Gli arabi moderati non hanno dubbi: con Sharon si può fare la pace
le dichiarazioni di Mubarak, Abdallah di Giordania, Mohammed VI del Marocco e del palestinese Hanna Siniora
Testata: Corriere della Sera
Data: 19/08/2005
Pagina: 2
Autore: Antonio Ferrari - Davide Frattini
Titolo: Mubarak: solo Sharon può fare la pace - Sul premier Fassino è nel giusto ma chiediamogli passi ulteriori
Il CORRIERE DELLA SERA di venerdì 19 agosto 2005 pubblica a pagina 2 un articolo di Antonio Ferrari, che riportiamo:
Pare di assistere a una rappresentazione teatrale dell'assurdo. Il «macellaio», «killer», «nemico giurato degli arabi» diventa «uomo coraggioso», «leader con una visione strategica», «il solo che può portare alla pace».
Stamattina, quando il premier israeliano Ariel Sharon avrà sotto gli occhi la prima pagina dello Yedioth Ahronoth, potrà compiacersi e dimenticare le minacce dei coloni ebrei estremisti. Perché il caloroso riconoscimento, reiterato più volte, gli arriva dal capo del più grande e importante Paese arabo: l'egiziano Hosni Mubarak, che proprio ieri ha aperto la sua campagna per ottenere il quinto mandato presidenziale nelle prime elezioni «quasi democratiche» (il quasi va sottolineato) del suo Paese, che si svolgeranno il prossimo 7 settembre.
In un'intervista esclusiva a Smadar Perry, una delle più prestigiose firme dello Yedioth, Mubarak non ha risparmiato elogi a Sharon per aver mantenuto la parola, e cioè il ritiro da Gaza, l'evacuazione di tutti i coloni ebrei che vi si trovano; e per aver consegnato ai palestinesi il primo pezzo del futuro Stato. Mubarak, fino all'anno scorso, ripeteva che Sharon aveva la possibilità — se lo avesse voluto — di rilanciare seriamente il processo di pace.
All'inizio del 2005, a Sharm el Sheikh, aveva stretto buoni rapporti con il premier, durante il vertice con re Abdallah di Giordania e con il presidente palestinese Mahmoud Abbas. Il «linguaggio del corpo» di Sharon e Mubarak, durante le pause del summit, pareva dimostrare una certa confidenza, forse accentuata dalla complicità anagrafica: hanno entrambi 77 anni.
Però mai, come scrive la giornalista, il raìs che ha conosciuto sette primi ministri israeliani, si era spinto tanto avanti. Dicendo: «Solo Sharon può fare la pace.... Ogni volta che c'è bisogno, ci telefoniamo... Gli dico di non far sentire prigionieri i palestinesi di Gaza... Quando verrà il momento, accetterò l'invito di andare a Gerusalemme».
Gli scettici sostengono che Mubarak si è espresso così calorosamente per compiacere gli Stati Uniti e assicurarli che l'Egitto farà tutto il possibile per facilitare il passaggio dei poteri a Gaza, cercando di frenare gli estremisti.
Tuttavia, la spiegazione non basta. Mubarak è un calcolatore e, alla vigilia delle elezioni, ha capito che avrebbe rischiato poco facendo sapere alla sua gente che qualcosa sta cambiando, e che Sharon non è più il nemico. Non va infatti sottovalutato l'impatto che le tv satellitari, presenti a Gaza, hanno sulle masse arabe.
Per una volta, rigore e coercizione non sono riservati ai palestinesi, ma ai coloni ebrei. Il coraggio e la coerenza di Sharon (coraggio e onore sono i valori più rispettati nell'Islam) hanno prodotto un risultato fino a poco tempo fa inimmaginabile.
Più problematico, ma altrettanto incoraggiante, l'atteggiamento del re Abdallah di Giordania, che l'anno scorso incontrò segretamente il premier israeliano nel suo ranch nel Negev. Il sovrano, che si trova in una posizione delicata perché oltre il 60 per cento dei suoi sudditi sono di origine palestinese, ha sempre detto che «il ritiro da Gaza deve essere un passo per rilanciare la Road Map». Sicuramente l'operazione-ritiro lo avrà soddisfatto. Con meno prudenze diplomatiche si è mosso un altro re, Mohammed VI del Marocco, che tre giorni fa ha inviato a Sharon le proprie congratulazioni.
Aria di novità, in questo inquieto angolo di mondo. Il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom, in un'intervista al kuwaitiano Al-Rai Al-Amm, rivela che uomini d'affari dell' emirato e dell'Iraq «vengono in Israele per cure sanitarie». All'inizio di agosto si è saputo che il medico del defunto re Fahd dell'Arabia Saudita era il professore israeliano Moshe Mani. Chissà che, a poco a poco, si creino le condizioni per modificare anche l'atteggiamento della Lega araba. Ma senza correre troppo, si può dire che Sharon oggi è quasi una star. In molti Paesi musulmani è più popolare che in Europa, nonostante la Ue sia uno degli sponsor della Road Map.
Sempre da pagina 2,riprendiamo un intervista di Davide Frattini al leader palestinese moderato Hanna Siniora, che afferma "Sul premier Fassino è nel giusto ma chiediamogli passi ulteriori".

Ecco il testo:

«Fassino ha ragione. Questo non è l'Ariel Sharon che conoscevamo. La sinistra italiana però stia attenta, non si precipiti a dare un sostegno incondizionato al premier israeliano. Il ritiro da Gaza è molto importante, un passo fondamentale, dev'essere un precedente. Aspettiamo le prossime mosse». Hanna Siniora non può rinunciare allo scetticismo dei suoi 67 anni, alle disillusioni di intellettuale e politico palestinese moderato che ha visto fallire gli accordi di Oslo.
Con il leader dei Ds Siniora si è incontrato anche a Gerusalemme nel 2002, quando aveva promosso un manifesto contro gli attacchi dei kamikaze in Israele.
Direttore del giornale online Jerusalem Times, ha voluto passare qualche giorno nella Striscia per capire come gli abitanti stessero vivendo il ritiro. «Mi sono sembrati ottimisti. Moderatamente. Adesso l'Autorità deve garantire a tutti loro una vita migliore, sicurezza e posti di lavoro. E' un test per Mahmoud Abbas: se saprà amministrare bene, la sua credibilità crescerà».
Nell'intervista a Francesco Verderami pubblicata dal Corriere, Fassino riconosce «l'atto di coraggio di Sharon» e lui stesso avverte di «attendere ora il ritiro dalla Cisgiordania».
«L'evacuazione delle colonie significa che l'idea della Grande Israele è finita per sempre. In questo contesto il giudizio di Piero è giusto. Bisogna aspettare i prossimi passi del primo ministro per dare un giudizio completo. Non dimentichiamo quello che Sharon sta dicendo del futuro di Gerusalemme e degli insediamenti in Cisgiordania.
L'evacuazione di Gaza deve rivitalizzare il processo di pace indicato dalla road map, altrimenti ci ritroveremo a un punto morto. Sharon ha preso la decisione del ritiro unilaterale per paura dell'esplosione demografica palestinese, per evitare uno Stato bi-nazionale con una maggioranza araba».
Fassino sostiene che il presidente Mahmoud Abbas vada spronato a far crescere una nuova classe dirigente.
«E' quello che io e altri politici stiamo provando a fare. A Gerusalemme guido il Social and Economic Development Group e stiamo mettendo insieme sette candidati da presentare in una lista alle prossime elezioni nazionali del 21 gennaio. Devono rappresentare le nuove generazioni, età tra i trentacinque e i cinquant'anni. Spero che tra di loro ci sia un futuro presidente».
Hamas ha annunciato di voler partecipare al voto.
«E' il modo migliore per addomesticarli. Inserirli nell'amministrazione, trasformarli da gruppo militare a partito politico».
Ma i leader del movimento fondamentalista ripetono di non essere pronti a deporre le armi e che gli attacchi contro Israele riprenderanno.
«Le fazioni devono essere coinvolte nelle scelte politiche. A quel punto rinunceranno alle armi».
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