Il ritorno di un vecchia falsità: che sia di Sharon la responsabilità della guerra terroristica contro Israele
lo sostengono il quotidiano cattolico e quello comunista
Testata:
Data: 29/09/2005
Pagina: 6
Autore: Barbara Uglietti - Michele Giorgio
Titolo: Sharon non da tregua a Gaza, quattro raid - Una rivolta lunga 5 anni
Sharon prosegue per la sua strada "quella cominciata, nel modo peggiore, esattamente cinque anni fa, quando con la "passeggiata" alla Spianata delle Moschee dette inizio alla seconda Intifada" spiega Barbara Uglietti su AVVENIRE di giovedì 29 settembre 2005.

Una versione dei fatti più volte smentita dagli stessi palestinesi, ad esempio il 6 dicembre del 2000 il Al Ayyam riferì una dichirazione del ministro delle Comunicazioni palestinese Imad al Falouji durante un simposio a Gaza, secondo la quale l'Anp incominciò a prepararsi all'intifada subito dopo il fallimento degli accordi di Camp David, su ordine dello stesso Arafat.

D'altronde, gli scontri erano iniziati 48 ore prima della "passeggiata" di Sharon sulla quale per altro il Waqf, l'ente islamico di tutela dei luoghi santi, aveva espresso parere favorevole.

Ecco il testo dell'articolo, che ha un titolo, "Sharon non da tregua a Gaza, quattro raid", del tutto scorretto in quanto, dimenticando l'offensiva terroristica palestinese, dipinge Israele come l'aggressore dell'intera "Gaza":

Rafforzato dal voto favorevole del Likud, il premier israeliano Ariel Sharon sale nei sondaggi (è al 50% contro il 36% del suo rivale, Benjamin Netanyahu), raccoglie il consenso della comunità internazionale e, lasciate alle spalle polemiche e pressioni per il ritiro da Gaza, riparte deciso per la sua strada. Quella cominciata, nel modo peggiore, esattamente cinque anni fa, quando con la "passeggiata" alla Spianata delle Moschee dette inizio alla seconda Intifada. Quella su cui sta evidentemente cercando di svoltare. Ha più o meno sei mesi (fino alle primarie del partito, in primavera) per dimostrare di aver scelto la strategia giusta, quella del ritiro da Gaza, e sembra determinato a non perdere tempo. Prima problema: Hamas. Il caos nei Territori è la base su cui i nemici di Sharon hanno costruito, e costruiranno, il teorema del fallimento del disimpegno. E se il caos nei Territori è opera di Hamas, è Hamas che il premier deve colpire. Infatti. Da giorni la Striscia è sottoposta a un martellamento di raid, almeno quattro nelle ultime ore, attacchi mirati, colpi di artiglieria. E dopo un bombardamento, gli abitanti di Gaza City sono rimasti senza corrente elettrica.
In Cisgiordania, invece, l'esercito continua a fare rastrellamenti e retate (400 arresti negli ultimi giorni, una trentina solo ieri). Il vice-ministro della Difesa Zeev Boim ha detto che Hamas, in difficoltà nella Striscia, avrebbe intenzione di «moltiplicare» gli attentati in Cisgiordania. Le truppe ieri sono entrate a Tulkarem, Qalquilya, Hebron e Ramallah; hanno perquisito e chiuso 15 sedi locali di Hamas e Jihad. L'offensiva si è intensificata dopo la diffusione, due giorni fa, del video dell'ostaggio israeliano ucciso dalle Brigate Ezzedin al-Qassam (braccio armato di Hamas) e dopo l'allarme, lanciato ieri dal capo dell'intelligence militare israeliana, sulla presenza di una cellula di al-Qaeda nella Striscia. Il generale Aharon Zeevi-Farkash ha spiegato che la Rete di Benladen, ha «accr esciuto il suo interesse ad attaccare Israele» e che alcuni terroristi sono riusciti a entrare a Gaza attraverso il valico di Rafah. Un video spuntato nei siti Internet vicini alla Rete confermerebbe la cosa: è un filmato di sette minuti in cui tre uomini di al-Qaeda rivendicano un attacco missilistico di luglio contro un insediamento ebraico nella Striscia e dicono di voler «operare» nei Territori.
Un "terzo incomodo" che paradossalmente potrebbe fare il gioco di Sharon, perché il premier si ritroverebbe ad avere una motivazione in più (la lotta al terrorismo internazionale) per intervenire massicciamente nella Striscia, senza toccare il nervo più scoperto dell'Autorità nazionale palestinese. Cioè Hamas. Il presidente Abu Mazen sta infatti cercando di mediare tra i vari gruppi per riportare l'ordine a Gaza. Ieri ha criticato Hamas per aver dato il «pretesto» alle nuove incursioni e paventato il rischio di una guerra civile. E mentre a Ramallah confermavano il rinvio del vertice Abu Mazen-Sharon previsto per il 2 ottobre, dall'Egitto, dov'è in visita ufficiale, il presidente dell'Anp ha annunciato la sua prossima missione negli Stati Uniti: il presidente George W. Bush lo riceverà alla Casa Bianca il 20 ottobre. Obiettivo: disinnescare la violenza di Hamas nella Striscia. Lo stesso di Sharon.
Sulla menzogna per cui Sharon avrebbe scatenato la seconda intifada , come recita il sottotitolo del suo pezzo, "la collera palestinese", Michele Giorgio basa l'articolo "Una rivolta lunga cinque anni", pubblicato dal MANIFESTO del 29 settembre.
L'altro assunto su cui si regge la falsificazione storica di Giorgio è che il negoziato di Camp David sarebbe fallito per l'intransigenza israeliana su Gerusalemme (la questione dei profughi, a quanto pare, per Giorgio non ebbe alcun ruolo: si noti la flessibilità della propaganda che ora agita il supposto "diritto al ritorno" come irrinunciabile, ora finge che i negoziatori palestinesi fossero disposti a rinunciarvi) .
In realtà, se intransigenza vi fu su questa questione , non venne certo dal governo Barak che offrì ai palestinesi la spartizione di Gerusalemme, ma dall'Anp, che pretese la sovranità persino sul Muro del Pianto.
Inoltre ,mentre Giorgio cita a sostegno della sua tesi su Camp David "una serie di rivelazioni di funzionari dell'amministrazione Clinton" pronunciate " a bassa voce naturalmente", lo stesso Clinton e un funzionario di primo piano come Dennis Ross concordano nell'attribuire ad Arafat la responsabilità del fallimento del vertice.
Anche Richard Mealley, il più critico con la mediazione americana, accusa Arafat di aver abbandonato i negoziati senza avanzare controproposte.

Altro falso contenuto nell'articolo è che qualcuno abbia sostenuto la tesi che uscito di scena Arafat la via per la epce sarebbe stata spianata. Uscito di scena Arafat era chiaro che la pace avrebbe avuto un'opportunità, che i nemici di ogni risoluzione del conflitto israelo-palestinese avrebebro fatto di tutto per soffocare.
Esattamente quello che sta ora facendo Hamas.

Ecco il testo dell'articolo




Era il 28 settembre del 2000 quando tra un imponente spiegamento di forze di polizia e urla di protesta di centinaia di giovani palestinesi, Ariel Sharon, a quel tempo leader dell'opposizione, assieme ad altri deputati di destra, se ne andò a «passeggiare» sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme, terzo luogo sacro del mondo musulmano. Fu quella la scintilla che diede fuoco alle polveri della seconda rivolta palestinese, passata alla storia come Intifada di Al Aqsa. Oggi però capi di stato e di governo preferiscono sorvolare su quel «particolare» ed enfatizzare invece la «svolta di pace» di Sharon, eletto primo ministro appena quattro mesi dopo quella «passeggiata», in sostituzione del laburista Ehud Barak. Tutti sapevano che la «visita» di Sharon avrebbe provocato un incendio devastante. La tensione politica era molto alta. Due mesi prima erano falliti i negoziati a Camp David. Barak e l'allora presidente Usa, Bill Clinton, puntarono l'indice contro il leader palestinese Yasser Arafat, reo di non aver accettato le «generose offerte» territoriali di Israele. Questa versione era piaciuta ai tanti che in Europa, Israele e Stati uniti non amavano quell'ometto grassoccio, dal comportamento imprevedibile, che insisteva nel voler dare ai palestinesi uno Stato vero e non fantoccio. Verrà smentita soltanto un paio di anni dopo - a bassa voce naturalmente - da una serie di rivelazioni di esponenti dell'Amministrazione Clinton che indicarono nella questione del controllo dei luoghi sacri di Gerusalemme e nella mancata preparazione degli incontri a Camp David, i punti sui quali era effettivamente crollata la trattativa.

Che Gerusalemme fosse il vero nodo lo confermò proprio la «passeggiata» di Sharon. «Il Monte del Tempio (la Spianata, ndr) - spiegò alla televisione commerciale - fa parte di Gerusalemme, che si trova sotto piena sovranità israeliana. È mio diritto, come di ogni cittadino israeliano, visitarlo anche perché si tratta del luogo più sacro al popolo ebraico». Dopo la sua controversa visita Sharon parlò con Barak. «Ci siamo limitati a scambiarci gli auguri per il nuovo anno ebraico», raccontò ai giornalisti. Oggi a distanza di cinque anni molti hanno dimenticato, altri fanno finta di non ricordare. Eppure il governo e il Consiglio legislativo palestinese avevano chiesto a Barak «di impedire una visita che rischia di mettere in pericolo il processo di pace israelo-palestinese». Un avvertimento giunse anche dall'allora ministro della giustizia israeliano Yossi Beilin per il quale «ogni visita di Sharon finisce con l'assumere sempre un carattere provocatorio». Dopo la passeggiata anche gli Stati uniti riconobbero che almeno parte della responsabilità delle violenze era del leader della destra israeliana. Il Segretario di stato Madeleine Albright definì «del tutto controproducente» la mossa di Sharon. Più esplicita fu la presidenza francese dell'Unione europea: «Questi avvenimenti mostrano a che punto una provocazione che viene in un contesto di tensione può avere delle conseguenze tragiche». Il 3 ottobre l'ex rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Elio Toaff, all'inaugurazione del tempio ebraico nel cimitero Flaminio di Roma, dichiarò ai giornalisti: «Chi ha detto a Sharon di andare alle moschee non si è reso conto di quello che faceva».

Nel giro di qualche settimana invece la responsabilità dell'Intifada venne attribuita interamente ai palestinesi, che nel frattempo morivano come mosche sotto il fuoco dei soldati israeliani. La rivolta divenne un piano concepito da lungo tempo «per costringere Israele a concedere quello che aveva rifiutato al tavolo delle trattative». Arafat da premio Nobel per la pace divenne il «terrorista implacabile» a capo di un popolo di «terroristi» e la sua eliminazione, pardon «rimozione», desiderata (programmata?) a Washington e non solo in Israele. A cinque anni dalla passeggiata di Sharon la striscia di sangue continua ad allungarsi. Ci ritroviamo con un Ariel Sharon proclamato «alfiere della pace» per aver messo fine (e neppure completamente) all'occupazione della minuscola Striscia di Gaza (360 kmq). C'è un muro in più, quello in costruzione in Cisgiordania e intorno a Gerusalemme, un movimento islamico Hamas al massimo della popolarità, consapevole della sua forza, e un'Autorità nazionale sempre più debole.

Non c'è più l'ometto grassoccio accusato di tutto il male possibile. Un anno fa, stroncato da una misteriosa malattia, Arafat è uscito di scena. Senza di lui, dissero in tanti, la pace sboccerà come un fiore a primavera grazie al suo successore «moderato» Abu Mazen. Dalla sua elezione, il 9 gennaio scorso, a oggi Abu Mazen ha ben poco in mano. Dopo cinque anni, riferiva ieri il «Gruppo per il monitoraggio dei diritti umani», mancano all'appello 3508 palestinesi ma anche 1073 israeliani (in gran parte morti in 165 attentati suicidi palestinesi). Tra gli uccisi, 663 palestinesi e 115 israeliani avevano meno di 17 anni. Si contano migliaia di feriti e centinaia di disabili, migliaia di case palestinesi distrutte o danneggiate, decine di migliaia di alberi abbattuti. Settemila palestinesi sono nelle carceri israeliane, tra cui il leader politico più popolare nei Territori occupati, Marwan Barghuti. E mancano all'appello anche l'intellettuale palestinese Edward Said e l'uomo che più di ogni altro aveva lavorato per una soluzione giusta per Gerusalemme, Faisal Husseini. Molti, dopo il ritiro da Gaza, hanno parlato di pace a portata di mano. Quella di ieri però era una cronaca di guerra. Per la prima volta da decine di anni, anche l'artiglieria pesante israeliana è entrata in azione. Un generale, Israel Ziv, ha avvertito i palestinesi di Beit Hanun che anche la loro città sarà bombardata se continueranno i lanci di razzi contro la vicina Sderot.
Il quotidiano comunista riporta anche un trafiletto "Chiude radio jihad"

Ecco il testo:

La radio della Jihad Islamica, al-Quds, ha chiuso i microfoni: dopo un anno e mezzo di tramissioni, la radio ha chiuso nel timore di un raid dell'aviazione israeliana.


Naturalmente non si fa menzione del fatto che Radio Jihad diffonde dai suopi microfoni appelli acompiere attentati terroristici in Israele.
Il trafiletto è posto accanto a un articolo intitolato "Iraq, la guerra Usa ai media"e a a una fotografia di manifestanti con lo striscione "Justice for journalists killed in Iraq".
L'insieme contribuisce a suggerire l'idea che la chiusura di radio jihad sia stato un grave colpo alla libertà di espressione e di informazione.

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