Intervista ad Abu Mazen sul ritiro da Gaza
ma Antonio Ferrari non fa domande scomode
Testata: Corriere della Sera
Data: 20/08/2005
Pagina: 7
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: Ora Gaza non diventi una prigione
Il CORRIERE DELLA SERA di sabato 20 agosto 2005 pubblica a pagina 7 un'intervista di Antonio Ferrari ad Abu Mazen, presidente dell'Autorità nazionale palestinese, sul ritiro da Gaza.

La pubblichiamo sottolineando la mancanza di serie garanzie sulla lotta al terrorismo da parte del leader palestinese. Anche l'intervisatore omette di ricordare che il disarmo dei gruppi terroristici è previsto dalla stessa road map come precondizione all'avvio del negoziato politico.

Il titolo,"Ora Gaza non diventi una prigione" tra le molte cose dette da Abu Mazen, enfatizza quella forse più utile a far ritenere ancora insufficiente il passo compiuto da Israele.

Ecco il testo:

DAL NOSTRO INVIATO GAZA — «Abbiamo sofferto abbastanza. E' tempo di proteggere quel che abbiamo. Di costruire il nostro futuro, non di distruggere». Sprizza gioia il presidente palestinese Mahmoud Abbas, forzando il suo carattere schivo e riservato. Ieri ha scelto l'aeroporto, semidistrutto dagli israeliani, per lanciare il suo appello ai palestinesi, mentre il ritiro prosegue in fretta.
«Ricostruiremo questo scalo, che ci collegherà con il mondo, e lo faremo ancora più bello di quel che era». Un messaggio di speranza, coniugato però con un pensiero per soddisfare tutti, anche gli intransigenti e gli estremisti: «Dedichiamo questo momento di gioia ai nostri morti, ai martiri, ai feriti, ai prigionieri». Abbas, da politico consumato, non vuole rompere l'incantesimo di una paziente tessitura. E' felice, infatti, non soltanto perché il ritiro israeliano si realizza senza risvolti drammatici, ma perché tutti i gruppi palestinesi, anche quelli più ostili all'Anp, hanno rispettato la tregua. Per il leader palestinese è quasi una vittoria, che potrebbe trasformarsi in una crescita di consensi popolari nelle elezioni parlamentari di gennaio.
Fino a pochi giorni fa, gli unici in forte crescita erano gli integralisti di Hamas.
Quello della collaborazione e della concordia è il leit motiv dell'intervista al Corriere.
Signor Presidente, il ritiro sta procedendo sotto i suoi occhi. Che cosa farà quando l'esercito israeliano e tutti i coloni saranno fuori dalla Striscia?
«Il ritiro da Gaza e da alcuni insediamenti nel Nord della Cisgiordania è un evento storico, che speriamo sarà seguito da altri ritiri israeliani dalla nostra terra. Vogliamo la fine dell'occupazione e la creazione di uno Stato palestinese indipendente lungo i confini del '67, con capitale Gerusalemme Est. E' il nostro obiettivo e tale resterà dopo il ritiro».
Siete pronti a prendere il controllo della Striscia?
«I piani che abbiamo preparato sono pronti e verranno messi in pratica. Ora, molto dipenderà da quel che farà Israele. In altre parole, il successo dipende da come si completerà il ritiro, se Gaza avrà liberi passaggi con la Cisgiordania, con Israele e con il resto del mondo, se porto e aeroporto potranno essere utilizzati e funzionare. Chi pensa che un'isolata Gaza serva alla pace e alla stabilità nella regione commette un grave errore».
In concreto: che cosa farete per garantire ordine e stabilità?
«Garantire il rispetto della legge, l'ordine e assicurare la sicurezza erano in testa al mio programma, quando fui eletto presidente. Ho promesso al mio popolo pace e stabilità. Farò del mio meglio per mantenere la promessa. Sono soddisfatto dell'alto livello di collaborazione fra l'Anp e le altre fazioni politiche palestinesi. Sono giorni che cerchiamo di lavorare insieme per costruire il nostro Paese. Ma ripeto: la stabilità comporta che Gaza non diventi una prigione, e che i palestinesi abbiano libero accesso al mondo esterno. Bisogna uscire da questa situazione. Dobbiamo farcela, e fare del nostro meglio perché il ritiro israeliano abbia successo, per porre fine all'occupazione».
Ritiene davvero che, dopo il ritiro di Israele, Hamas, Jihad e gli altri gruppi collaboreranno con l'Anp?
«C'è un comitato, allargato a tutti, che condivide le idee e le visioni su come affrontare i problemi che si affacceranno dopo il ritiro. Tutto ciò potrà dispiacere coloro che si illudevano di assistere a lotte intestine fra i palestinesi. Sono felice di averli dispiaciuti».
Esiste già un accordo per garantire passaggi fra Gaza e la Cisgiordania? Gli americani, con voi, si erano impegnati.
«Negli ultimi incontri con la controparte, ci siamo accordati per avere un passaggio fra Gaza e la Cisgiordania, con scorta israeliana. In linea di principio siamo d'accordo, ma a livello tecnico persistono alcune differenze. Siamo in costante contatto con l'amministrazione Usa e sappiamo che il presidente Bush e i suoi collaboratori desiderano che il ritiro da Gaza abbia successo, esattamente come lo vogliamo noi. Speriamo che quanto sta avvenendo permetta di riprendere i negoziati sullo status finale».
Presidente, qual è il suo piano per poter realizzare la Road Map, sponsorizzata da Usa, Ue, Onu e Russia?
«Ho sempre detto che i negoziati sono l'unico mezzo per risolvere questo conflitto. Crediamo che Usa, Ue e il resto del mondo abbiano un autentico interesse a incoraggiare questo processo. Un momento terribilmente importante si presenta dopo il ritiro israeliano, e io penso che sia dovere di tutti i sostenitori della pace utilizzarlo per arrivare ai negoziati sullo status finale, e avere due Stati lungo i confini del '67. Nel rispetto della risoluzioni dell'Onu, di quelle del vertice arabo del 2002 a Beirut, e della visione del presidente Bush sui due Stati, Israele e Palestina, che vivano l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza».
E' d'accordo su uno scambio di territori in Cisgiordania?
«La nostra posizione è ferma e chiara. Non siamo pronti ad accettare azioni sul territorio che pregiudichino i negoziati e l'accordo sullo status finale. Tutti i punti accantonati a Oslo devono essere discussi attorno al tavolo delle trattative. Noi ci opponiamo fermamente alla politica degli insediamenti e alla costruzione del Muro in Cisgiordania. Questo muro non separa i palestinesi dagli israeliani, ma i palestinesi dalla loro terra. Sullo scambio di territori, ricordo che l'idea circolava durante i colloqui di Camp David (2000) e i negoziati di Taba (2001). Siamo pronti a negoziare ma il principio è che Israele deve ritirarsi da tutti i territori occupati nel 1967».
Francamente, pensa che dopo il ritiro da Gaza, gli attacchi degli estremisti palestinesi riprenderanno?
«Non tollereremo tentativi, da parte di qualsiasi fazione, che mettano in pericolo i supremi interessi nazionali del popolo palestinese. E' tempo per tutti di ricostruire Gaza dopo 38 anni di occupazione israeliana. Tutti gli sforzi devono essere concentrati nel costruire, non nel distruggere. La nostra gente ha sofferto abbastanza».
Ora, in questo momento, ha fiducia nell'impegno del primo ministro Sharon?
«Ovviamente, il premier Sharon ha numerosi problemi interni. Ma chi non ne ha? La domanda è sull'impegno, non sulla fiducia. L'impegno viene prima, la fiducia segue. Speriamo che Israele non dica soltanto che è impegnato a realizzare la Road Map, ma agisca concretamente per realizzarla».
Il mondo è in guerra contro il terrorismo internazionale. Che cosa fate per aiutarlo?
«Il nostro contributo alla campagna internazionale contro il terrorismo è compreso nell'impegno a risolvere questo conflitto. Una volta che i due Stati diventeranno realtà, motivi e pretesti da poter utilizzare per giustificare il terrore evaporeranno. Scompariranno».
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