"Siamo contrari alla violenza"
intervista al rabbino Yaakov Meidan, uno dei leader del movimento di opposizione al ritiro
Testata:
Data: 04/08/2005
Pagina: 4
Autore: Ari Shavit e Yair Sheleg
Titolo: L'alleanza tra l'Israele laica e quella sionista è compromessa
IL RIFORMISTA di martedì 2 agosto 2005 pubblica un'intervista al rabbino Yaacov Meidan, rabbino molto influente tra i coloni.

Ne esce un'immagine del movimento di opposizione al ritiro da Gaza assai diversa, almeno nella sua parte maggioritaria, da quella abitualmente proposta dai media.
Meidan rifiuta esplicitamente ogni forma di violenza e, nonostante alcuni estremismi (come la tesi "complottista" sull'"interesse" di Sharon a che vi sia uno spargimento di sangue durante le operazioni a Gaza), appare sostanzialmente il leader di un movimento democratico. Ben lontano dallo stereotipo del pistolero fondamentalista, deciso a restaurare la monarchia biblica diffuso da certa stampa italiana.

Ecco il testo:

Rabbi Yaakov Meidan non è uno dei rabbini estremisti della Yesha (la sigla che sta a indicare Giudea, Samaria e Gaza). Da anni Rabbi Meidan cerca di instaurare un dialogo con la popolazione laica. Insieme alla professoressa Ruth Gavison, della Facoltà di Diritto dell’Università Ebraica di Gerusalemme, ha stilato un patto concernente le relazioni tra Stato e religione. In collaborazione
con il maggior generale della riserva Uzi Dayan ha realizzato il patto "Dialogo tra Fratelli" al fine di prevenire atti di insubordinazione tra i soldati che potrebbero rifiutarsi di obbedire a certi ordini. Nel corso degli ultimi mesi, ha anche cercato di redigere un ennesimo patto al fine di calmare gli animi e definire le regole della lotta in corso. Oggi,a tentativo di dialogo è fallito, Rabbi Meidan si è infiammato. Cerca di controllarsi, ma a fatica. Il suo stato d’animo ondeggia tra il desiderio di conservare la chiave di volta del quadro istituzionale dello Stato e la sensazione che sia stata inflitta una ferita lacerante, tra il desiderio di esprimere la propria vigorosa opposizione all’idea di espellere i coloni ebrei dalle loro case e quello di non spingere i militari ad atti di insubordinazione.Tra ritiro
e insediamento.Tra Stato di Israele e Terra di Israele. Recentemente Rabbi Meidan ha illustrato la propria posizione in merito al ritiro da Gaza in termini tratti dal racconto biblico del Giudizio di Re Salomone, con la differenza che nel suo commento la vera madre deve evitare contemporaneamente
che il fanciullo venga diviso a metà e che le venga sottratto definitivamente.Meidan si è trasferito a Gush Etzion (un agglomerato di insediamenti a sud di Betlemme) 36 anni fa e si è diplomato nel
primo corso tenuto nella grande hesder yeshiva (una scuola che permette di completare contemporaneamente gli studi religiosi e il servizio militare) di Har Etzion, situata nell’insediamento di Alon Shvut. In occasione della prossima festività di Hanukkah, diventerà il
direttore della yeshiva. Cinquantasettenne e padre di sette figli, Rabbi Meidan è alto, agile, energico e acuto. Sebbene non sia famoso quanto altri rabbini, come Moshe Levinger, Yoel Bin-Nun e Menachem Fruman, oggi la sua influenza supera quella dei suoi colleghi. Egli fa parte del nucleo
più importante di leader dei coloni che stanno cercando di trovare un accordo con le IDF (le Forze di Difesa Israeliane) al fine di mantenere entro i limiti la lotta contro il ritiro. Meidan rappresenta l’autorità rabbinica dalla quale proviene la legittimazione per quelli che, nei territori, vogliono evitare di bruciarsi i ponti alle spalle e di non precipitare in uno scontro aperto con lo Stato e l’esercito.Nondimeno, i suoi sentimenti sono contrastanti: si sente sull’orlo dell’abisso.

Rabbi Meidan, quant’è difficile questo momento?
È terribile, più che terribile. Siamo considerati la città distrutta che, come si dice, non verrà mai più ricostruita. Siamo ritenuti un accampamento di lebbrosi. Questa crisi ha un duplice aspetto. Uno di essi consiste nel fatto che degli ebrei giunti in questa terra dopo duemila anni di esilio allo scopo di non venire mai più scacciati dalle proprie case vengono, appunto, espulsi dalle proprie case. Dopo duemila anni di esilio, durante i quali abbiamo sempre sognato di avere uno Stato dal quale nessuno potesse scacciarci, quel sogno è stato infranto. Improvvisamente vediamo che gli ebrei possono essere espulsi dalla loro terra. Le case degli ebrei possono essere rase al suolo. Le tombe degli ebrei possono essere strappate alla terra. Dopo 50 anni nei quali nei quali avevamo creduto che niente di tutto ciò fosse possibile, quest’atto ci fa ripiombare nella tragica condizione ebraica precedente
al Sionismo. Ma esiste un secondo aspetto della crisi. Decenni or sono la nostra parte della popolazione, la popolazione religioso-sionista, prese la decisione strategica di convivere con
il Sionismo laico, con quella parte di popolazione che non è osservante. Decidemmo di forgiare un’alleanza fondata sull’amore per questa terra, sul desiderio di ricreare il nostro Stato. Oggi questa alleanza si è spezzata. Quelli che si erano spinti ovunque al nostro fianco, anche nelle fiamme, ci hanno pugnalato alla schiena.

Chi vi ha pugnalato alla schiena?
Preferirei non far nomi. È la lezione che ho imparato da quello che è accaduto 10 anni fa, prima dell’assassinio di Rabin. Qualcuno si è avvicinato al Sionismo religioso allo scopo di pugnalarlo alle spalle, di precipitare il Sionismo religioso alla situazione di 30 anni fa, di ridurlo al posto che occupava in precedenza.
Le sue affermazioni sono molto gravi. Le sta dicendo che il ritiro non riguarda soltanto l’evacuazione insediamenti, ma che è anche il tentativo da parte della popolazione laica di Israele di attaccare lo schieramento nazional- religioso. Non mi piace l’espressione "evacuazione". Non siamo polvere. Non siamo hametz della vigilia di Pasqua [il rito pasquale prevede che alla vigilia
della festività le abitazioni vengano interamente ripulite da lievito e pane lievitato, detto appunto hametz].Abbiamo le nostre radici. Abbiamo affondato le nostre radici nelle dune di Gush Katif [il complesso di insediamenti ebraici di Gaza], nonché tra le dure rocce di Gush Etzion e in altri
luoghi. Non vogliono spazzarci via dalla tavola: vogliono sradicarci. Ma ci sradicheranno con grande fatica. Per rispondere alla sua domanda: non ce l’ho con la popolazione laica nel suo insieme. Nei nostri incontri con la gente di ogni convinzione, avvertiamo un sentimento di calore, che lascia trasparire il loro appoggio. Se non fosse stato per questo sostegno, mi sarebbe stato difficile superare questi ultimi mesi. Il problema è con l’elite laica. È il suo atteggiamento che mi fa pensare ad una pugnalata alla schiena.

L’elite laica si sarebbe levata contro di voi allo scopo di distruggervi?
Sì.

Quindi, dal suo punto di vista, il ritiro non è una mossa strategica- giustificata o meno -ma il deliberato tentativo di distruggere il Sionismo religioso?
Voglio essere giusto: è lo scopo di una parte dell’elite laica. Per altri, la nostra distruzione non è l’obiettivo, ma un prezzo che sono disposti a pagare. Quando qualcuno si leva contro di voi, si prova un dolore particolare. Se a qualcuno non importa se venite distrutti o dove andrete dopo essere stati sottomessi, si prova un dolore diverso.

Per anni lei ha tenuto un dialogo con l’elite democratica e laica. Oggi pensa che quel dialogo
fosse solo un inganno?
Nella nostra alleanza con le elite laiche, le falsità non mancavano. Con il senno di poi, direi che molti di quelli che si sono seduti intorno a un tavolo per dialogare con noi non erano sinceri. Quando è giunto il momento della verità, hanno mostrato la loro vera faccia e ci hanno voltato
le spalle.

Ha la sensazione di essere stato tradito?
I miei rapporti con la professoressa Ruth Gavison erano e rimangono buoni. Anche quando non eravamo d’accordo, lei ha dimostrato la sua sincerità. Ma quando ho avuto una riunione all’Istituto Israeliano per la Democrazia con il suo gruppo di referenti – importanti giuristi e accademici e
leader di sinistra - ho avuto l’impressione di incontrarmi con gente che vive sotto una campana di vetro. Gente che vede un’intera parte della popolazione che viene strappata agli sforzi di una vita intera e da tutto quello in cui crede e che viene gettata chissà dove, ma loro non capiscono neppure
lontanamente come possa sentirsi quella parte della popolazione. Nei miei incontri con costoro ho avuto la sensazione che esaminassero tutto limitandosi esclusivamente alla lettera della legge. Come se le ordinanze e le leggi fossero diventate Dio. Senza giustizia, senza moralità, senza niente.
Ho avuto l’impressione di trovarmi dinanzi ad un muro impenetrabile e scintillante, di venire osservato attraverso una spessa lastra di vetro. Mi puntano il dito addosso e mi dicono, se vuoi gridare fallo pure, ma non tra le due e le quattro, l’ora della siesta. Questo non posso accettarlo.

Ne trae delle conclusioni pratiche?
Certo. Al fine di stringere un’alleanza con l’elite laica, abbiamo trascurato i nostri alleati naturali, ossia la popolazione haredi [gli ebrei ultra-ortodossi]. E’ stato un errore. In futuro ci comporteremo diversamente. Nel passato, nonostante tutti i nostri disaccordi, pensavo che ci fosse qualcosa da imparare dall’elite laica ma, dopo che l’ho vista affondare la lama nella nostra schiena non ho più niente da imparare da questa gente. Dal punto di vista della democrazia, quello che è accaduto è uno scandalo. E dal punto di vista della tutela dei diritti umani, è una vergogna. I tribunali, la stampa,
gli istituti di ricerca: nessuno ci ha ascoltato.L’elite democratica non è rimasta fedele ai valori
ai quali aveva fatto appello tutti questi anni.

Quindi la sua prossima apertura di dialogo non sarà con l’Istituto per la Democrazia, ma con Rabbi Elyashiv, il leader del giudaismo haredi?
Giusto. Solo quando il Sionismo religioso e la popolazione haredi si schiereranno fianco a fianco, verremo trattati in modo diverso.

Qual è lo scopo della grande campagna di proteste di questa settimana?
Il nostro grido di protesta non viene ascoltato. Sharon non ci ascolta, i tribunali non ci
ascoltano, Tel Aviv non ci ascolta. Mentre noi gridiamo, loro si tappano le orecchie. Pertanto vogliamo lanciare un grido tanto forte che non potranno più chiudere le orecchie. E’ un grido di dolore per abbattere il muro dell’insensibilità.

Ma voi non marciate contro la Knesset o contro la tenuta di Sharon: voi marciate contro le
forze armate, le truppe della IDF.
L’esercito ci è caro, non è un ostaggio della nostra lotta. Ma chiunque abbia deciso di sradicarci
dalla nostra terra e abbia stabilito di non tenere un referendum su questa decisione, si è sottratto
a una decisione democratica. Avrebbe dovuto sapere che ci sarebbe stato un prezzo da pagare. Ebbene, questo prezzo viene pagato dall’esercito. Lo stanno inviando a distruggere delle case di ebrei. Stanno inviando i rabbini dell’esercito a portare via delle tombe di ebrei, a trasformare 50 sinagoghe in cumuli di macerie. Tutto ciò comporterà un prezzo.

Ritiene che questi atti siano violazioni religiose?
Non diciamo che è una violazione di un comandamento. Ma c’è nessuno che si sia chiesto che effetti avranno azioni come queste sull’anima di un ebreo? Guardate cosa ci succede quando qualcuno scrive uno slogan su una sinagoga in Germania: ora stanno per distruggere decine di sinagoghe. Stanno per fare quello che i Gentili non hanno osato farci da oltre 50 anni in nessuna parte del mondo. Lei capisce il significato di una ruspa, guidata da un soldato arruolato per difendere il popolo ebraico, che abbatte le mura di una sinagoga e la riduce in rovine, schiacciando
con i suoi cingoli il luogo dove venivano riposti i rotoli della Torah? Se io fossi quel soldato, il mio animo sarebbe così lacerato che non sarei sicuro di poterlo sopportare.

Cosa farebbe lei?
È una domanda difficile. Trascinare via della gente dalla casa dove ha vissuto per 30 anni, i figli, le madri. Se sua madre fosse in quella situazione, lei che farebbe?

Se lei fosse un soldato e le venisse ordinato di demolire una sinagoga, lei non lo farebbe?
Faccio fatica a immaginare di poter fare qualcosa del genere.

E se uno dei suoi studenti le chiedesse in che modo deve comportarsi durante il ritiro?
Spero che l’esercito sia abbastanza saggio da non forzare soldati a schierarsi contro chi
considerano il loro stesso sangue. Sono contrario a disobbedire agli ordini. Penso che sia importante che i nostri soldati siano lì, perché possono calmare le acque. Ma chiunque invii dei soldati a trascinare della gente via dalle proprie case, si sta assumendo una gravissima responsabilità.
Vorrei vedere il Capo di Stato maggiore Dan Halutz portare via sua madre dalla sua casa. Ne sarebbe capace? Non ordini agli altri ciò che non farebbe personalmente.

Lei sta predicando una disobbedienza "grigia". Dice di essere contrario ad atti di insubordinazione, ma in pratica sta esortando ogni soldato religioso a presentarsi al proprio comandante e a dirgli:
non posso farlo. Quello che sta dicendo è che ci sarà un singolo soldato che dirà "non posso", poi un altro singolo soldato che dirà anche lui "non posso", finché non avremo un intero gruppo di singoli soldati che si rifiuterà di eseguire gli ordini dei superiori e non attuerà le decisioni di un governo eletto.

Ci saranno molti singoli soldati che faranno così, e che potrebbero persino rappresentare
una considerevole percentuale dell’esercito, ma non saranno un gruppo. E non si rifiuteranno di obbedire agli ordini: chiederanno solo di venire assegnati a un altro compito. Il rifiuto di obbedire agli ordini si sta verificando già adesso. In un modo o nell’altro, le IDF sono destinate a
trovarsi in una situazione difficile, oggi e in futuro. Ma la responsabilità è del primo ministro
e del ministro della Difesa. Eppure loro sanno di che pasta sono fatte le nostre truppe. Il nostro scopo non è quello di spaccare le IDF. Quello che vogliamo è mettere le IDF in una posizione difficile, ma non insostenibile.

Rabbi Meidan, voi state cercando di indurre l’esercito dire ai dirigenti politici di non essere in grado di svolgere la missione. La strada che avete scelto mette a repentaglio le vite e l’incolumità fisica di altri israeliani.
Ci terremo lontani 2.000 cubiti da qualsiasi atto di violenza. La spaccatura inizia quando si inviano i soldati a eseguire una missione che non sono in grado di portare a termine. Viceversa, noi stiamo facendo dei passi con i quali le IDF possono venire alle prese.

Ma l’alternativa non sarebbe di dire ai vostri allievi che sono difensori della sovranità israeliana e che devono obbedire ad ogni decisione legale presa da questo Stato sovrano?
I nostri soldati sono certamente difensori della sovranità israeliana, ma questo non è un buon motivo per distruggere i valori nei quali sono stati cresciuti. Trascinare via dalle loro case gli abitanti di
Gush Katif vuol dire calpestare i nostri valori senza un motivo giustificato.

Rabbi Meidan, grazie alla vostra ideologia io,Ari Shavit, ho prestato servizio in un centro di detenzione per palestinesi. Ho fatto una cosa contraria alle mie convinzioni più profonde per rimanere fedele alla sola sovranità israeliana e all’alleanza tra di noi. Adesso tocca a voi fare la vostra parte in questa alleanza per la nostra sovranità, ma vi tirate indietro.
Il suo servizio come guardia in un centro di detenzione non è stato più difficile per lei che per gli altri, ed era necessario per la sicurezza di tutti noi. Invece, nel nostro caso, la questione specifica consiste nel fatto che a numerosi individui, forse un quarto dell’intero esercito, viene chiesto di fare qualcosa che cozza con le loro convinzioni. Non credo che sia giusto violare la loro fede.

Per anni persone di sinistra hanno prestato servizio ai posti di blocco per proteggere i coloni, hanno prestato servizio come carcerieri per loro, hanno protetto i vostri insediamenti.Tutto questo
ha lacerato il loro animo non meno di quanto il ritiro stia lacerando il vostro.
Non c’è paragone. I posti di blocco proteggevano Gerusalemme e Tel Aviv. I centri di detenzione non proteggevano l’occupazione, ma la sicurezza del paese. È vero che gente di sinistra ha protetto gli insediamenti, ma non c’è paragone tra i loro problemi e scacciare della brava gente dalle proprie
case per poi demolirle.
Una volta Uzi Dayan mi ha detto esplicitamente che, se avesse ricevuto l’ordine di scacciare degli arabi dalle loro case, si sarebbe rifiutato di obbedire, e si trattava di un possibile candidato per il posto di Capo di Stato Maggiore. Tra le persone di sinistra e di centro, tutti dicono che, se ricevessero l’ordine di espellere degli arabi dalle loro case, si rifiuterebbero di obbedire. Noi non parliamo neppure di rifiutarci di obbedire agli ordini: tutto quello che chiediamo è di non obbligarci a calpestare i nostri valori.
Le sue dichiarazioni dipingono un quadro in cui due opposte concezioni di Israele si trovano in rotta di collisione e nessuna delle due è disposta a spostarsi dal ciglio della strada.
Lo scontro ci sarà. Ma credo che alla fine i danni si limiteranno alla carrozzeria della macchina sopravviverà. Dopo un incidente del genere la macchina può ancora viaggiare, il motore tossisce l'auto è danneggiata, ma può ancora viaggiare. Se c'è questo forte rischio è perché la sinistra non ci ha lasciato nient'altro. Abbiamo il cuore pesante e prenderemo ogni precauzione per non passare quel segno che significherebbe portare l'esercito alla rovina. Ma non abbiamo scelta. L'alternativa sarebbe di non contestare la distruzione dei principali articolo di fede del Sionismo. Dal nostro punto di vista è impossibile. significherebbe seppellire ignominosamente il Sionismo stesso.

Ma dov’è finita la grandezza d’animo dimostrata da Menachem Begin nel 1948 quando il primo ministro David Ben Gurion ordinò alle IDF di aprire il fuoco su una nave che trasportava armi per l’Irgun, organizzazione militante guidata dallo stesso Begin? Voi siete pronti a mettere tutto a rischio?
Noi siamo contrari alla violenza. Il cielo non voglia che qualcuno levi la mano contro un soldato. Il cielo non voglia che qualcuno insulti un soldato. In nessuna circostanza dovrà esservi alcuna forma di violenza. Ma, come Rabbi Kook, anch’io penso che, come nel caso di Salomone, la vera madre non possa accettare che suo figlio venga diviso in due, ma al tempo stesso non possa abbandonarlo. Il figlio che venisse ceduto dalla madre non la perdonerebbe. E anche nel nostro caso il figlio non ci perdonerebbe se cedessimo si tutta la linea per amore di pace e di tranquillità. Nel nostro caso il figlio non è solo Gush Katif, il figlio è l’intera Terra d’Israele. In questo consiste l’intera ideologia del sionismo e degli insediamenti e questa ideologia non ci perdonerà se la abbandoneremo. Così come noi non potremmo perdonarci se cedessimo senza la minima opposizione. E dunque, non porteremo la crisi a un punto irreversibile, ma neppure cederemo.

Voi mettete in pericolo lo Stato d’Israele, I rabbini del sionismo religioso, Rabbi Eliahu e Rabbi Shapira, stanno spingendo i soldati a rifiutarsi di obbedire agli ordini.
Nel mio piccolo, a dispetto del fatto di essere tanto ignorante in confronto a loro, sono pronto a proclamare l’esatto contrario di quanto affermano. Io penso che un soldato religioso e osservante non debba rifiutarsi di obbedire agli ordini. Lo voglio dire esplicitamente: non accetto l’insubordinazione. Per me è del tutto inaccettabile. Ma se mi chiedessero se sarei capace di fare queste cose terribili, dico che non lo so. E, dicendolo, penso di non passare il segno, perché anche se non facessi nulla ci sarebbe un prezzo da pagare. Se ci dimostreremo timorosi e abbandoneremo Gush Katif senza alcuna opposizione ciò significherà la distruzione del sionismo. E questa è una cosa che non ci è permesso fare. E’ proibito. La nostra fedeltà alla terra e all’insediamento ci impone di effettuare un’imponente protesta. La nostra protesta non mette a rischio la democrazia, è contro l’annullamento della democrazia. Cerchiamo di obbligare la Knesset e il governo a ripensarci. La loro decisione è contraria al Sionismo, avrebbe potuto essere presa in un referendum.

Il governo di Israele è maligno?
Non ho detto questo. Ma c’è stata della bassezza. Sharon sta agendo sulla base della sensazione che prevenire la violenza non sia la sua principale priorità. Ragionando freddamente si può giungere alla conclusione che dal suo punto di vista, se vi sarà spargimento di sangue, ciò non farà che garantire il successo di quest’opera di espulsione e il successo delle espulsioni future.. Cercherò di dirlo in modo più prudente. Io so che prevenire la violenza è la maggiore preoccupazione del consiglio Yesha. Prevenire la violenza è una delle massime priorità delle Idf.
Ho paura che nell’ambiente del primo ministro la prevenzione della violenza non abbia una priorità particolarmente elevata. Ho sentito un membro di alto grado dei servizi di sicurezza sostenere che Sharon ha interesse che vi sia uno scoppio di violenza, perché ciò ridurrebbe le pressioni a favore di altre evacuazioni. E io aggiungo: anche perché la violenza invierà il segnale che solo Sharon può venire alla prese con i coloni.
E’ per questo che ho accettato di tenere questa intervista. Perché oggi tutti noi – l’esercito, le elite di sinistra, noi stessi – abbiamo l’obbligo di prevenire la violenza , di impedire che vi sia spargimento di sangue. Ma salvando il Sionismo. Senza Sionismo non esistiamo e il Sionismo è la convinzione che gli ebrei tornino in patria e la redimano affinché nessuno possa mai più scacciarli dalle loro case. Questo è il sionismo. Non conosco nessun altro Sionismo. Ma inviare le IDF a radere al suolo Gush Katif significa infliggere un colpo al sionismo, un colpo gravissimo. E’ quanto stiamo cercando di impedire e cercheremo di impedirlo fino all’ultimo momento.

In realtà il vero pericolo è che il ritiro si trasformi in una guerra religiosa
"Guerra religiosa" è un’espressione inesatta .Ma quest’estate rappresenterà un periodo drammatico nella lotta per stabilire l’identità interna del popolo ebraico e dello Sttao di Israele

Dove pensa che saremo lei e noi al termine dell’estate?
Voi certamente intervisterete gente di tutti i tipi sulla determinazione con cui hanno eseguito l’operazione. Io potrei essere in prigione. Questa eventualità non mi spaventa e la tengo in considerazione. Io non agirò in modo violento, ma agirò nel modo che ritengo legittimo. Mase la legge vorrà punirmi per questo, andrò in prigione senza battere ciglio.

In altre parole, questa campagna conta già la supremazia della legge tra le sue vittime
Io non ho mai riconosciuto la supremazia della legge. Per me la giustizia e la moralità sono di gran lunga più importanti della supremazia della legge. Se la legge si oppone alla giustizia e alla moralità, io mi schiero dalla parte opposta.
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