LA STAMPA di venerdì 16 settembre 2005 pubblica a pagina 9 un articolo di Paolo Mastrolilli intitolato "L'Iran, il nostro nucleare all'islam".
Le poche righe dell'articolo dedicate al discorso di Sharon all'Onu sono le uniche che il quotidiano torinese dedica al tema: una scelta difficilmente comprensibile.
Altrettanto stringato Roberto Rezzo sull'UNITA', nell'articolo "Sharon all'Onu: uno Stato ai palestinesi", che si segnala anche per l'attribuzione agli Stati Uniti di un "ossessione" per il nucleare iraniano. Non è che a Teheran viga un regime terrorista che odia l'Occidente e vuole distruggere Israele, è solo che gli americani sono paranoici.
Ne pubblichaimo di seguito il testo:DELL’ONU il primo ministro israeliano Sharon, rafforzato dall’aver portato a termine il ritiro da Gaza, ha detto che i palestinesi hanno diritto a un loro stato e che Israele si rivolge a loro per una riconciliazione. Sharon ha
quindi esortato i palestinesi a «eliminare il terrore» e la «cultura dell'odio» nelle relazioni con lo stato ebraico, dimostrando così di volere davvero la pace.
In mattinata al vertice al Palazzo di Vetro l’Iran aveva denunciato l'arroganza della politica estera americana e promesso tecnologia nucleare a tutti i paesi arabi. Dalla tribuna il neoeletto presidente iraniano Mohmoud Ahmedinejad ha pronunciato parole durissime contro gli Stati Uniti, facendo alzare e uscire dalla sala stizziti i loro diplomatici. Ma è stato durante l'incontro al vertice con il primo ministro turco Erdogan che ha lanciato una vera sfida a Washington: «L'Iran non ha mai cercato armi di distruzione di massa e - nel rispetto delle necessità dei paesi islamici - siamo pronti a trasferire loro tecnologia nucleare. Useremo questa tecnologia per fini pacifici e nel rispetto delle leggi internazionali». Gli Usa e - con minore ossessione - la Ue temono che l'Iran stia lavorando anche a tecnologia nucleare per uso militare. L'Agenzia atomica internazionale fa sapere che a questo punto non ci sono prove che sostengano le accuse. E la diplomazia Usa si scopre sotto scacco. Dopo la guerra in Iraq e l'ostruzionismo sul documento di riforma dell'Onu, la loro popolarità al Palazzo di Vetro è così bassa da fargli mancare i voti necessari per chiedere al Consiglio di Sicurezza sanzioni punitive contro l'Iran. Lo ha ammesso il segretario di Stato Condoleezza Rice, ufficialmente arrivata all'Onu per rasserenare il clima avvelenato dal suo ambasciatore John Bolton, fattasi notare soprattutto per lo scambio di bigliettini con il presidente Bush per andare al gabinetto. «Nel consiglio direttivo dell'Aiea potrebbero mancare i 35 voti necessari per deferire l'Iran al Consiglio di Sicurezza. Questo non vuol dire che smetteremo di lavorare per un'inchiesta sul programma nucleare di Teheran e per l'applicazione di eventuali sanzioni». Intanto il ministro degli Esteri tedesco Fischer ha annunciato che Gran Bretagna, Francia e Germania, i tre Paesi europei che negoziano con Teheran per indurla a rinunciare a programmi nucleari che possano avere anche ricadute in campo militari, hanno in programma un incontro con l'Iran a margine dei lavori del Vertice dell'Onu.
Il summit dei veti incrociati è proseguito in sporadici tentativi di riportare l'attenzione su questioni cruciali come la lotta alla povertà, alla fame, alle epidemie. Il premier olandese Balkenende ha insistito che i paesi ricchi aiutino il cosiddetto Terzo Mondo almeno con lo 0,7% del Prodotto interno lordo. Gli Usa si oppongono a stabilire una quota prefissata e come sempre verseranno molto meno. Solo Bob Gedolf, la pop star famosa per i suoi concerti di beneficenza, s'è entusiasmata di fronte alle vaghe promesse di Bush per abbattere le tariffe doganali per le nazioni in via di sviluppo. Le cifre diffuse dall'Onu parlano d'altro: mancano dai 50 ai 60 miliardi di dollari all'anno per raggiungere l'obiettivo stabilito di dimezzare il tasso di povertà entro il 2005. E la superpotenza mondiale non vuol saperne di metter mano al portafoglio. Il presidente brasiliano Lula ha dato voce all'America Latina definendo la riforma delle Nazioni Unite non rinviabile, mentre il presidente venezuelano Hugo Chavez ha offerto di acquistare parte del debito pubblico argentino per sottrarre Buenos Aires alla stretta del Fmi.
Ai margini dell'assemblea Sharon si è avvicinato al leader pakistano Musharraf e gli ha stretto la mano. «Mi ha chiesto come stavo, gli ho chiesto come stava. È stata una buona cosa», commenta Musharraf. C'è poco da star contenti a questo vertice; e ci si accontenta di poco.
Sul discorso di Sharon, come si può constatare, Rezzo è estremamente sintetico, non cita le sue frasi per esteso, ma mette tra virgolette le espressioni "eliminare il terrore" e "cultura dell'odio", forse più per prenderne le distanze che per amore di precisione. Il titolo dell'articolo, a tutta pagina è incentrato su un argomento che Rezzi sfiora appena (appunto il discorso di Sharon), sia pure in apertura del suo articolo. C'è anche un richiamo in prima, "Sharon: i palestinesi hanno diritto a uno stato", che farebbe pensare a un articolo che dedichi più spazio all'importante discorso del premier israeliano. Si ha quasi l'impressione che la direzione del quotidiano e il cronista non condividessero la stessa opinione sull'importanza da dare al tema.
Pochissimo spazio alle parole di Sharon anche su EUROPA. A pagina 2 del quotidiano della Margherita troviamo un articolo di Valentina Longo, con un titolo piuttosto sorprendente: "L'Iran è l'attrazione del Palazzo. E arabi e islamici aprono a Sharon".
L'Iran, al centro delle preoccupazioni della comunità internazionale per il suo pericoloso progetto nucleare, che dichiara anche di voler esportare a tutto il mondo islamico, diventa "l'attrazione del Palazzo". Mentre, scomparsi i passi di Israele in direzione della pace e lo storico discorso di Sharon, restano solo le aperture, gratuite si suppone, di arabi e islamici.
Nell'articolo Sharon viene descritto come impegnato a "rimarcare", "rivendicare", "insistere", "affermare", a condurre un "offensiva diplomatica". La mano tesa dal premier israeliano ai palestinesi può essere del tutto ignorata dai lettori di EUROPA che non si prendanoil disturbo di attingere ad altre fonti di informazione.
Ecco il testo:Sarà domani il giorno della verità per
il presidente dell’Iran, Mahmoud
Ahmadinejad, quando interverrà al Palazzo
di vetro per presentare le sue
nuove proposte sui mezzi per risolvere
la crisi sul nucleare fra il suo paese
e la comunità internazionale. Ma la
questione del nucleare iraniano è già
stata al centro della giornata di ieri a
New York, la seconda della sessantesima
Assemblea generale delle Nazioni
Unite, in cui non solo lo "stato-canaglia"
Iran ha svolto un ruolo di primo piano,
ma anche quello di Israele.
Il premier Ariel Sharon è intervenuto
infatti alla fine della mattinata proprio
il giorno dopo aver avuto un incontro
con il presidente George Bush,
nel corso del quale aveva rimarcato il
suo rinnovato peso politico, frutto dell’iniziativa
avviata con lo sgombro dei
coloni israeliani. Nei colloqui con il presidente
americano, Sharon aveva già rivendicato
i risultati ottenuti con il ritiro
da Gaza, definendo questo un «test»
proficuo in vista della rinascita di una
road map. Ma nel suo intervento all’Assemblea
è tornato a insistere sul
ruolo che ora l’Onu deve svolgere sui
palestinesi. Quello che è accaduto con
il ritiro, ha affermato, deve essere un
esempio anche per i palestinesi spiegato
il premier, che alle Nazioni Unite
chiede che ora si facciano pressioni per
il disarmo e per ricostruire il processo
di pace in Medio Oriente.
Ma ancor più che lo "scontato" incontro
con Bush, interessa gli osservatori
l’offensiva diplomatica israeliana
verso il mondo islamico e arabo. Due
giorni fa Sharon ha incontrato il pachistano
Pervez Musharaf, ieri il ministro
degli esteri Silvan Shalom il suo
omologo del Qatar, sheikh Hamad bin
Jassim bin Jabor Al Thani.
Sul fronte Iran-nucleare, invece,
sono state le dichiarazioni dello stesso
Ahmadinejad in merito allo sviluppo
della tecnologia nucleare a far discutere.
Il presidente ha infatti sfidato ancora
una volta l’assemblea sostenendo che ora
devono fare il primo passo, ha il suo paese intende condividere la propria
tecnologia con altri paesi islamici,
come ha riferito l’agenzia ufficiale Irna.
«La repubblica islamica non cerca
in alcun modo di dotarsi di armi di distruzione
di massa, ma siamo pronti
a condividere la tecnologia nucleare con
i paesi musulmani che lo vogliono», ha
dichiarato a margine degli incontri.
«Gli scienziati iraniani – ha affermato
– hanno piena padronanza sul ciclo del
combustibile e abbiamo deciso di utilizzare
questa tecnologia nel quadro del
Trattato di non-proliferazione (Tnp),
delle leggi internazionali e in cooperazione
con l’Agenzia internazionale dell’energia
atomica (Aiea)», ha aggiunto.
Che l’Iran avesse ripreso recentemente
le sue attività di riconversione
dell’uranio era noto, per questo gli europei
avevano chiesto di interrompere
i negoziati sulla cooperazione economica,
politica e nucleare, accusando
Teheran di aver violato un accordo del
2004 – in cui si impegnava a sospendere
tutte le attività legate all’arricchimento
per la durata delle trattative.
L’accordo era stato sottoscritto
con i tre paesi europei
(Francia, Gran Bretagna
e Germania). Proprio l’altroieri,
gli stessi paesi – che
si sono riuniti tra ministri
degli esteri anche ieri sera –
hanno chiesto un secondo
incontro ad Ahmadinejad,
che si è tradotto nell’appello
del primo ministro francese
Dominique de Villepin affinché il
presidente «si conformi» ai suoi impegni
di non proliferazione nucleare e
prosegua il dialogo, minacciando il deferimento
del dossier nucleare iraniano
al Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Più funzionari europei, comunque,
si sono detti impegnati a mettere
insieme una maggioranza convincente
nell’assemblea Aiea di lunedì prossimo,
il 19. «Non vorremmo trovarci in
una situazione diplomatica in cui molti
paesi votano contro la nostra mozione
», ha detto un diplomatico citato
dall’agenzia
Afp.
Sulla stessa linea degli europei si
subito registrata la posizione degli Stati
Uniti. Il segretario di stato Condoleezza
Rice, in un’intervista rilasciata
telegiornale della Fox news, ha lasciato
intendere che l’amministrazione Bush
è pronta, come richiesto dall’Aiea,
a dare all’Iran un’ultima
possibilità di rinunciare
alla conversione dell’uranio
e a non chiedere l’immediato
deferimento del dossier
al Consiglio di sicurezza
dell’Onu. Se otteniamo
un deferimento il 19 settembre
sarebbe positivo,
detto la Rice. «Ma credo che
il problema del deferimento
sia qualcosa sul quale lavoreremo per
un po’». Che poi ha proseguito dicendosi
«non così preoccupata del quando
accadrà» perché non ritiene che la questione
sia «così urgente da dover per forza
essere risolta il 19 settembre».
L’obiettivo attuale , ha precisato
segretario di stato, è infatti quello di inviare
un messaggio politico all’Iran,
facendogli ben capire che non può
ignorare il suo impegno a non dotarsi
di armi nucleari e aspettarsi che tutti
siano d’accordo.
Apertamente polemico con il discorso di Sharon è IL MANIFESTO, che pubblica a pagina 5 l'articolo di Fausto Della Porta "Sharon all'Onu: la pace dipende dai Palestinesi", che riportiamo:Prima di trasformarsi in quella che il settimanale Economist ha definito «l'improbabile colomba», ha scelto d'esordire con tutta l'intransigenza di chi ha dato la caccia ai palestinesi per una vita intera: «Cari amici e colleghi, vengo da Gerusalemme, capitale del popolo ebraico da più di tremila anni e capitale indivisibile ed eterna dello stato d'Israele», ha detto riaffermando davanti ai leader del mondo intero le pretese di dominio sull'intera Città santa. Poi il primo ministro dello Stato ebraico, Ariel Sharon, è passato alla parte tanto attesa del suo discorso, quella che parla di «pace» e, nello stesso tempo, mira a incassare la ricompensa per l'evacuazione di 8.000 coloni da Gaza. Quale palco migliore di quello dell'Assemblea generale delle Nazioni unite per rilanciare - dopo il ritiro dalla Striscia - la palla nel campo palestinese e mettere sotto esame i nemici di sempre, i palestinesi che ora sì «hanno diritto a uno stato», ma solo dopo che avranno dimostrato di «volere la pace eliminando il terrorismo e la cultura dell'odio» nei confronti dello Stato ebraico? Sharon ieri pomeriggio ha pronunciato al palazzo di Vetro un discorso al quale Abu Mazen e compagni s'erano da tempo preparati e infatti la loro risposta è stata immediata. «I palestinesi saranno sempre i nostri vicini - ha dichiarato il primo ministro - dobbiamo rispettarli e non abbiamo nessun intento di dominazione, anche loro hanno il diritto alla libertà». «Dopo 57 anni di guerra e terrorismo, desideriamo la pace con i nostri vicini». Parole già pronunciate nei mesi scorsi in diverse interviste alla stampa israeliana, ma che all'interno del Palazzo di vetro di New York hanno assunto la solennità di cui Sharon aveva bisogno per mostrare al mondo la sua presunta metamorfosi da falco a colomba e, soprattutto, che Israele dopo Gaza ha fatto abbastanza e ora tocca ai palestinesi: in altre parole - come disse mesi fa Dov Weisglass, uno dei suoi principali consiglieri - il processo di pace ora «è congelato».
«Il problema può essere risolto soltanto cessando l'occupazione che è iniziata nel 1967. La via verso la pace e la stabilità passa attraverso la fine dell'occupazione», ha dichiarato il capo-negoziatore dell'Anp Saeb Erekat. Erekat ha invitato Israele a riprendere subito i negoziati seguendo la road map (il piano di pace elaborato da Usa, Onu, Ue e Russia) che il premier israeliano ha sempre rifiutato, mettendo al contrario in atto una serie di mosse unilaterali: costruzione del muro, aumento delle unità abitative nelle colonie della Cisgiordania e ritiro da Gaza solo per citarne alcune. Infine Sharon ha rivendicato il muro dell'Apartheid - quello dichiarato «illegale» dalla Corte internazionale di giustizia dell'Aja e benedetto ieri dalla Corte suprema israeliana: fino a quando i palestinesi non abbandoneranno il terrorismo, «Israele saprà come difendersi. Questo è il motivo per cui continueremo a costruire la barriera di sicurezza fino a quando sarà completa. Questa barriera è vitale e indispensabile. Questa barriera salva vite umane!». Gerusalemme, muro, colonie, confini, profughi: su questi nodi del negoziato cosa propone Sharon?
"Terrorismo", su questo nodo che ha dire Della Porta? Ovviamente nulla. E l'Anp? E' quello che Sharon ha chiesto all'Onu, parlando apertamente, nel contempo, Stato palestinese. Richieste legittime e concrete aperture.
In quanto ai negoziati, si potrebbe osservare che la Road Map li prevede dopo lo smantellamento delle organizzazioni terroristiche. E' solo quando l'Anp avrà ottemperato a questo obbligo che le domande poste da Della Porta diventeranno legittime.
Nel merito, senza ovviamente voler interpretare la posizione di Sharon, ci permettiamo alcune osservazioni.
Gerusalemme: abbiamo visto a Gaza cosa accade ai luoghi sacri ebraici che cadono sotto la "sovranità" palestinese, si può pensare che accada anche al Muro del Pianto?
"Muro": senza terrorismo, non ci sarebbe stata nessuna barriera difensiva
colonie: alcune "colonie" sono vere e proprie città che tutte le ipoetsi di accordo finale, compresa quella di Ginevra tanto cara ai "pacifisti" hanno sempre assegnato a Israele
Confini: i palestinesi a Camp David hanno rifiutato un accordo e hanno dato via a un ciclo di violenza; sarebbe ora impensabile che ottengano di più di quanto era stato loro proposto allora prima che abbiano bandito ogni indulgenza verso il terrore e siano tornati a discutere a un tavolo negoziale, senza una rivoltella nascosta dietro la schiena. Se ciò accadesse, infatti, costiturebbe un incoraggiamento al terrore.
Profughi: non vi è alcun motivo plausibile per cui i profughi palestinesi e i loro discendenti debbano, dopo la creazione di uno Stato palestinese, "tornare" in Israele e non in quello stesso stato. Nessun motivo, se non il disegno di distruggere Israele facendone uno Stato a maggioranza araba.
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