Il CORRIERE DELLA SERA di sabato 13 agosto 2005 pubblica, riprendendola dal giornale israeliano Yediot Ahronot, un'intervista di Nahum Barnea e Shimon Shifer ad Ariel Sharon.
Ecco il testo:
Sharon non chiederà scusa ai coloni. Oggi e domani, nella sua fattoria di Shikmim, lavorerà al discorso alla nazione che sarà trasmesso in radio e televisione lunedì sera. Condividerà il dolore di quanti dovranno lasciare la propria casa. Renderà onore a ciò che hanno realizzato. Augurerà loro fortuna ma non domanderà perdono. Non è stata una settimana facile per il primo ministro e la prossima sarà anche peggiore. A partire da mercoledì, Sharon guiderà lo sgombero dal suo ufficio. È amareggiato, preoccupato, risoluto. «Non ho rimpianti. Avrei agito nello stesso modo, anche sapendo quali dimensioni avrebbe assunto la protesta».
Ammette che la maggior parte dei membri del Likud gli è avversa. Preferiscono Netanyahu. «Oggi il comitato centrale del Likud non è nelle mani del Likud - dice -. Sono circoli estremisti a controllare il partito. Ex ministri, membri della Knesset, il Consiglio dei Coloni e gruppi radicali interni continuano a incendiare gli animi».
Per lei il Likud è perso?
«Questo è da vedere. Il Likud è un partito esteso, importante, con una lunga storia, che sta affrontando un momento di crisi. Non si abbandona la propria casa. Quando qualcuno cerca di portartela via, affronti gli invasori. Io sono parte del Likud».
Neanche gli abitanti di Gush Katif desiderano abbandonare le loro case, che sono fatte di cemento e non di vincoli di partito. Il messaggio è inequivocabile: Sharon guarda all’interno, non all’esterno, del Likud. Lo interessano poco i sondaggi che danno a un governo di anziani formato da lui, Peres e Lapid 38 seggi parlamentari su 120.
Pensa di avere possibilità di riconquistare il partito?
«Credo di sì», risponde, esitante.
Secondo Netanyahu il disimpegno unilaterale ha precluso qualsiasi possibile accordo ad interim. Perché i palestinesi dovrebbero cercarne uno, quando ottengono tutto gratuitamente?
«Sto lavorando esattamente a un accordo ad interim. Mi ci sono voluti anni per convincere gli americani ad accettare il mio approccio. Ho raggiunto con loro un accordo apprezzato all’epoca dallo stesso Netanyahu. Preferisco un accordo con gli americani che uno con gli arabi».
Netanyahu sostiene che nell’ottobre 1998, durante i negoziati di Wye Plantation, nei cinque minuti in cui lui si allontanò dalla stanza lei accettò che i palestinesi avessero un aeroporto a Gaza.
«Non vigilo sulle visite alla toilette di Netanyahu. Mi riesce difficile credere che sia rimasto in bagno sette anni, da Wye Plantation alle dimissioni che ha consegnato questa settimana. L’aeroporto di Gaza è stato oggetto di discussione per anni. Ora Netanyahu sostiene di non aver concesso nulla ai palestinesi con gli accordi di Wye. Avrebbero ottenuto il 13% dei territori senza dare nulla in cambio.
«Ricordo l’incontro tra Netanyahu e Arafat a Erez, la calorosa, amichevole stretta di mano fra i due. Io non ho mai stretto la mano ad Arafat».
Pensa di poter lavorare insieme a Netanyahu in futuro?
«Ha detto di essere interessato a due cariche. La prima è quella di ministro delle Finanze. Qual è l’altra, ministro degli Affari religiosi?»
Il popolo arancione dei coloni distingue tra lo Stato e Ariel Sharon. Accetta il primo, che non li ha traditi. È stato invece Sharon, è stata la sua famiglia a vendere il popolo nel cuore della notte.
«Tutte menzogne. Le critiche non costituiscono un problema per me ma queste sono infondate. Chi parla così si riferisce alla "famiglia Sharon" per creare l’immagine di un clan mafioso. Tenta di ritrarmi come una persona che non agisce per il bene del Paese ma esclusivamente nel proprio, criminale interesse. È una questione molto seria».
Ha mai pensato al ritiro da Gaza come a un espediente per aggirare un’incriminazione?
«Assolutamente no. Questa è una delle menzogne più sfrontate e spregevoli. Dietro, c’è una mente diabolica».
Ne è certo?
«Assolutamente certo».
Ha paragonato la campagna dell’ala destra di oggi a quella condotta contro di lei dalla sinistra ai tempi della guerra del Libano. Chi è più malevolo, la destra o la sinistra?
«Sia l’una che l’altra sanno odiare. Gli ebrei hanno molti talenti, compreso questo. E talvolta amano odiare. I miei genitori non si sono mai lasciati piegare. Forse io possiedo alcuni dei loro geni. Mia madre teneva un’enorme scure sotto il letto. Un giorno gliela chiesi per abbattere un albero in cortile. "Te la porto io", disse. A quell’epoca i figli non entravano nella camera da letto dei genitori. Si chinò e la trasse fuori. Le domandai perché tenesse una scure sotto il letto. Mi rispose: "Perché tu hai preso la pistola per pulirla e non l’hai riportata". Prima di morire, mi disse: "Per anni ti ho raccomandato di non portare rancore ai vicini con i quali abbiamo litigato. Ricorda: l’odio passa di generazione in generazione, fino alla fine dei giorni"».
Nella battaglia per il controllo del Likud, Sharon porterà con sé l’eredità di sua madre: la riconciliazione e la scure.
Fino ad oggi, non ha mai spiegato cosa l’abbia portata a decidere il ritiro dall’intera Striscia. Le è apparso un angelo nella notte? Si è trattato di un lungo percorso? Come può un uomo abbandonare un’impresa alla quale ha dedicato anni?
«Già nel 1988, in una riunione dei ministri del Likud, dissi che avremmo dovuto decidere a cosa rinunciare, altrimenti saremmo stati costretti a tornare ai confini del ’67. Fui violentemente attaccato. Il piano è il risultato della mancanza di un interlocutore palestinese. Pensai che, forse, il disimpegno ne avrebbe generato uno. Nel frattempo, "l’amico" di Netanyahu ha lasciato questo mondo ed è sorta la possibilità di allacciare un dialogo. Ho incontrato Abu Mazen a Sharm-el-Sheikh. L’hotel che ospitò il nostro incontro non esiste più, è stato fatto saltare in aria in segno di solidarietà araba. Mi offrii di coordinare il ritiro. Da allora, la coordinazione è andata avanti. Non siamo ancora alla fase attuativa ma abbiamo raggiunto con i palestinesi un accordo sugli impegni che devono assumere. Mi era chiaro che la manovra non sarebbe stata accettata facilmente. Restando a Gaza, prima o poi avremmo dovuto pagare il prezzo che stiamo pagando ora. Il fatto è che la Striscia non compare nei progetti dello Stato di Israele. Credo che Menahem Begin non avrebbe chiamato la zona che stiamo lasciando "Gush Katif", ma "Terra dei filistei", ci stiamo ritirando dalla "Terra dei filistei". Avevamo un sogno. Anch’io avevo un sogno ma in 37 anni lì poco è cambiato. I coloni hanno fatto molto. Se non fosse stato per loro, oggi non saremmo a Hebron, Gush Etzion, Ma’aleh Adumim, Ariel, Eli, Shilo e Beit El».
E la valle del Giordano?
«La aggiunga alla lista. Insieme alle alture che dominano la pianura costiera e l’aeroporto».
Il suo piano prevede il mantenimento di tutti questi insediamenti?
«Resterà il blocco. È alla domanda sui confini degli insediamenti che non ho mai risposto. E non perché non conosca le mappe».
Yediot Ahronot
( traduzione di Maria Serena Natale )
In fondo all'articolo troviamo un piccolo riquadro, "Immagini di una carriera"; sotto una delle tre fotografie la didascalia è la seguente:Moschee Sharon durante la discussa "passeggiata" sulla Spianata delle Moschee, a Gerusalemme nel 2000: diede il via alla seconda Intifada.
Come ormai dovrebbe essere noto a quasi tutti, e sicuramente ai redattori del primo quotidiano italiano, la visita di Sharon al Monte del Tempio, o Spianata delle Moschee, per altro concordata con l'ente islamico custode dei luoghi santi musulmani, il Waqf, non diede il via a un bel nulla.
La violenza della seconda intifada era programmata da tempo, come diversi ministri dell'Anp hanno affermato in interviste concesse alla stampa araba e palestinese.
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