Angelo Panebianco sul CORRIERE DELLA SERA di venerdì 30 settembre 2005 commenta l'apertura avenezia di un convegno su "Islam e democrazia" organizzato da "ambienti vicini alla Margherita".
Ecco il testo:Non è forse una riconversione strategica ma certo indica la volontà di settori del centrosinistra di non giocare più solo di rimessa nella questione della lotta al terrorismo islamico. Un po' in sordina, si è aperto a Venezia un convegno su «Islam e democrazia» che, plausibilmente, lascerà il segno, peserà sugli orientamenti e le scelte del centrosinistra. Organizzato da ambienti vicini alla Margherita, si chiuderà oggi con un intervento di Romano Prodi. Le forze che lo hanno promosso, pur mantenendo, come è naturale, le loro critiche passate all'intervento degli Stati Uniti in Iraq, sembrano avere accettato, uso delle armi a parte, l'idea, che fu dei «neoconservatori» americani, secondo cui solo promuovendo la democrazia nel mondo islamico si potrà sconfiggere la sfida jihadista.
Se la svolta è stata preparata, nel corso del tempo, da vari interventi di Francesco Rutelli e di Piero Fassino, è però la prima volta che settori importanti del centrosinistra si impegnano in una iniziativa formale. Fino a ieri, in Italia, di democrazia nel mondo islamico parlavano solo i radicali di Pannella e Bonino (relatrice al convegno di Venezia), malsopportati, trattati da «amerikani», dagli ambienti di sinistra. E pour cause, dal momento che in Europa solo chi ha sensibilità affine a quella anglosassone pensa alla lotta contro le tirannie e alla diffusione della democrazia come strumenti di pacificazione. La svolta dunque c'è ed è profonda.
Di fronte al terrorismo islamico, dopo l'11 settembre, gli europei hanno reagito assumendo l'una o l'altra di tre posizioni. C'è chi dà per ineluttabile la continuazione dello «scontro di civiltà», fino alla vittoria finale dell'uno o l'altro contendente, l'Occidente o l'Islam radicale. In genere, a questa posizione si associa la sfiducia nelle possibilità di riforma del mondo islamico.
C'è, in secondo luogo, chi addossa agli Stati Uniti ogni colpa («Bin Laden è una creatura della Cia», «dietro a tutto c'è il petrolio»). E' una posizione diffusissima, anche in Italia. Qui il problema è, al solito, l'imperialismo americano, non la tirannia o il fondamentalismo religioso.
C'è infine chi dice che il terrorismo sia figlio dell'irrisolto rapporto fra Islam e modernità e che su questo occorra agire. Aiutando l'Islam a conciliarsi con la democrazia, l'uguaglianza dei diritti, l'economia di mercato. Tra coloro che condividono questa posizione, naturalmente, ci sono anche divergenze fortissime. Se i neo-conservatori puntavano (prima delle difficoltà insorte in Iraq) soprattutto sulla potenza militare, altri, come i promotori del convegno veneziano, scommettono su strategie più morbide, economiche e politiche. Ciò che conta però è che anche in Europa, anche a sinistra, non si facciano più orecchie di mercante sulla questione della «esportazione della democrazia». Ciò lascia intravedere, dopo le lacerazioni passate, la possibilità di un riavvicinamento strategico fra gli Stati Uniti e la parte d'Europa che fu più critica. Se si concorda sul fatto che occorra democrazia nel mondo islamico, nasce un terreno di confronto su cui l'Occidente può ritrovarsi e coordinarsi. Alla ricerca delle strategie più efficaci per contenere il terrorismo e dare una mano ai musulmani, e sono tanti, che vorrebbero finalmente liberarsi dalle catene.
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