A pag. 21 di METRO di mercoledì 28 settembre 2005 Paola Caridi firma l'articolo della rubrica "L'opinione" dal titolo: "Autunno caldo a Gerusalemme".
Ecco il testo:Poche settimane, e il disimpegno da Gaza sembra già storia. Storia archiviata, come archiviato per il momento è lo scontro tra Ariel Sharon e Benyamin Netanyahu dopo dopo il confronto nel Likud. E ora? Cosa succederà? Israeliani e palestinesi torneranno finalmente al tavolo negoziale? Poco probabile. Non sono i tempi delle intese, questi. Sono i tempi delle decisioni unilaterali.
Perché a Israele manca un interlocutore in grado di garantire un efficace contrasto al terrorismo.Com'è stato per Gaza, evacuata per decisione di Ariel Sharon e della maggioranza degli israeliani. Come sarà, nei prossimi mesi, per molte questioni lasciate aperte in Cisgiordania e in quella che viene chiamata la "sacca di Gerusalemme". Dove, nelle scorse settimane, la costruzione della barriera difensiva è continuata senza sosta. Chi pensava che l'evacuazione da Gaza avrebbe di per sé portato a una pace rapida, si è svegliato d'improvviso dal sogno. Un risveglio rumoroso, a suon di razzi Qassam dalla parte di Hamas. E di raid aerei, omicidi mirati e colpi di artiglieria pesante dalla parte dell'esercito israeliano.
La caridi non distingue tra l'aggressione e la difesa. Da quanto scrive sembra che Hamas e Israele, contemporanemente, abbiano preso a scambiarsi "razzi Qassam" e "raid aerei". In realtà Israele non ha fatto che rispondere aun'aggressione terroristica.Un risveglio da incubo, che riporta in primo piano la necessità di comprendere meglio - fuori dalla retorica - cosa sta succedendo tra Israele e Territori palestinesi.
Per capire quale pace e a quale prezzo, bisognerà vedere chi guiderà Israele nei prossimi anni. Sharon, lunedi sera, ha vinto di misura contro il suo avversario, Netanyahu, la sfida dentro il partito Likud. Ma non ha ancora vinto la battaglia dei prossimi mesi sulla leadership dell'elettorato di centro. Sharon potrebbe ancora uscire dal Likud e creare un partito di centro, moderato, pronto ad altre concessioni verso i palestinesi. Certo, concessioni limitate, come lo spostamento al massimo di 50 mila coloni dai piccoli insediamenti a quelli più grandi in Cisgiordania. Rafforzando, dunque, la presenza del totale di 250 mila dentro i Territori occupati. Dentro colonie protette dalla cosiddetta barriera difensiva. Oppure, a vincere potrebbe ancora essere la linea di Netanyahu, quella che di concessioni, ai palestinesi, non ne farà nessuna, sostenuta dal sionismo religioso espresso dai coloni di Gaza: contraria al disimpegno dalla Striscia, favorevole ad allargare la presenza ebraica dentro Gerusalemme.
Cambio di fronte, stessa confusione. Neanche la politica palestinese, insomma, ha chiaro il proprio futuro. Anzi-tutto, perché il rovello di Hamas non è stato ancora risolto: il movimento islamista miete consensi, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania. L'ultimo scontro tra Hamas ed esercito israeliano sta, però, costando caro alla sua dirigenza. Non solo per i raid lanciati sulla Striscia. Ma soprattutto per le centinaia di aresti che gli israliani stanno compiendo in questi giorni nel cuore della Cisgiordania. Ramallah compresa. Se gli arresti incideranno sulle elezioni politiche palestinesi di gennaio, comunque, è tutto da vedere. Anche perchè, dentro il partito avversario di Fatah, la situazione non è migliore. Anzi. Il presidente Mahmoud Abbas deve fare i conti con fortissime pressioni interne. Quelle dei militanti di base presenti a Gaza (difficili da controllare). E quelle della nuova guardia di politici, a cui sta stretto il poco potere che hanno ricevuto dalla leadership di Abu Mazen. Autunno caldo, insomma, ancora una volta, dalle parti di Gerusalemme
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