L'agenzia stampa missionaria vede Israele dietro l'11 settembre
il settimanale Tempi, informato e puntuale, replica
Testata:
Data: 21/09/2005
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: L'agenzia stampa missionaria vede Israele dietro l'11 settembre
Il settimanele TEMPI pubblica nel numero 38 del 15/09/2005 l'articolo Agenzia di stampa missionaria: l'11/9 cospirazione israeliana, che riportiamo:Misna, purtroppo per noi agenzia di stampa missionaria, ha scelto di ricordare gli attentati dell'11 settembre sposando la teoria della cospirazione israeliana. In un editoriale del direttore Pietro Mariano Benni si legge che quel giorno a New York «alcuni uomini di presunta nazionalità israeliana erano stati fermati a bordo di un pullmino attrezzato di insoliti congegni mentre, a quanto pare, festeggiavano con una bottiglia di champagne; interrogati dalla polizia locale e rimasti per qualche tempo in custodia, erano stati trasferiti a Washington e se ne erano poi perse le tracce». In realtà la storia dei cinque israeliani arrestati mentre si dirigevano verso Manhattan è stata chiarita a sufficienza molto tempo fa: gli "insoliti congegni" erano alcuni taglierini, parecchi passaporti e una forte quantità di denaro; nessuna "bottiglia di champagne", ma una macchina fotografica con immagini dei cinque sorridenti con le Twin Towers in fiamme sullo sfondo; niente "tracce perse", ma l'espulsione dei cinque dagli Usa per immigrazione illegale. Probabilmente i cinque erano agenti israeliani ma, come chiarito dall'Fbi, in nessun modo collegati agli attentati dell'11 settembre. Ma Misna ama pescare nel torbido.
Di seguito, riportiamo l'articolo di Misna,"alla scrivania del direttore Da un terrificante settembre nero a un altro" pubblicato il 9/9/2005.
Ecco il testo:"The party is over, mister president", la festa è finita signor presidente, ha scritto Thomas L. Friedman, uno dei più noti editorialisti d'America, ammettendo di essere stato - subito dopo il tragico "9/11" - l'11 settembre 2001 - tra coloro che, sia pur solo di pancia, videro nel presidente in carica e nei suoi collaboratori, i titolari di un assegno in bianco per rispondere alla tragedia di New York. "Se 9/11 mise il vento a favore" di una spietata agenda neoconservatrice che non marciava - sottolinea Friedman, ricordando che questo presidente non aveva di fatto mai ottenuto con il voto il suo mandato - "Katrina ha ora girato quel vento di fronte". Nel fondo comparso anche sull' "International Herald Tribune di ieri, riferendosi all'attuale governo statunitense, Friedman non esita ad affermare: "Sono persone queste di gran lunga più brave a infliggere dolore al mondo che a provarlo, di gran lunga più brave a fare le cose a pezzi che a rimetterle insieme.". Mentre almeno alcuni leggevano e meditavano su questo verdetto senza appello, un'altra "macchia" compariva sulla scena del mondo. Quella che l'ex-segretario di stato americano, il generale Colin Powell, nella prima intervista dalla sua uscita di scena dal governo, pubblicamente ammetteva di portare per sempre sulla sua coscienza: il discorso con cui all'Onu, nel febbraio 2003, aveva presentato le 'prove' e la dettagliata descrizione di quelle 'armi di istruzione di massa' che l'Iraq non ha mai posseduto. Alcuni si erano resi conto subito dell'imbarazzo e della scarsa vis persuasiva di quella lunga deposizione che aveva preceduto di poche settimane l'inizio della guerra mai accettata nè dall'Onu nè da una parte del mondo molto più grande della cosiddetta coalizione. Ma nessuno o pochi potevano sapere che quel discorso, costituendo una macchia indelebile, fosse stato allora "doloroso e sia ancora doloroso" per Powell, come lui stesso ha detto in diretta televisiva. "E' troppo presto per valutare appieno la portata dell'uragano Katrina e ancor più per comprenderne il significato" scrive sul suo ultimo numero il settimanale 'yiddish' (ebreo) "Forward", uno dei più lucidi, coraggiosi e antichi periodici di New York, fondato come quotidiano nel 1897. "Sembra comunque certo - aggiunge il settimanale nell'editoriale intitolato 'Dopo il diluvio' - che l'America ha subito un colpo come mai ne abbiamo conosciuti". Verso la conclusione l'editoriale tra l'altro sottolinea: "Gli occhi del mondo sono ora fissi sull'agonia e sulla vergogna dell'America. La nostra nazione ha bisogno di avviare un processo di controllo e verifica che sia - e così sia percepito - credibile, indipendente e senza la paura di porre interrogativi duri". Dopo l'11 settembre 2001, "Forward" non aveva esitato a sollevare angosciosi interrogativi su uno strano episodio - passato in pratica sotto silenzio - accaduto lo stesso giorno dall'altra parte del fiume Hudson, a un tiro di schioppo dalle "Torri Gemelle": alcuni uomini di presunta nazionalità israeliana erano stati fermati a bordo di un pulmino attrezzato di insoliti congegni mentre, a quanto pare, festeggiavano con una bottiglia di champagne; interrogati dalla polizia locale e rimasti per qualche tempo in custodia, erano stati trasferiti a Washington e se ne erano poi perse le tracce, né si era mai saputo cosa stessero davvero facendo quel giorno in quel luogo. Se oltre a confessare "macchie" personali, qualcuno oggi in America chiarisse quella curiosa vicenda - proprio come "Forward" ora chiede che si risponda agli interrogativi sollevati dall'incomprensibile gestione del prima e dopo Katrina - i mefitici e asfissianti umori che in questa antivigilia di anniversario si levano dalla nuova palude di New Orleans, e in qualche misura ancora da "ground zero", potrebbero forse cominciare a diradarsi. Proprio con quel vento che, secondo Friedman, ora sembra davvero soffiare contro tutti coloro che, facendolo a pezzi, sono bravi soprattutto a far soffrire il mondo. A cominciare da casa loro.
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