IL RIFORMISTA di giovedì 6 ottobre 2005 pubblica pagina 7 un articolo di Paola Caridi sulla crisi di governo nell'Anp e sulla crescente tensione con Hamas.
Per la Caridi la riunione del 5 settembre a Damasco in cui le "fazioni" (gruppi terroristici) palestinesi hanno chiesto che "le divergenze tra palestinesi siano risolte senza l'uso delle armi" sarebbe "un aiuto alla calma". E, in modo del tutto conseguente, ritiene anche che sia ragionevole che Hamas partecipi alle elezioni palestinesi senza aver prima rinunciato alle armi.
Non è dato sapere se la Caridi considererebbe "democratiche" elezioni italiane alle quali partecipassero "fazioni" e "partiti" armati, poniamo le Brigate Rosse e i Nuclei Armati Rivoluzionari.
Non è neanche dato sapere se pensa che anche le posizioni sui rapporti dell'Anp con Israele del leader di Hamas Khaled Meshal, che ha lanciato l'appello, e di quello di Al Fatah Farouq Qaddoumi che gli siedeva accanto siano "aiuti alla calma": entrambi propugnano la distruzione di Israele e la prosecuzione del terrore.
Non è nemmeno dato sapere se anche gli incoraggiamenti (denunciati dall'Anp) di Damasco, capitale che ospita i due personaggi, ai più recenti atti terroristici contro Israele e ad Ahmad Jibril leader del Comando Generale del Fronte Popolare, responsabile di dozzine di attentati, a trasferirsi a Gaza (vedi "Abu Mazen vuole riprendere il controllo di Gaza, Informazione Corretta del 6 ottobre 2005, che riporta l'articolo di Fiamma Nirenstein "Anp- Hamas rotta di collisione") siano un "incoraggiamento alla calma" .
Vale la pena di chiederglielo.
Ecco il testo:Le grandi manovre per il nuovo governo palestinese sono cominciate: il governo dovrebbe dimettersi all’inizio della prossima settimana, e sul totocandidato
si stanno esercitando gli esperti della materia. Ma le voci di corridoio, ieri, erano tutte sulla salute di Abu Ala, alias Ahmed Qureia, pimo ministro ed esponente di rilievo dei vecchi di Fatah, quelli dell’esilio di Tunisi. Abu Ala non è a Ramallah. Non è neanche ad Abu Dis, il sobborgo di Gerusalemme est che
Israele sta dividendo dalla città costruendo il muro di separazione. È in Giordania per accertamenti medici, e dalla Giordania dovrebbe tornare oggi. Alcune notizie, riportate dal sito del quotidiano israeliano Maariv, dicono invece altro:che le condizioni di salute di Abu Ala non siano affatto buone, e che anzi abbia avuto un attacco cardiaco. Le notizie su di un possibile peggioramento delle condizioni di salute di Ahmed Qureia, smentite subito dai
dirigenti dell’Anp, la dicono lunga sulla tensione politica che si vive a Ramallah. Dopo il voto del parlamento palestinese, che chiede al presidente Mahmoud Abbas (meglio noto come Abu Mazen) di formare un nuovo governo entro due settimane, non è chiaro se sarà Abu Ala a gestire un semplice rimpasto, o se invece Qureia si dimetterà per lasciare il posto a un altro primo ministro.Diversi sono, insomma, gli scenari possibili per un governo che dovrebbe durare solo pochi mesi. Il tempo necessario per rendere possibile la campagna elettorale e le consultazioni politiche del 25 gennaio. Il tempo necessario, anche, per tentare di portare legge e ordine a Gaza e in Cisgiordania. Lo scenario più semplice, ma anche quello meno scontato,è che Abu
Ala gestisca il rimpasto, licenzi il ministro dell’Interno Nasser Youssef (come richiesto nella sostanza dal rapporto presentanto al parlamento palestinese
che ha dato luogo alla sfiducia), riveda i vertici della sicurezza e allarghi la base di governo ad altri settori di Fatah. L’ipotesi non è scontata non
solo perché Abu Ala ha molti avversari, ma anche perché mettere su un nuovo governo debole potrebbe essere rischioso, per lui. Secondo la legge, non si può
infatti presentare alle elezioni chi si è dimesso da un alto incarico entro due mesi dall’apertura delle urne. E a Ramallah, checché se ne dica, la campagna
elettorale è già iniziata. E ha già il suo primo candidato eccellente: Marwan Barghouti, che ieri ha fatto sapere dalla sua cella nella prigione di Beersheva, dove deve scontare cinque ergastoli, che si presenterà nella lista di
Fatah. Lo ha comunicato il ministro per i prigionieri, Sufyan Abu Zaida, precisando che anche altri prigionieri hanno chiesto di candidarsi. E tutti sanno che, se Barghouti dovesse concorrere, stravincerà in Cisgiordania. Il rischio di un governo instabile e che duri meno di qualche mese, dunque, sta diminuendo il numero dei pretendenti tra i dirigenti di Fatah alla carica di primo ministro, se Abbas decidesse di guardare altrove e non designare un’altra volta Abu Ala. Perché in molti, tra i dirigenti, stanno preparando la campagna elettorale. Ecco allora il terzo scenario, che a Ramallah comincia ad avere parecchi sostenitori e che toglierebbe le castagne dal fuoco.Un governo guidato dalla stesso Abu Mazen, che assommerebbe la carica di premier - seppur a tempo limitato - a quella di presidente. La legge lo vieta, se non nel caso in cui fosse proclamato lo stato di emergenza. Per molti, però, lo stato di emergenza
è già in atto, vista la situazione della sicurezza a Gaza: un escamotage, insomma, sarebbe tutto sommato non impossibile da trovare dal punto di vista formale. E salverebbe le grandi manovre preelettorali in corso e la questione della legge e ordine sul territorio. Dopo gli scontri di domenica sera a Gaza, d’altra parte, la situazione sul terreno sembra tornata entro l’alveo della "normalità". Una mano, per il ritorno alla calma, è arrivata ieri da
una parte importante della diaspora palestinese: in una riunione a Damasco, le fazioni hanno chiesto che le divergenze tra palestinesi vengano risolte senza
l’uso delle armi.A dirlo, il leader politico di Hamas, Khaled Meshaal, accanto al capo dell’ufficio politico dell’Olp, Farouq Qaddoumi. Un messaggio, quello
di Meshaal, diretto al mondo politico palestinese, per dire che Hamas vuole partecipare all’Anp. Pur rifiutando il disarmo nei confronti degli israeliani.
Una richiesta reiterata, negli scorsi giorni,anche dalla Condoleezza Rice
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