Nemer Hammad, rappresentante in Italia prima dell'Olp, poi dell'Anp lascia il nostro paese.
Maurizio Caprara e Davide Frattini sul CORRIERE DELLA SERA di martedì 4 ottobre 2005 ne tracciano un ritratto, interessante per come delinea la trama di rapporti, connivenze, accordi sotto banco che ha legato le organizzazioni del terrorismo palestinese ai politici della Prima Repubblica.
Tre emblematiche fotografie illustrano l'articolo e il poco edificante contesto storico che descrive, con i suoi strascichi odierni : Nemer Hammad nella sede del Psi, tra Bettino Craxi e un riconoscibile Claudio Martelli, Nemer Hammad che assiste giubilante all'abbraccio tra Yasser Arafat e il senatore a vita nonché ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, Nemer Hammad che a una manifestazione regge uno striscione con il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti.
Nemer Hammad è davvero un uomo in qualche modo rappresentativo di una prassi politica e di un clima, dominanti in Italia per molto tempo. Speriamo che la sua partenza indichi che le cose sono infine cambiate.
Di seguito il testo dell'articolo:ROMA — Questa volta la conferma alle voci di una sua partenza da Roma, diventate più fitte dopo la morte di Yasser Arafat e puntualmente risultate premature, viene dal diretto interessato. «E' vero. Sto per andare in Palestina», risponde Nemer Hammad, il rappresentante dell'Autorità nazionale palestinese in Italia, quando gli si domanda se il suo mandato pluridecennale sta per concludersi. «E' normale», aggiunge per non dare l'impressione di una defenestrazione dovuta a dissensi con la casa madre. Sui suoi prossimi ruoli, non si sbilancia: «Vediamo, c'è ancora tempo...». Soltanto più avanti si capirà con certezza se è buon viso a cattivo gioco o c'è un pizzico di suspense.
Finirà un'era, con l'uscita di Hammad dai palazzi più ufficiali di Roma e da quelli per niente ufficiali. Un'era che richiama alla mente diplomazie con tutti i crismi e parallele diplomazie artigianali, spesso più sostanziali. In fondo, è un personaggio della Prima Repubblica italiana sopravvissuto al terremoto degli anni Novanta, Nemer Hammad. La permanenza nel suo incarico di ambasciatore di fatto dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina prima e dell' Anp poi sembrava sempiterna, malgrado intorno quasi tutto cambiasse. Chiudeva il Pci. Inciampava Giulio Andreotti. Crollava Bettino Craxi. Sparivano interi partiti. Restava lui, arabo felpato, spregiudicato, sempre più italianizzato nel modo di fare.
Era arrivato a Roma dopo la guerra con Israele del 1973, questo palestinese del villaggio di Al Kabri, Galilea. Profugo dall'età di sette anni, quando nel 1948, agli albori dello Stato di Israele, dovette lasciare Al Kabri per il Libano. Al Cairo, poi, frequentò l'università con Saddam Hussein e finì in galera perché militante del Baath. Per capire la particolarità del suo lavoro, basta un dettaglio sull'arrivo a Roma.
«Avevo solo due recapiti: quello degli uffici della Lega araba a Roma e quello del Sismi! Tutto lì», ha ricordato ad Alberto La Volpe nel libro
Diario segreto di Nemer Hammad, ambasciatore di Arafat in Italia, Editori Riuniti, prefazione di Francesco Cossiga. Rapporti tra Farnesina e Olp non c'erano ancora.
La Prima Repubblica disponeva di altri canali. Dalla memoria di Hammad: «A Roma c'era stato il fallito attentato di Ostia dove i palestinesi di Al Fatah avevano cercato di colpire con un missile l'aereo di Golda Meir. E gli attentatori furono arrestati. (...) Il colonnello Giovannone fece venire in Italia, clandestinamente, una "delegazione" palestinese alla quale fu permesso di parlare con i detenuti. Il risultato della missione fu positivo per l'Italia. Nel senso che i palestinesi detenuti furono segretamente rilasciati con l'impegno che non ci sarebbero stati più attentati in Italia».
E' in virtù della competenza su questioni delicate che Hammad aprì per l'Olp porte mai aperte. Cominciò da Lelio Basso, Riccardo Lombardi, poi conobbe Gian Carlo Pajetta, Emilio Colombo, Craxi. Cucì reti di rapporti preziosi. Lo si poteva vedere a un comizio di Enrico Berlinguer, ma più tardi portò da Arafat il primo missino, Mirko Tremaglia. L'incarico romano di facciata era corrispondente dell' agenzia di stampa palestinese. Il passaporto diplomatico lo ebbe dalla Tunisia. Con nome falso: Mohammed Salah Alben Sarti.
Era normale, come dice oggi del suo ritorno che coincide con i cambiamenti politici in Cisgiordania. Fu Hammad a preparare un appello di Arafat per il rilascio di Aldo Moro, rapito dalle Br, e a raggiungere Beirut con il capo del Sismi, Giuseppe Santovito. Di confidenza con tragedie ne aveva. Un fratello ammazzato a Parigi dal terrorista arabo Abu Nidal. A Roma, il predecessore «ucciso dal Mossad». Nel 1978, Hammad si dotò di una scorta: «Informai i servizi italiani che le due guardie palestinesi avevano passaporti giordani, falsi come il loro porto d'armi. I servizi ci autorizzarono a comprare le armi per le due guardie». Intrighi di spie? No, effetti del patto politico con la Prima Repubblica.
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