Tra informazione e propaganda
su una sentenza della Corte suprema israeliana
Testata:
Data: 07/10/2005
Pagina: 17
Autore: la redazione
Titolo: Tra informazione e propaganda
IL MATTINO di venerdì 7 ottobre 2005 pubblica a pagina 9 l'articolo "Israele, stop all’uso di «scudi umani»", che riportiamo:
I giudici della Corte Suprema di Gerusalemme hanno ordinato all'esercito israeliano di cessare immediatamente, nelle operazioni anti-terrorismo, il ricorso coatto a civili palestinesi perché quella pratica è «illegale». La sentenza arriva dopo tre anni di udienze, iniziati con un ricorso della organizzazione per i diritti civili «Adalah», che aveva accusato nel 2002 le forze israeliane di ricorrere per ragioni operative nei Territori a «scudi umani» palestinesi. Israele aveva allora respinto la terminologia, ma aveva ammesso l’esistenza di una cosiddetta «procedura del vicino di casa».
Si può notare che l'articolo non chiarisce minimamente che cosa sia la "procedura del vicino di casa". Lasciando il massimo di vaghezza intorno a questa pratica si ottiene evidentemente il massimo effetto psicologico di ripulsa e di condanna.
Un'informazione più dettagliata e corretta viene fornita dal CORRIERE DELLA SERA nell'articolo "Vietato usare i palestinesi come degli scudi umani", che riportiamo:GERUSALEMME — La Corte Suprema israeliana ha vietato l'uso di civili palestinesi come scudi umani, nelle azioni antiterrorismo delle forze israeliane, sostenendo che la procedura viola il diritto internazionale. Il massimo organo giuridico d'Israele rende così permanente un divieto che risale al 2002, quando un ragazzino palestinese è rimasto ucciso in una simile azione: i militari gli avevano ordinato di parlare con un ricercato palestinese che si era barricato in casa. In seguito, due associazioni arabo-israeliane per i diritti umani avevano portato il caso davanti alla Corte Suprema.
«Non potete sfruttare la popolazione civile per scopi militari — ha scritto il giudice Aharon Barak —, e non potete forzarli a collaborare con l'esercito». Fino a tre anni fa, l'esercito faceva un uso frequente della cosiddetta «procedura del vicino di casa»: ossia, dopo aver circondato una casa in cui si nascondeva il sospetto, obbligava un vicino a bussare alla porta e avviare le trattative.
«E' una decisione importante, ma occorre che i militari obbediscano», ha commentato Marwan Dallal, avvocato del gruppo per i diritti umani Adallah. Positivi i commenti della sinistra israeliana, mentre da destra sono arrivate diverse critiche: «La decisione dei giudici della Corte Suprema — dice Efi Eitam, del partito nazionalista religioso Nrp — esporrà i soldati israeliani a ulteriori pericoli».
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