Hamas afferma che non disturberà il ritiro da Gaza, ma ribadisce la volontà di distruggere Israele e il rifiuto di consegnare le armi
intervista al capo terrorista Mahmud al Zahar
Testata:
Data: 10/08/2005
Pagina: 1
Autore: Umberto de Giovannangeli
Titolo: Hamas: non spareremo sui coloni
L'UNITA' di mercoledì 10 agosto 2005 pubblica in prima pagina e a pagina 7 un'intervista di Umberto De Giovannangeli al leader del gruppo terroristico Hamas, gentilmente definito da u.d.g. il "più radicato e agguerrito movimento integralista palestinese".
Mentre l'intervista è sostanzialmente corretta(u.d.g. avrebbe però potuto ricordare al suo interlocutore che il ritiro israeliano avviene dopo che colpi durissimi sono stati inferti al terrorismo palestinese e ad Hamas in particolare: gli israeliani dunque non sono per niente in "rotta") i titoli , "Hamas: non spareremo sui coloni", in prima pagina, e "Non spareremo sui coloni in ritiro da Gaza", a pagina 7 non danno il giusto rilievo ad alcune altre affermazioni di Mahmud al Zahar, che ribadisce che Israele deve essere distrutto e che la sua organizzazione non intende deporre le armi se prima questo obiettivo non sarà stato raggiunto.
Anche l'occhiello, nel quale si legge "Un negoziato con Sharon mai, la resistenza andrà avanti" è ingannevole: al Zahar non ha un problema con Sharon, ma con tutto Israele.

Ecco il testo dell'articolo:

La perquisizione a cui siamo sottoposti è minuziosa, confiscato il cellulare, smontato e rimontato il registratore. Ci viene chiesto di non descrivere il luogo in cui avviene l'intervista. «Il ritiro da Gaza - sottolinea subito al-Zahar - non è solo una vittoria di Hamas ma di tutti i gruppi che hanno portato avanti la lotta di resistenza all'occupazione sionista. Senza la resistenza armata Israele non si sarebbe mai sognato di ritirarsi. Ciò che sta avvenendo a Gaza a un solo precedente: il ritiro israeliano dal Sud Libano, anch'esso determinato dalla lotta di resistenza del popolo libanese e della sua avanguardia (Hezbollah, ndr).

La tensione è palpabile. Le due guardie del corpo di al-Zahar accarezzano nervosamente il grilletto dei loro kalashnikov e sobbalzano ad ogni minimo rumore. Uno è di guardia alla finestra: la morte può venire dal cielo, portata con i razzi aria terra dai Apache, gli elicotteri da combattimento israeliani. Il primo ministro Ariel Sharon ha rilanciato un monito ai palestinesi, all'Anp, ai gruppi dell'Intifada: Israele è pronto a scatenare una reazione devastante se il ritiro dei soldati e dei coloni sarà accompagnato da azioni terroristiche da parte palestinese: «Le minacce di Sharon non ci fanno paura -ribatte al-Zahar-. La nostra linea è chiara: non saremo noi i primi a ricorrere alla violenza, non spareremo sui nemici in rotta. Per noi il ritiro dei soldati israeliani e dei coloni è già di per sé una vittoria, militare e politica. Non saremo i primi ad attaccare, ma siamo preparati a reagire adeguatamente ad ogni provocazione».

Negli ultimi giorni si sono intensificati i contatti tra l'Anp e Hamas per definire una gestione concordata del dopo-ritiro. «Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità - afferma al Zahar - ma siamo chiaro che non accetteremo alcuna imposizione al disarmo. Non rivolgeremo le nostre armi contro altri palestinesi ma nessuno potrà mai costringerci alla resa di fronte al nemico del popolo palestinese. La resistenza continuerà sino alla liberazione dell'intera Palestina».

Il ritiro di Israele da Gaza è una resa di Sharon da Hamas, come denunciano quanti in Israele sono contrari al piano-Sharon?
«Sì è una vittoria, non solo di Hamas ma dell'intero fronte di resistenza all'occupazione sionista. Senza questa resistenza, senza i nostri shahid (martiri, ndr.) Israele non si sarebbe sognato di ritirarsi».

Hamas attaccherà i soldati israeliani nei giorni del ritiro?
«Non è nei nostri propositi: no, non attaccheremo, ma siamo pronti a rispondere ad ogni provocazione. La mobilitazione generale è scattata».

Lei parla di difesa. Ma cosa c'è di difensivo nelle decine di razzi Qassam sparati da Hamas contro Sderot e le colonie israeliane?
«Mi ascolti bene: può piacere o no a voi europei, ma la storia dimostra che i missili fanno gli interessi dei palestinesi. Sono i missili ad aver obbligato Israele a ritirarsi dalla Striscia di Gaza e sono loro che in futuro porranno fine all'occupazione. La lotta armata, non il negoziato, ha portato al ritiro da Gaza».

Israele teme che dopo il ritiro di Tzahal, la Striscia di Gaza si trasformi in Hamasland.
«Hamas è già oggi il movimento più radicato nella Striscia di Gaza, presente in ogni ambito della vita sociale e politica. Non abbiamo bisogno di legittimazioni esterne; la nostra forza viene dal popolo».

Siete pronti a un negoziato con Israele?
«Con chi ha usurpato la tua terra, umiliato e ucciso la tua gente? No, in queste condizioni parlare di negoziato non ha senso. La nostra causa nazionale non riguarda solo Gaza, la Cisgiordania o Gerusalemme. La nostra causa è la Palestina, nella sua interezza».

Il ritiro da Gaza apre la questione della gestione dei territori evacuati. Qual è in proposito la posizione di Hamas?
«Per costringere Israele al ritiro abbiamo sparso la nostra parte di sangue. Ora vogliamo prendere parte alle decisioni».

È una sfida all'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen?
«No, è la legittima rivendicazione di un ruolo che neanche Mahmud Abbas (Abu Mazen, ndr) può negare».

Dai vertici dell'Anp giungono in questi giorni vibrati appelli all'unità. Qual è la risposta di Hamas?
«L'unità a cui noi aspiriamo, quella per cui ci battiamo, deve essere fondata sul diritto del popolo palestinese a resistere all'occupazione».

Cinquantamila agenti dell'Anp sono pronti a garantire ordine e sicurezza dopo il ritiro israeliano. E' un monito ad Hamas?
«Non credo proprio. Quegli agenti, come peraltro i nostri miliziani, vigileranno contro le provocazioni israeliane».

Oggi (ieri, ndr) Abu Mazen ha annunciato nel corso di una riunione del parlamento palestinese svoltasi a Gaza, che le elezioni legislative si terranno nel gennaio 2006. Hamas vi parteciperà?
«Siamo parte della nazione palestinese, vogliamo esserlo anche delle sue istituzioni rappresentative. Sì, parteciperemo alle elezioni legislative e questa scelta non è in contrasto con la determinazione a proseguire la resistenza all'occupazione».

E se come condizione per partecipare alle elezioni vi sarà chiesto il disarmo delle milizie?
«Non esiste. Deporremo le armi quando non vi sarà più un soldato israeliano a calpestare la sacra Terra di Palestina».

Nell'orizzonte di Hamas c'è una convivenza possibile con Israele?
«A certe condizioni, possiamo trattare una tregua, anche lunga. Ma in prospettiva non c'è possibilità di coesistenza tra due Stati in Palestina. O noi o Israele».

Il tempo dell'intervista è finito. Un giovane armato di kalashnikov ci fa segno di attendere qualche minuto prima di uscire. Le ombre della sera calano su Gaza. Nelle strade c'è fermento, animazione. L'atmosfera è elettrica. Centinaia di ragazzini preparano bandiere e striscioni per il «giorno della liberazione» della Striscia. Quel giorno, ci dice Mahmud al-Zahar al momento dei saluti, «le bandiere di Hamas sventoleranno sugli edifici abbandonati dagli israeliani, in attesa di sventolare su Al-Quds (Gerusalemme)».
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