EUROPA di martedì 23 agosto 2005 pubblica a pagina 2 un articolo di Daniele Castellani Perelli.
Fin dal titolo, "Ora costruiremo in Cisgiordania. Evacuata Gaza, Sharon ricomincia" è evidente la volontà di minimizzare l'importanza del ritiro da Gaza e di confermare l'immagine di Sharon come alfiere di una politica espansionista e chiusa al dialogo.
In questa linea l'articolo tace dei contatti tra Sharon e Abu Mazen, della disponibilità espressa dal premier israeliano a negoziare un compromesso sulla Cisgiordania con i palestinesi. Ignora il fatto che Sharon vuole in realtà ampliare insediamenti già esistenti, vere e proprie cittaà che sarebbe irrelaistico pensare di smantellare e che tutte le ipotesi di accordo definitivo hanno sempre assegnato a israele nel quadro di uno scambio di territori.
Inoltre, nell'articolo leggiamo:Venerdì Condoleezza Rice, segretario di stato americano aveva dichiarato che Gaza va bene, ma non basta" e la stampa era stata unanime nell'interpretarlo come un avviso al prenmier israeliano. Ieri sharon è tornato su quella frase e ha fornito un'interpretazione ben diversa, tutta sua, secondo cui la Rice si sarebbe riferita ai passi che ora toccano ai palestinesi, come quello dello smantellamento delle organizzazioni terroristiche.
Il richiamo alle responsabilità dei palestinesi e alla necessità di smantellare i gruppi terroristici era esplicito nel discorso della Rice, e il fatto che la stampa italiana lo abbia per lo più ignorato non vale ad eliminarlo.
Inoltre, la road map indica come condizione preliminare per il dialogo proprio lo smantellamento delle infrastrutture terroristiche. E Israele, è ovvio, non è tenuta a nessun ulteriore passo unilaterale.
Il ritiro è stato un passo coraggioso che richiede da parte palestinese una risposta adeguata.AVVENIRE pubblica a pagina 14 un articolo di Luigi Geninazzi, "Lo sgombero di Gaza è finito. Sharon rilancia in Cisgiordania" nel quale si legeg che le città israeliane di Ariel, Ma'ale Adunim e Gush Etzion sarebbero "città fortificate" che "si incuneano in profondità nell'eventuale staterello palestinese tagliandolo in tre tronconi".
E' falso: in realtà l'annessione a Israele di questi centri abitati non pregiudicherebbe la continuità territoriale della Cisgiordania.
IL MANIFESTO pubblica a pagina 9 l'articolo di Michele Giorgio "Gaza, terminato il ritiro" che saluta la fine della "colonizzazione ebraica della Striscia di Gaza" (trascurato il fatto che gli ebrei sono sempre vissuti a Gaza).
L'esistenza dell'insediamento di Netzarim è definita, da sola responsabile della morte di 114 palestinesi.
Che invece sarebbero tutti vivi, non fosse stato per la guerra scatenata dalle organizzazioni terroristiche palestinesi.
La stessa guerra che rende necessario il controllo del valico di Rafah, utilizzato per il contrabbando di armi. Giorgio però trascura questo punto quando avverte che "Gaza potrà dirsi effettivamente liberà solo se Israele rinuncerà al controllo della frontiera di Rafah con l'Egitto"
Ecco il testo:Ventidue agosto 2005. Il giorno in cui è stato evacuato l'insediamento di Netzarim, passerà alla storia come quello in cui ha avuto fine la colonizzazione ebraica della striscia di Gaza. Un milione e 300 mila persone tirano un lungo sospiro di sollievo. È la fine di un incubo durato oltre 30 anni, che ha significato morti e feriti palestinesi ma anche di non pochi soldati israeliani inviati a Gaza a difendere le colonie, espressione più compiuta dell'occupazione e di un anti-storico fervore biblico. Adesso che le colonie a Gaza non ci sono più, la società israeliana probabilmente si domanderà a cosa è servita quell'impresa se non ad affollare i cimiteri (soprattutto quelli palestinesi). Soltanto Netzarim ha causato negli ultimi cinque anni la morte di 114 palestinesi nella zona di Sheikh Ajlin (Gaza city), in gran parte civili; 190 ettari di terra sono stati spianati dai bulldozer israeliani; 105 case sono state demolite (il portavoce militare ieri non è stato in grado di fornire in tempo il numero esatto di soldati e coloni morti nella zona di Netzarim).
Avviata dai laburisti dopo l'occupazione nel 1967 e sviluppata in ogni modo e ad ogni costo dai successivi governi del Likud (e da Ariel Sharon in particolare), ora il film sulla colonizzazione ebraica di Gaza è giunto alla fine. Tra qualche giorno le ruspe abbatteranno le abitazioni dei coloni e la sovranità tornerà ai palestinesi. La fine degli insediamenti non mette tuttavia fine all'occupazione. Gaza potrà dirsi effettivamente libera solo se Israele rinuncerà al controllo della frontiera di Rafah con l'Egitto.
Soltanto se i palestinesi potranno entrare e uscire da Gaza liberamente, senza restrizioni delle forze di occupazione israeliane, si potrà parlare di territorio indipendente.
Non è finita intanto la mini-evacuazione delle colonie prevista dal piano di «disimpegno unilaterale dai palestinesi». Gli ufficiali impegnati nei giorni scorsi nella Striscia di Gaza sono passati in Cisgiordania per completare i preparativi dell'ultima fase dello sgombero: ossia lo svuotamento di quattro piccole colonie ebraiche comprese fra Jenin e Tulkarem: Ganim, Kadim, Homesh e Sa-Nur. Di fatto, le prime due sono vuote. A Homesh e a Sa-Nur, invece, si sono barricati centinaia (forse 2mila) giovani ultranazionalisti, alcuni dei quali armati, che promettono di ingaggiare battaglia con le forze di sicurezza. Altri potrebbero ricorrere, riferivano ieri i giornali israeliani, al lancio di olio rovente sui soldati o di patate al cui interno sono state nascoste lamette da barba.
A quanto pare a Sa-Nur, gli estremisti si barricheranno nella fortezza ottomana, trasformata in caserma durante il Mandato britannico in Palestina. A Homesh invece potrebbero scegliere la sinagoga come terreno di scontro. «Abbiamo fatto appello ai rabbini di quelle colonie affinché cerchino di mantenere il controllo sui dimostranti», ha detto il generale Yair Naveh, comandante della forze israeliane in Cisgiordania. «Possiamo accettare proteste passive, senza violenza. Non siamo invece disposti a tollerare che militari o agenti vengano aggrediti».
Nei villaggi palestinesi circostanti, messi sotto coprifuoco dalle forza di occupazione, intanto si vivono ore di tensione. Diversi estremisti di Sa-Nur nelle settimane passate avevano minacciato di «portare» nelle vicine case palestinesi la battaglia contro lo sgombero della loro colonia. L'idea è quella solita: violenze contro i palestinesi scatenerebbero scontri sanguinosi, così gravi da costringere l'esercito a bloccare l'evacuazione di Homesh e Sa-Nur.
Intanto in Israele il clima politico si è fatto arroventato nonostante Sharon stia recuperando consensi in seno al suo partito, il Likud, come ha rivelato un sondaggio di opinione curato dalla rete televisiva Canale 10. Due settimane fa gli iscritti del Likud preferivano di gran lunga Benyamin Netanyahu, il ministro delle finanze dimissionario, perché ostile al ritiro da Gaza. Ieri sera Sharon sembrava aver invertito a sorpresa la tendenza passando in vantaggio su Netanyahu: 36 per cento dei favori sono andati al premier e il 28 per cento al suo rivale schierato contro il piano di disimpegno.
Sharon ieri mattina era giunto in parlamento per riferire alla Commissione per gli affari esteri e difesa, quando è stato apostrofato in modo molto pesante da due deputati. Da Uzi Landau (Likud) è stato accusato di essere «un corrotto, crudele, senza cuore. I suoi giorni da premier sono contati». Un altro deputato Efraim Eitam (Mafdal), ha anticipato a Sharon che i nazionalisti religiosi si vendicheranno nei suoi confronti. «Siamo decisi a vederlo uscire dalla scena politica, a mandarlo ad accarezzare le capre nel suo ranch nel Negev».
In serata, intanto, il premier ha detto di aver parlato al telefono con il presidente dell'Anp Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e ha annunciato un prossimo incontro con lui.
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