IL RIFORMISTA di martedì 11 ottobre 2005 pubblica un articolo che analizza dati sattistici molto significativi.
Ecco il testo:Le statistiche spesso vanno
interpretate, ma alcune, come
quella che registra il quadruplicarsi
del numero di palestinesi
uccisi da altri palestinesi
dal 2002 al 2005, non lasciano
margine all’immaginazione.
Nel 2005, per la prima volta
nella storia del Medio Oriente
sono morti più cittadini palestinesi
per mano di loro
compatrioti che per mano del
nemico israeliano. Faide,
guerre civili striscianti, estorsioni,
terrorismo hanno portato
93 morti nel 2004 e 151 nei
primi dieci mesi di quest’anno.
Nel 2002 erano stati 43 i
cittadini palestinesi uccisi da
loro fratelli, l’anno seguente
56. E oramai i cosiddetti collaborazionisti
sono meno di un
decimo dei morti totali.
Il capo della sicurezza dell’Autorità
palestinese, il ministro
degli interni Nasser Yousef,
sostiene di non poter combattere
il crimine organizzato
senza una chiara decisione
politica di affrontare le bande
armate. «Quando Hamas
mantiene la sua ala militare,
allora quelli di Fatah dicono:
abbiamo diritto di fare lo stesso
- spiega Tawfiq Abu Khoussa, portavoce di Yousef,
a proposito delle bande armate
collegate al movimento dello
stesso presidente palestinese
- Questo è ciò che rende
così difficile per il ministro degli
interni combattere il caos e
far rispettare la legge».Anche
Abu Khoussa ha confermato
che nel 2005 sono stati di più i
palestinesi uccisi da altri palestinesi
di quelli morti negli
scontri con gli israeliani. I dati
sono stati presentati giovedì
da un ente pubblico palestinese,
la commissione indipendente
palestinese per i diritti
umani. Majed Arouri, ricercatore
della commissione, afferma
che fino ai primi di ottobre
di quest’anno sono stati
151 i palestinesi assassinati
dalle violenze interne o a causa
del comportamento sconsiderato
dei miliziani armati. Il
numero è aumentato particolarmente
in settembre, quando
22 palestinesi sono
rimasti uccisi da
missili Qassam
esplosi per errore
durante una parata
di armi di Hamas in
una zona della striscia
di Gaza.
Il caos dilagante
sta rapidamente diventando
il principale problema
politico per Abu Mazen,
ancora più grave della minaccia
posta da Hamas e dalla sua
prevista buona performance
elettorale nelle elezioni parlamentari
del gennaio 2006.
Giovedì scorso, alcuni disperati
e infuriati parlamentari
palestinesi hanno dato ad Abu
Mazen due settimane di tempo
per presentare un nuovo
governo e focalizzare l’attenzione
sulla lotta alla criminalità
organizzata ancor prima
che sui negoziati con Israele.
«Il caos è il pericolo maggiore
che minaccia Abu Mazen e
l’Autorità Palestinese - dice
l’analista palestinese Hani al-
Masri ai giornali israeliani co-
me Haaretz e il Post - e se
l’Autorità Palestinese non
prende misure drastiche per
proteggerci dal caos, non potrà
che collassare». «La situazione
della sicurezza si sta deteriorando
in modo molto pericoloso,
e nessuno la sta fermando
», ha detto a sua volta
alla stampa locale, Hassan Khreisheh,
vice presidente del
parlamento palestinese.
L’ultimo caso è stato quello
dell’uccisione domenica di
un taxista ad opera di miliziani
affiliati al Fatah, il movimento
di Abu Mazen: un gruppo di
autisti stava bloccando un incrocio
nella parte sud della
striscia di Gaza per protestare
contro il prezzo del carburante,
quando un gruppo di miliziani
ha ingiunto loro di sgomberare
e poi ha aperto il fuoco,
uccidendo il trentenne Yasser
Barakeh. Un’ esecuzione in
perfetto stile mafioso da Sicilia
anni ’50. Adesso
quella situazione si
sta ripetendo a Gaza.
Abu Mazen ha
promesso ai parenti
della vittima che
avrebbe dato la caccia
ai responsabili,
ma sino a oggi non
c’è stato alcun arresto.
Alcuni capi delle forze di
sicurezza palestinesi si stanno
d’altra parte trasformando in
"signori della guerra", sul modello
somalo e afghano, e usano
gli uomini ai loro ordini per
interessi personali o imprese
illegali come traffico d’armi ed
estorsioni. In molti casi gli
stessi poliziotti militano anche
nelle bande armate irregolari.
La politica di Abu Mazen è
l’attendismo: da una parte evita
di affrontare i gruppi armati
per timore di una guerra civile,
e dall’altra tenta di togliere
i miliziani armati dalle strade
promettendo posti di lavoro
e partecipazione politica.
Per ora, però, ha ottenuto risultati
davvero modesti.
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