi, definendolo «devoto alla pace», ricordando che venne eletto «su una piattaforma di pace» e che ha dato un forte contributo al ritiro degli israeliani dalla Striscia. Belle parole, sorrisi e strette di mano. Ma non è con esse che Mahmoud il moderato potrà fronteggiare i suoi tanti nemici una volta rientrato a Ramallah
IL MESSAGGERO pubblica a pagina 17 il breve articolo "Abu Mazen presenta a Bush la lista dei problemi irrisolti": un titolo che trascura completamente il fatto che anche Bush ha presentato ad Abu Mazen una "lista di problemi".
Riducibili a uno, quello centrale in Medio Oriente, all'origine del resto, per le misure di sicurezza che impone a Israele di prendere, delle questioni elencate da Abu Mazen:il problema cioè dei gruppi terroristici.

IL MANIFESTO pubblica l'articolo di Michele Giorgio "Usa, solo briciole alla Palestina", che presenta una "verità" opposta a quella della STAMPA (per cui Bush si sarebbe schierato con Abu Mazen) ma non meno distorta.
Per Giorgio, naturalmente, la richiesta all'Anp di combattere il terrorismo e i gruppi che lo praticano è del tutto irragionevole, è una pretesa "imperiale" degli Stati Uniti una destabilizzazione dell'Anp (coem se non fossero le armi di Hamas la vera destabilizzazione).

Ecco l'articolo:


Abu Mazen aveva preparato il suo viaggio a Washington con cura, non mancando di inviare negli Usa, con diversi giorni di anticipo, l'astro nascente della politica palestinese, Diana Buttu, con l'incarico di spiegare agli americani il punto di vista dell'Anp. Alla fine però ha raccolto poco o nulla in terra americana ma ha soddisfatto le necessità attuali di un George Bush che parlando della questione palestinese tenta di migliorare la sua immagine nel mondo arabo. Quello di ieri alla Casa Bianca è stato un meeting incolore, inodore e insapore, decorato da qualche dichiarazione di Bush contro una ulteriore espansione delle colonie in Cisgiordania e per lo smantellamento degli avamposti colonici. Lotta al terrorismo: è questo il compito principale che gli Usa si attendono da Abu Mazen che ora deve anche guardarsi dal non finire come Yasser Arafat. Il presidente della commissione difesa della Knesset, Yuval Steinitz, ieri ha esortato il governo Sharon a porre il presidente palestinese di fronte ad un aut aut: o usa la forza contro le «organizzazioni terroristiche» o verrà confinato nella Muqata di Ramallah, proprio come il suo predecessore. Nell'ufficio ovale, Abu Mazen ha parlato della necessità di rilanciare la Road Map - il piano di pace sponsorizzato dal Quartetto (Usa, Russia, Onu e Ue) che prevede la nascita di uno Stato palestinese - ha condannato le misure restrittive imposte all'intera popolazione palestinese dalle forze di occupazione (in particolare dopo l'uccisione di tre coloni ebrei in un agguato di militanti dell'Intifada) e ha denunciato le gravi conseguenze per decine di migliaia di palestinesi della costruzione del muro israeliano in Cisgiordania.

Nella conferenza stampa nel Rose Garden Bush ha recitato un copione noto da tempo: l `obiettivo resta la realizzazione «di due Stati, due democrazie», Israele e la Palestina, «che vivano in pace l'uno accanto all'altro» ma ha ammesso «di non saper dire quando» la Palestina sarà Stato. Soprattutto ha rifiutato di stabilire un legame fra il conseguimento dell'indipendenza palestinese e la fine del suo mandato nel gennaio 2009: «Non bisogna ragionare sui calendari politici americani - ha avvertito - se si farà prima, ne sarò volentieri testimone. Se non si farà, lavoreremo duro per porre le basi perché un'intesa in tal senso possa essere raggiunta». Nel suo esercizio di retorica Bush non ha neppure sollecitato, come speravano i palestinesi, una ripresa dei negoziati diretti tra le due parti, confermando che gli Stati Uniti si muovono solo in linea con la strategia del premier israeliano Sharon, impegnato a realizzare i suoi progetti unilaterali tenendo chiusi nell'armadio i palestinesi. Il presidente americano infine è stato anche prodigo di elogi quando ha dovuto parlare dello scolaretto Abu Mazen, definendolo «devoto alla pace», eletto «su una piattaforma di pace» e che ha dato un forte contributo al ritiro degli israeliani dalla Striscia di Gaza. Elogi che non ha fatto mancare anche all'alleato Ariel Sharon. Infine ha «regalato» ad Abu Mazen un nuovo coordinatore americano per la sicurezza palestinese. Il presidente Usa nominerà nei prossimi giorni il successore del generale Ward che dovrà «aiutare» Abu Mazen e l'Anp a «rispettare l'obbligo di porre fine agli attacchi terroristici, smantellare le infrastrutture del terrorismo, garantire l'ordine pubblico e provvedere alla sicurezza)». Ariel Sharon certo non aveva motivi di lamentarsi delle notizie in arrivo ieri sera dagli Usa anche se da Bush si attendeva dichiarazioni di aperta opposizione alla partecipazione degli islamisti di Hamas alle elezioni palestinesi del 25 gennaio 2006.

Amari i commenti nei Territori occupati. «Dall'incontro - ha detto Ali Jirbawi, un analista dell'università di Bir Zeit (Cisgiordania) - viene fuori una spinta debole al processo di pace e nessun fatto nuovo. Con i magri risultati raccolti a Washington, Abu Mazen vede la sua posizione farsi ancora più precaria, non avrà vita facile a convincere le formazioni palestinesi più radicali a rinunciare alla lotta armata».
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