LA STAMPA di martedì 18 ottobre 2005 pubblica un articolo di Fiamma Nirenstein che riportiamoCade la sera della festa di Succot su Israele, in cui gli ebrei costruendo una capanna in cui siederanno per una settimana, ricordano la sempiterna avventura della precarietà umana. Ed essa, per ironia della sorte, di nuovo aleggia tutta intera sui rapporti israelo-palestinesi, così poco tempo dopo lo sgombero di Gaza. E’ di ieri la decisione di Israele di interrompere la preparazione all’incontro diretto fra Abu Mazen e Sharon, in cui era prevista soprattutto la risoluzione almeno parziale del problema dei passaggi da Gaza in Israele e in Egitto, e quella che sta molto a cuore a Abu Mazen del rilascio di prigionieri dalle carceri israeliane.
Sono state chiuse al traffico palestinese le strade su cui, nella speranza che Abu Mazen fermasse il terrorismo, Israele aveva permesso ai veicoli palestinesi di viaggiare con quelli israeliani; sono stati richiusi i posti di blocco intorno a Hebron, Betlemme e Ramallah che nonostante le decine di avvertimenti per le feste religiose in corso, Israele aveva lasciato incustoditi. Gli affollati, indignati funerali delle vittime dell’attentato di sabato, due ragazze di 21 anni, Kinneret Mandel e Matat Rosenfeld Eldar a Gerusalemme assieme a quello del quattordicenne Oz Ben Meir («ragazzi idealisti, pieni di vita, sale della terra» seguitava a ripetere oggi la radio riportando la disperazione delle famiglie), mentre all’ospedale si visitano i quattro feriti, anche quelli tutti ragazzi, ha ricordato i giorni bui dell’Intifada.
Che cosa succederà dunque? La situazione può precipitare di nuovo? In realtà i rischi ci sono, anche se ieri Abu Mazen durante il suo tour da Mubarak e da Jacques Chirac, alla vigilia dell’incontro con George Bush, condannava gli attentati e assicurava che i colloqui con Israele riprenderanno quanto prima. «Siamo certi - ha affermato Abu Mazen all'Eliseo da Chirac - che i contatti riprenderanno il più presto possibile perché abbiamo molti argomenti da discutere con gli israeliani». E riguardo ai recenti attacchi: «Questi atti portano un enorme pregiudizio alla tregua che tutte le organizzazioni palestinesi si sono impegnate a rispettare. Quelli che li fanno tentano di sabotare quello che stiamo facendo».
L’attacco di domenica è stato di proporzioni che non si conoscevano da tempo, e ha avuto luogo in Cisgiordania proprio per segnalare la volontà di strapparlo, dopo Gaza, al dominio dell’Autonomia e alla linea morbida del presidente e di conquistarlo alla lotta totale contro Israele. Fonti israeliane sostengono che la Cisgiordania viene preparata da Hamas e dagli altri gruppi terroristi in queste settimane come una base logistica da cui lanciare grandi operazioni dentro Israele, e che vi partecipano anche forze straniere. Si parla di Al Qaeda e la stessa fonte cita espressamente gli Hezbollah, protetti dalla Siria, e l’Iran.
L’attentato compiuto domenica nel trafficato incrocio del Gush Etzion è un’intimidazione anche a Abu mazen che parte per gli Stati Uniti, una sconfessione e anche un tentativo di metterlo in imbarazzo. E’ facile infatti immaginare che il presidente Usa gli chiederà con più determinazione, adesso, di rispondere all’uscita di Sharon da Gaza con un’azione effettiva contro i terroristi. Abu Mazen, per altro, può contare su una grande crescita di popolarità: dal 33 per cento dell’aprile del 2005 al 45 per cento odierno. Certamente il rais palestinese vuole utilizzare questo vantaggio nelle elezioni previste per gennaio, e non vuole rischiare che vengano rese impossibili dall’escalation della violenza.
La gente che da ieri non può più viaggiare sulle strade alle quali aveva appena recuperato l’accesso, certo se la prende con Israele, ma non solo: dopo Gaza, molti si domandano perché Hamas insiste nel creare una situazione di conflitto acuto invece che approfittare dell’enorme quantità di aiuti internazionali che stanno piovendo sui palestinesi da ogni parte del mondo. Israele seguiterà a seguire la sua politica: proseguirà negli arresti (ne ha compiuti 700, dopo la pioggia di kassam che sono arrivati fino alla casa di Sharon nelle settimane scorse) e con le eliminazioni mirate, ma ha interesse a sua volta a tenere la porta aperta a un miglioramento che isoli gli estremisti e quindi permetta a Abu Mazen, se finalmente lo volesse, di affrontare i terroristi.
Il CORRIERE DELLA SERA pubblica a pagina 14 l'articolo di Davide Frattini "Israele-palestinesi. Dialogo interrotto".
Ecco il testo:I negoziatori palestinesi hanno aspettato a lungo che gli israeliani si presentassero. Da discutere c'era la riapertura del passaggio di Rafah, al confine tra la Striscia di Gaza e l'Egitto. Domenica sera nessuno si è presentato, poche ore prima due attacchi in Cisgiordania avevano ucciso tre giovani (6 feriti) e il governo aveva deciso: stop ai colloqui. «Il dialogo è interrotto fino a quando l'Autorità non dimostrerà di poter controllare i terroristi», ha spiegato Mark Regev, portavoce del ministero degli Esteri.
Il ministro della Difesa Shaul Mofaz ha anche imposto la chiusura delle città di Betlemme ed Hebron (vicine all'area dov'è avvenuto il più grave degli attentati) e decretato il blocco per le auto private palestinesi sulle strade principali: gli estremisti hanno sparato da una macchina in corsa a un incrocio dove gli abitanti degli insediamenti si fermano per fare autostop o aspettare gli autobus. Da febbraio, l'esercito israeliano aveva gradualmente ridotto le restrizioni dopo la tregua dichiarata dalle fazioni. «Non possiamo continuare in questo processo — ha commentato Mofaz — se le forze di sicurezza palestinesi non passano dalle parole ai fatti».
Gli attacchi sono stati rivendicati dalle Brigate Al Aqsa, legate al Fatah, il partito del presidente Mahmoud Abbas. Uno degli obiettivi è indebolire la sua posizione diplomatica, mentre sta visitando l'Europa e si prepara a incontrare il presidente George W. Bush a Washington. «Sappiamo che alcuni gruppi armati — ha commentato Abbas da Parigi — vogliono danneggiarci. Siamo dispiaciuti per l'attentato». Il leader di Ramallah è sicuro che i negoziati con gli israeliani riprenderanno al più presto.
Erano settimane che i collaboratori del premier Sharon e gli emissari palestinesi si incontravano per provare a organizzare un vertice tra i due: sul tavolo, il rilascio di prigionieri palestinesi e la cessione del controllo di altre città in Cisgiordania. «Gli assalitori — ha detto Saeb Erekat, capo dei negoziatori — hanno voluto sabotare gli sforzi per far ripartire il processo di pace. Gli israeliani sbagliano a rispondere con punizioni collettive».
Sempre a pagina 14 Davide Frattini firma "L'idea di Sharon. Due popoli, due reti stradali"GERUSALEMME — Sui tavoli dei generali israeliani, gli schemi per l'evacuazione di Gaza sono stati sostituiti da una mappa della Cisgiordania con strade di diversi colori. E' il nuovo piano di separazione, che questa volta attraversa incroci, asfalta distanze, crea itinerari dove servono e li cancella dove non devono esserci più. Obiettivo: evitare contatti tra gli israeliani e i palestinesi, perché un crocevia non si trasformi in una trincea e una fermata dell'autobus in un bersaglio per gli estremisti.
Il progetto segue la strategia indicata da Ariel Sharon per il ritiro da Gaza: eliminare le occasioni di attrito. Per ragioni di sicurezza e politiche. Il primo passo, già previsto, è stato anticipato dopo l'attentato di domenica: le auto private palestinesi non possono più viaggiare su alcune strade della Cisgiordania, soprattutto le principali, quelle che collegano Ramallah con Hebron o Betlemme, come la Numero 60 che attraversa i territori da nord a sud. «Quando abbiamo permesso una maggiore libertà di movimento — ha spiegato David Baker, portavoce del premier — volevamo migliorare le condizioni di vita. I terroristi hanno sfruttato le misure umanitarie».
Da qui al 2006, verranno costruite strade speciali per i palestinesi e i punti di passaggio per permettere ai lavoratori di raggiungere le industrie israeliane verranno progressivamente ridotti. Nel 2008, ai palestinesi non dovrebbe essere più concesso di lavorare in Israele e la separazione diventerebbe completa.
Lo Stato ebraico ha cominciato ad asfaltare la Cisgiordania alla fine degli anni Settanta con strade riservate che collegano gli insediamenti senza attraversare i villaggi arabi. Chiamate vie bypass e costate secondo
Haaretz oltre 2 miliardi di dollari, sono state attaccate dalle organizzazioni israeliane per i diritti umani. B'Tselem e Peace Now hanno
denunciato che tagliano le coltivazioni e la terra è stata espropriata. «Fino alla seconda intifada, i palestinesi potevano utilizzarle. Anche se spesso per loro non ha senso, perché non esistono accessi dai villaggi», commenta un rapporto di
B'Tselem dell'agosto 2004, che elenca i divieti: 17 strade chiuse, 10 bloccate parzialmente, 14 con restrizioni.
In questi mesi, gli israeliani avevano ammorbidito le regole. «L'era dei gesti generosi è finita — ha scritto Alex Fishman su Yedioth Ahronoth
—. L'Autorità avrebbe voluto ottenere il controllo di Betlemme prima di Natale, sarebbe stata la ciliegina sulla torta. Ora se lo possono scordare».
IL FOGLIO pubblica in prima pagina l'analisi "Abu Mazen in Europa", che riportiamo:Gerusalemme. Israele ieri ha congelato i contatti con l’Autorità nazionale palestinese sulla gestione della sicurezza. Domenica alcuni uomini armati hanno ucciso tre abitanti di un insediamento in Cisgiordania – uno degli attacchi più gravi dal termine del disimpegno – e l’esercito israeliano ha ucciso un militante islamico. Secondo il capo dei negoziatori palestinese, Saeb Erekat, il congelamento riguarderebbe anche le relazioni diplomatiche, ma il ministero degli Esteri israeliano, Silvan Shalom, smentisce. Per ora gli israeliani hanno limitato la circolazione delle auto all’interno della Cisgiordania, hanno isolato Betlemme (da dove, secondo l’intelligence, sono partiti gli uomini armati), bloccato l’entrata principale di Hebron e arrestato 19 sospetti terroristi. Proprio domenica si era parlato di miglioramenti nelle trattative tra israeliani e palestinesi sul controllo del valico di Rafah, la frontiera tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. Durante un incontro a Gerusalemme tra i negoziatori, i palestinesi avrebbero accettato la richiesta israeliana di coinvolgere un terzo attore nel controllo dei confini: forse l’Unione europea, come riporta il quotidiano Haaretz. Nei prossimi giorni, è previsto lo scambio di bozze su un accordo doganale per il passaggio di merci attraverso il valico di Rafah, unica porta verso l’estero della Striscia di Gaza. Il congelamento dei contatti sulla sicurezza arriva accompagnato dalla reiterata richiesta all’Anp, da parte israeliana, di controllo delle fazioni armate palestinesi e d’impegno per garantire la stabilità nella Striscia, condizione necessaria per l’inizio di trattative di pace. Poche settimane fa, i deputati del Consiglio legislativo palestinese hanno votato una mozione di sfiducia contro il governo di Abu Ala, accusando l’esecutivo di essere incapace di gestire la situazione a Gaza. Ieri i membri dell’Assemblea avrebbero dovuto rinnovare il voto di sfiducia, ma il presidente Abu Mazen, in Francia per incontrare Jacques Chirac, ha inviato una lettera a Ramallah chiedendo di attendere il suo ritorno. Il tour diplomatico del leader palestinese lo ha visto finora in Egitto, Giordania e Francia: giovedì Abu Mazen arriverà a Washington da George W. Bush. Sperava di poter vantare un accordo con il premier israeliano, Ariel Sharon, ma il summit a due è saltato – forse si terrà a novembre – quando è risultata chiara l’anarchia che regna nella Striscia. Il Cairo resta il principale mediatore nella questione israelo-palestinese, soprattutto dopo il ruolo attivo svolto nel ritiro dalla Striscia di Gaza: i soldati egiziani erano presenti nei Territori per fornire un aiuto strategico alle forze di sicurezza palestinesi. A fine ottobre, secondo la radio israeliana, il ministro della Difesa, Shaul Mofaz, sarà al Cairo per discutere la questione della sicurezza sulla frontiera tra Egitto e la Striscia. Nel suo viaggio incontrerà anche il capo dei servizi segreti, Omar Suleiman, che gestisce da anni il dossier israelopalestinese. La prima barba finta d’Egitto sembra ora avere tra le mani anche un nuovo file, quello siriano: secondo il quotidiano arabo al Hayat, Suleiman sarebbe volato segretamente a Damasco per favorire la ripresa della collaborazione d’intelligence tra Stati Uniti e Siria.
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