Crisi diplomatica tra Vaticano Israele: cronache scorrette
rassegna di quotidiani
Testata:
Data: 29/07/2005
Pagina: 15
Autore: Mimmo Muolo - Omar Sherif H. Rida - Marco Politi - Marco Tosatti - Fausto Della Porta - Umberto De Giovannangeli
Titolo: Vaticano, su Israele nessuna omissione - Gli interventi di Giovanni Paolo II - Il Vaticano non accetta lezioni da Israele - Il Vaticano ora attacca Israele -Il Vaticano a Tel Aviv non date lezioni al Papa - Il papa contro Israele
AVVENIRE di venerdì 29 luglio 2005 pubblica a pagina 15 l'articolo di Mimmo Muolo "Vaticano, su Israele nessuna omissione". Si tratta di una cronaca totalmente basata sui soli comunicati vaticani, presentati come verità oggettiva.
Le prime righe chiariscono subito l'assoluta parzialità del resoconto: la protesta di Israele è, come vuole il comunicato vaticano, una serie di accuse "pretestuose" e insostenibili", personalmente rivolte a Benedetto XVI. Ora si tenta di "tirare in ballo anche Giovanni Paolo II", "accusato di presunti silenzi circa gli attentati degli scorsi anni contro lo stato ebraico", ma questa accusa "è stata respinta(...) documenti alla mano".

Ecco il testo:

Non bastavano le accuse «pretestuose» e «insostenibili» di Israele a Benedetto XVI. Ora si tenta di tirare in ballo anche Giovanni Paolo II, accusato di presunti silenzi circa gli attentati degli scorsi anni contro lo Stato ebraico. Ma l'accusa, contenuta in un'intervista rilasciata martedì scorso al Jerusalem Post da Nimrod Barkan, un alto funzionario del ministero degli Esteri di Gerusalemme, è stata respinta, ieri, dalla Sala Stampa vaticana, documenti alla mano. Così come la circostanza, «inventata», che proprio contro questo silenzio il governo d'Israele sarebbe ripetutamente intervenuto negli anni scorsi presso la Santa Sede.
In una dichiarazione dai toni mai usati in precedenza nei confronti di esponenti del governo israeliano e corredata da una nota che riepiloga i principali interventi di Papa Wojtyla in materia, si fa notare innanzitutto che quelle di Barkan sono «affermazioni contrarie alla verità storica». «Gli interventi di Giovanni Paolo II contro ogni forma di terrorismo e contro singoli atti di terrorismo nei confronti di Israele sono stati numerosi e pubblici, come appare dall'unita Nota», si legge infatti nella dichiarazione diffusa ieri (della Nota riferiamo a parte).
Poi, la Sala Stampa della Santa Sede spiega che «non sempre a ogni attentato contro Israele è stato possibile far seguire subito una pubblica dichiarazione di condanna, e ciò per diversi motivi». Tra l'altro, prosegue la dichiarazione, «per il fatto che gli attentati contro Israele talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale. Sarebbe stato pertanto impossibile condannare i primi e passare sotto silenzio le seconde». Quindi la stoccata finale, che non nasconde l'irritazione vaticana per l'atteggiamento delle autorità israeliane, ritenuto non solo non rispondente al vero, ma anche sconveniente sul piano formale. «Così come il Governo israeliano comprensibilmente non si lascia dettare da altri ciò che esso deve dire, nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive da alcun'altra autorità circa l'orientamento e i contenuti delle proprie dichiarazioni».
Come si ricorderà, il ministero degli Esteri israeliano aveva protestato nei confronti del nunzio a Gerusalemme, monsignor Pietro Sambi, per il fatto che nell'Angelus di domenica scorsa il Papa non avesse espressamente condannato, insieme con gli altri attentati, anche quello compiuto il 12 luglio a Netanya, in Israele. Inoltre in una nota di inaudita violenza verbale, si equiparava questo fatto a una «licenza per la realizzazione di atti terroristici contro ebrei». Un attacco difficile da comprendere, anche alla luce dell'atteggiamento di grande apertura e dialogo nei confronti degli ebrei tenuto da Benedetto XVI nei suoi primi mesi di pontificato.
In questo quadro, dunque, le parole di Barkan hanno gettato altra benzina sul fuoco. La dichiarazione della Sala Stampa della Santa Sede le spiega così: «L'insostenibilità della pretestuosa accusa rivolta al Papa Benedetto XVI per non aver menzionato anche l'attacco terroristico di Netanya del 12 luglio dopo la preghiera dell'Angelus di domenica 24 luglio, non può non essere apparsa evidente a chi l'ha sollevata. Forse anche per questo si è cercato di sostenerla, spostando l'attenzione su asseriti silenzi di Giovanni Paolo II circa gli attentati degli anni passati contro Israele, inventando anche che, al riguardo, il governo d'Israele sarebbe in passato intervenuto ripetutamente presso la Santa Sede, e richiedendo che con il nuovo Pontificato la Santa Sede cambi atteggiamento».
Secondo l'agenzia Asianews, però, l'intera vicenda sarebbe solo «una cortina fumogena per nascondere la decisione israeliana di abbandonare i negoziati con il Vaticano», in merito all'applicazione dell'Accordo fondamentale. Un incontro fissato per il 19 luglio era stato spostato al 25. Proprio il giorno della prima violenta polemica.
Sempre a pagina 15 una sintesi dei fatti in base ai quali l'"accusa" che sarebbe stata rivolta a Giovanni Paolo II (in realtà alla diplomazia vaticana)"è stata respinta".
E' un elenco di otto prese di posizione, alcune delle quali si limitano a condannare genericamente la "violenza", riferite a un arco di tempo che va dal 1982 ad oggi.
Considerando le migliaia di attentati, i quasi mille morti, le migliaia di feriti e di mutilati che il terrorismo palestinese ha fatto in Israele dal 2000, non si può certo dire che, documenti alla mano, si sia dimostrata l'infondatezza della protesta israeliana.

Ecco il testo, "Gli interventi di Giovanni Paolo II":

All'Angelus del 4 aprile 1982 espresse la propria amarezza per i «nuovi dolorosi episodi [che] si sono prodotti in Cisgiordania, con morti e feriti, mentre si è accresciuta l'ansietà e l'insicurezza della popolazione». (...)
Con ferme parole, il 12 gennaio 1991 Giovanni Paolo II disse che «si deve risconoscere che certi gruppi palestinesi hanno scelto, per farsi ascoltare, metodi inaccettabili e condannabili», e che occorre garantire «allo Stato di Israele le giuste condizioni per la sua sicurezza». (...)
Turbato dalla strage del 30 luglio 1997 al mercato di Gerusalemme, il Papa fece diramare una dura nota dalla Sala Stampa, nella quale si affermò che «La Santa Sede deplora questa violenza cieca che semina la morte indiscriminatamente. Non è con questo genere di azioni che si costruisce la pace. Il Santo Padre ha ricordato più volte che la violenza genera soltanto violenza».
Il 13 gennaio 2001, riferendosi ai fatti di Betlemme, ricordò come «nessuno deve accettare ... il verificarsi di una specie di guerriglia». L'anno successivo, il 10 gennaio 2002, davanti al Corpo diplomatico parlò delle vittime innocenti che da una parte e dall'altra cadono ogni giorno sotto i colpi e gli spari, e della necessità di vincere insieme la battaglia della pace. Egli si riferiva al conflitto in atto in Palestina.
Nel messaggio Urbi et Orbi del 31 marzo 2002 la parola del Pontefice si levò per condannare «la tragica sequenza di atrocità e di assassinii che insanguinano la Terra Santa» e, in occasione dell'attentato suicida del 22 febbraio 2004 a Gerusalemme, egli espresse la sua ferma deplorazione per il brutale atto, denunciando la dinamica assurda della violenza.
Ancora un mese e mezzo prima di morire, Giovanni Paolo II, all'Angelus del 13 febbraio 2005, confidò: «Continuo a pregare per la pace in Medio Oriente».
Fondato esclusivamente sulla posizione della Santa Sede è anche l'articolo di Omar Sherif H. Rida pubblicato in prima pagina e a pagina 8 dal GIORNALE, con il titolo "Il Vaticano non accetta lezioni da Israele". In esso viene anche riproposta la poco credibile tesi della natura "strumentale" della protesta israeliana.

Ecco il testo.:

Dura risposta del Vaticano dopo la polemica aperta da Israele sul mancato inserimento dell'attentato di Netanya nelle parole del Papa. La sala stampa
della Santa Sede ha ricordato che gli interventi di Giovanni Paolo II per condannare gli attentati contro Israele sono stati «numerosi e pubblici»,
che non sempre si è potuto intervenire a causa delle «reazioni
israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale».
La Santa sede non accetta insegnamenti e direttive da altre autorità. Le accuse
di Israele a Benedetto XVI di non aver inserito, domenica scorsa, lo Stato ebraico nell’elenco dei Paesi colpiti dal terrorismo internazionale sono «pretestuose». La dura reazione del portavoce vaticano, Joaquín Navarro Valls, alle dichiarazioni rilasciate martedì scorso al quotidiano Jerusalem Post dal direttore del ministero degli Esteri, Nimrod Barkan, contribuisce
a inasprire le relazioni diplomatiche tra i due Stati, già precarie per la difficile trattativa per il rinnovo dell’Accordo fondamentale fra Santa sede e Israele, che dovrebbe definire lo status economico e giuridico della Chiesa in
Israele. Un attacco duro e ingiustificato al Papa e alla linea politica
del Vaticano degli ultimi anni, secondo Navarro Valls. «L’insostenibilità della pretestuosa accusa rivolta al pontefice - si legge nella lunga nota diffusa ieri - per non aver menzionato, durante l’Angelus di domenica scorsa, l’attacco
terroristico di Netanya del 12 luglio - nel quale persero la vita cinque israeliani -, non può non essere apparsa evidente a chi l’ha sollevata ».
A tal punto che, per il portavoce vaticano, per sostenere la tesi si è dovuta spostare l’attenzione sui presunti silenzi di Giovanni Paolo II circa
gli attentati del passato contro Israele, quando è universalmente riconosciuto
che gli interventi di Wojtyla «contro ogni forma di terrorismo e contro singoli atti nei confronti di Israele sono stati numerosi e pubblici». A seguire,
un minuzioso elenco dei discorsi dedicati da Giovanni Paolo II alla questione
mediorientale durante i 26 anni di pontificato, fino alle parole pronunciate nell’Angelus del 13 febbraio scorso, a 40 giorni dalla morte: «Continuo
a pregare per la pace in Medio Oriente». Gelo diplomatico quindi e una polemica sul cui sfondo emerge la spinosa questione degli accordi bilaterali. Già lunedì scorso ambienti vaticani avevano etichettato le critiche a Ratzinger come una «cortina fumogena per nascondere la decisione del ministero degli Esteri israeliano di abbandonare i negoziati con la Santa sede, in programma lo stesso giorno». Negoziati che si trascinano ormai da tempo quelli per un accordo firmato proprio da Giovanni Paolo II nel 1993, e mai recepito nell’ordinamento giuridico israeliano perché incompleto in alcune materie
fondamentali come le relazioni fiscali fra Stato e Chiesa (che prevedono il diritto ecclesiastico all’esenzione fiscale) e la sicurezza delle proprietà religiose. Da qui la riluttanza di una parte della Knesset a riconoscere un ruolo sociale alle strutture cattoliche. Eppure nell’ultimo periodo
le trattative sembravano aver avuto un nuovo impulso grazie all’intervento
del nuovo ambasciatore israeliano presso la Santa sede, Oded Ben Hur, amico personale di Papa Ratzinger, che era riuscito a sensibilizzare il governo Sharon in materia, al punto che una commissione mista era riuscita a trovare
un’equa composizione sui punti più spinosi. Poi l’improvviso stop e la tempesta
diplomatica, dietro il quale si cela probabilmente la riluttanza di una parte del governo Sharon che giudica «prematura » un’eventuale conclusione
positiva.
Anche l'articolo di Marco Politi "Il Vaticano ora attacca Israele. Non accettiamo insegnamenti", pubblicato da REPUBBLICA a pagina 20, appare privilegiare il punto di vista vaticano sulla vicenda.
Qui addirittura si accredita subito, nella frase di esordio, la tesi, assai poco plausibile, che il diplomatico israeliano che ha riferito di precedenti richieste riservate rivolte al Vaticano per ottenere prese di posizione sugli attentati abbia mentito.
Il governo israeliano è indicato, con una evidente sfumatura denigratoria, legata alla mitologia negativa che circonda il premier, come il "governo di Sharon", dal quale non si accettano "lezioni".

Ecco il testo:

CITTÀ DEL VATICANO - La Santa Sede non accetta lezioni dal governo di Sharon e meno che mai sulle base di menzogne. E´ durissima la reazione del Vaticano alle minacce del governo israeliano di promuovere «altri passi» per influenzare la linea politica del nuovo pontefice riguardo al conflitto israelo - palestinese. «L´insostenibilità della pretestuosa accusa rivolta a papa Benedetto XVI per non aver menzionato anche l´attacco terroristico di Netanya del 12 luglio dopo la preghiera dell´Angelus di domenica - afferma una nota della sala stampa vaticana - non può non essere apparsa evidente a chi l´ha sollevata». Forse, prosegue la dichiarazione della Santa Sede, anche per questo si è voluto «spostare l´attenzione su asseriti silenzi di Giovanni Paolo II circa gli attentati degli anni passati contro Israele, inventando anche che al riguardo il governo d´Israele sarebbe in passato intervenuto ripetutamente presso la Santa Sede, e richiedendo che con il nuovo pontificato la Santa Sede cambi atteggiamento».
L´aspra escalation dei termini - «insostenibile», «pretestuoso», «inventando», «penosa sorpresa» - dimostrano che il testo è frutto di un impulso diretto della Segreteria di Stato con il placet personale di Benedetto XVI. Ratzinger non accetta intimidazioni, neanche sotto forma del ricatto israeliano di un congelamento dei negoziati sul regime fiscale degli enti cattolici in Terrasanta, e soprattutto non ammette che Sharon tenti di mettere un cuneo tra sé e la politica di Giovanni Paolo II e meno che mai tra sé ed un fedele collaboratore di pontefici come il cardinale Sodano.
Benedetto XVI aveva deciso di archiviare l´episodio dell´attacco personale a lui rivolto lunedì scorso. «Storia chiusa», era stato incaricato di dire il portavoce Navarro. Ma sul quotidiano israeliano Jerusalem Post il dirigente del ministero degli Esteri Nimrod Barkan (lo stesso che aveva convocato il nunzio vaticano) aveva rincarato all´indomani la dose, con affermazioni esplosive:
«Non condannare il terrorismo in Israele è stata la politica del Vaticano per anni. Ora che c´è un nuovo papa abbiamo deciso di affrontare la questione». Barkan aveva aggiunto che se la protesta ufficiale non avesse dato risultati «dovremo valutare altri passi».
Di qui la decisione papale di reagire a tutto campo. La dichiarazione vaticana evidenzia come Giovanni Paolo II abbia condannato sistematicamente ogni atto terrroristico, facendo poi notare che se in certi casi il Vaticano non ha potuto denunciarli era perché «talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale». Denunciare gli attentati e tacere sulle repressioni ingiuste era impossibile.
«Anche nel ricordare gli inalienabili diritti del popolo palestinese - ribadisce la nota - il sommo pontefice (Wojtyla) ha ripetutamente stigmatizzato con parole inequivocabili l´inammissibilità dei metodi violenti che, mediante atti terroristici perpetrati nei confronti della popolazione civile israeliana, hanno impedito iniziative di pace poste in atto da sagge forze politiche sia israeliane che palestinesi». Altrettanto chiara è stata la posizione di Giovanni Paolo II sul diritto di Israele a «vivere nella sicurezza e nella pace».
E qui arriva un´altra stoccata ai collaboratori di Sharon: «Le affermazioni contrarie alla verità storica possono giovare solo a chi intende fomentare animosità e contrasti, e certo non servono a migliorare la situazione». Infine l´avvertimento pubblico. Così come il governo di Sharon non si lascia dettare da altri le proprie parole «nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive da alcun´altra autorità circa l´orientamento ed i contenuti delle proprie dichiarazioni».
Per Marco Tosatti su LA STAMPA, a pagina 10,il Vaticano starebbe difendendo "con durezza la memoria di Giovanni Paolo II", che Israele non ha per altro mai attaccato.
L'articolo è come i precedenti fondato sulla semplice esposizione della posizione del Vaticano, quella di Israele è descritta come aggressiva e ingiustificata, è un' "offensiva" pretestuosa.

Il titolo dell'articolo, "Il Vaticano a Tel Aviv: non date lezioni al Papa" induce a ricordare ai redattori della STAMPA che la capitale di Israele è Gerusalemme.
Inoltre, non si tratta di un titolo neutrale. E' ovvio che per un lettore cattolico l'idea che qualcuno prtenda di "dare lezioni" a quella che considera la più alta autorità religiosa e morale tra gli uomini può apparire offensiva o ridicola.
Ma la Chiesa cattolica, e la Santa Sede, sono anche realtà politiche. Ad esse lo Stato di Israele si rapporta anche politicamante, non "dando lezioni", ma avanzando legittime richieste e facendo legittimamente valere i propri punti di vista, com'è normale nelle relazioni internazionali.

Ecco l'articolo:

La Santa Sede difende con durezza la memoria di Giovanni Paolo II dagli attacchi lanciatigli nei giorni scorsi da alcuni organi di stampa israeliani, accusandolo di «asseriti silenzi» riguardo al terrorismo. Pochi giorni dopo che il governo di Sharon aveva lanciato un’offensiva diplomatica giudicata dal Vaticano «pretestuosa» perché Benedetto XVI non aveva citato Israele fra i Paesi colpiti dal terrorismo nei giorni scorsi, un altro riverbero di polemiche fa scendere al livello più basso da molti anni il termometro dei rapporti fra lo Stato ebraico e la Santa Sede. Nel pomeriggio di ieri il direttore della Sala Stampa, Joaquin Navarro Valls, ha reso nota una dichiarazione molto dura, corredata da una lunga nota, affermando che «la Santa Sede non accetta insegnamenti e direttive» da altre autorità e comunque è una «accusa pretestuosa» a Benedetto XVI quella di non aver inserito Israele nell’elenco dei Paesi colpiti dal terrorismo nell’Angelus di domenica scorsa.
Nel mirino del Vaticano paiono soprattutto le dichiarazioni del funzionario del ministero degli Esteri di Israele Barman al Jerusalem Post di martedì scorso. Dice Navarro: «L’insostenibilità della pretestuosa accusa rivolta al Papa Benedetto XVI per non aver menzionato anche l’attacco terroristico di Netanya del 12 luglio dopo la preghiera dell’Angelus di domenica 24 luglio non può non essere apparsa evidente a chi l’ha sollevata. Forse anche per questo si è cercato di sostenerla, spostando l’attenzione su asseriti silenzi di Giovanni Paolo II circa gli attentati degli anni passati contro Israele, inventando anche che, al riguardo, il Governo d’Israele sarebbe in passato intervenuto ripetutamente presso la Santa Sede, e richiedendo che con il nuovo Pontificato la Santa Sede cambi atteggiamento».
Navarro lancia un’accusa precisa, e molto pesante, nei rapporti diplomatici: quella di «invenzione». Ed è la memoria di papa Wojtyla che si vuole difendere: «In merito - prosegue il portavoce del Vaticano - si fa presente che gli interventi di Giovanni Paolo II contro ogni forma di terrorismo e contro singoli atti di terrorismo nei confronti di Israele sono stati numerosi e pubblici». E che «non sempre ad ogni attentato contro Israele è stato possibile far seguire subito una pubblica dichiarazione di condanna, e ciò per diversi motivi, tra l’altro per il fatto che gli attentati contro Israele talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale. Sarebbe stato pertanto impossibile condannare i primi e passare sotto silenzio le seconde».
La nota elenca numerose condanne e deprecazioni degli atti di terrorismo compiuti dal predecessore di Benedetto XVI; ma è comunque da notare, nelle parole di Navarro, la sottolineatura delle rappresaglie e degli atti contrari dl diritto internazionale di cui si è resa responsabile Israele. Anche questa precisazione appare un ulteriore elemento polemico, dal momento che il tema è delicato, e costituisce uno dei punti sensibili della politica israeliana, all’interno come all’estero.
Non è ancora chiaro perché la Santa Sede abbia deciso di reagire ieri all’intervista a Barkan, pubblicata il 26 luglio scorso; come d’altronde non è chiaro il perché di un attacco così violento contro la persona di Benedetto XVI prima, e di Giovanni Paolo II poi da parte d’Israele. «Anche nel ricordare gli inalienabili diritti del popolo palestinese - afferma la nota - il sommo pontefice ha ripetutamente stigmatizzato con parole inequivocabili l’inammissibilità dei metodi violenti che, mediante atti terroristici perpetrati nei confronti della popolazione civile israeliana, hanno impedito iniziative di pace poste in atto, lungo i trascorsi cinque lustri, da sagge forze politiche sia israeliane che palestinesi».
La Santa Sede parla di «penosa sorpresa», perché è passato «inosservato il fatto che, nei trascorsi 26 anni, la voce del papa Giovanni Paolo II si sia levata tante volte con forza e passione nella drammatica situazione della Terra Santa, a condanna di ogni atto terroristico e ad invito a sentimenti di umanità e di pace. Le affermazioni contrarie alla verità storica possono giovare solo a chi intende fomentare animosità e contrasti, e certo non servono a migliorare la situazine.
Soddisfazione per la crisi diplomatica tra Vaticano e Israele trapela dall'articolo di Fausto Della Porta pubblicato dal MANIFESTO, con l'assurdo titolo "Il papa contro Israele: accuse pretestuose ".

Al quotidiano comunista ci si arrrolerebbe persino in una crociata, se fosse contro Israele. Tanto che se non c'è, se la possono anche inventare.

Ecco il testo:

La bordata è arrivata violentissima e rischia di compromettere le future relazioni tra Israele e il Vaticano. In risposta alle accuse formulate dal governo israeliano lo scorso lunedì - in cui al papa Benedetto XVI si rimproverava di non aver menzionato gli attentati di Netanya nella generale condanna delle ultime azioni terroristiche pronunciata all'Angelus - la Santa sede ha diramato ieri una lunga nota di risposta. Una nota in cui vengono abbandonate le usuali perifrasi del linguaggio diplomatico per dare spazio a una presa di posizione durissima. Nel comunicato, in effetti, il Vaticano non solo non ritratta, ma ribadisce e rilancia. La nota inizia con una chiara precisazione: «Così come il Governo israeliano comprensibilmente non si lascia dettare da altri ciò che esso deve dire - dice il Vaticano - nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive da alcun'altra autorità circa l'orientamento e i contenuti delle proprie dichiarazioni».

Nel ricordare quanto gli interventi del precedente papa Giovanni Paolo II per condannare gli attentati contro Israele siano stati «numerosi e pubblici», il comunicato della Santa sede provvede poi ad aggiungere una notarella di non scarso rilievo: «Non sempre ad ogni attentato contro Israele è stato possibile far seguire subito una pubblica dichiarazione di condanna, e ciò per diversi motivi, tra l'altro per il fatto che gli attentati contro Israele talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale. Sarebbe stato pertanto impossibile condannare i primi e passare sotto silenzio le seconde». I rapporti tra lo stato vaticano e lo stato ebraico - rimasti tumultuosi fin dalla nascita di Israele, nel 1948 - avevano subìto un netto miglioramento durante il pontificato di Karol Wojtyla, che compì la storica visita a Gerusalemme nel marzo 2000, in cui chiese scusa per i crimini perpetrati contro gli ebrei in nome della Chiesa.

Gli inizi del pontificato di Benedetto XVI lasciavano credere che, rispetto ai rapporti con lo stato ebraico, il papa avrebbe seguito la linea indicata dal predecessore, tanto che il passato 6 luglio il premier israeliano Ariel Sharon ha invitato Joseph Ratzinger in Israele. In quell'occasione, il papa ha risposto che Israele è in cima alla lista dei luoghi che visiterà. Dopo le ultime esternazioni incrociate, è probabile che abbia cambiato idea.

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Riportiamo anche la cronaca di Umberto De Giovannangeli "Il Vaticano: nessuna lezione da Sharon". Più equilibrata di altre, presenta però come oggettive alcune infondate affermazioni del comunicato vaticano. u.d.g. scrive così che "il Vaticano ricorda che non sempre ha potuto condannare subito gli attentati contro Israele perchè questi «talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale» e "rileva" che "sarebbe stato pertanto impossibile condannare i primi e passare sotto il silenzio le seconde". "Ricorda" e "rileva", non "sostiene" e "afferma", come sarebbe stato più corretto.

Si noti anche il riferimento a Sharon nel titolo, impreciso, ma probabilmente tale da soddisfare i gusti di lettori prevenuti verso il premier israeliano (il vaticano rifiuta lezioni dal "macellaio" Sharon, è il sottointeso).

Ecco il testo:


«Così come il Governo israeliano comprensibilmente non si lascia dettare da altri ciò che esso deve dire, nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive da alcun’altra autorità circa l’orientamento ed i contenuti delle proprie dichiarazioni».
«Accusa pretestuosa» tanto da costringere a «spostare l’attenzione su asseriti silenzi di Giovanni Paolo II» e «dichiarazioni destituite di ogni fondamenta». È durissima l’ulteriore presa di posizione del Vaticano nella polemica israeliana contro Benedetto XVI per aver omesso di citare Israele tra le vittime dei recenti attentati terroristici. Tanto che il Vaticano ricorda che non sempre ha potuto condannare subito gli attentati contro Israele perchè questi «talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale». «Sarebbe stato pertanto impossibile - rileva la Santa Sede - condannare i primi e passare sotto il silenzio le seconde».
Il tono dei due documenti non è quello di chi si sente di dover giustificare un errore di omissione. La protesta di Gerusalemme ha lasciato il segno. E stavolta la Santa Sede ha deciso di «non porgere l’altra guancia». Nella forte reazione di ieri il Vaticano rigetta le accuse a papa Wojtyla di aver taciuto «contro gli attentati degli anni passati contro Israele» e riepiloga molte delle prese di posizione di Giovanni Paolo II contro il terrorismo contro Israele. «Anche nel ricordare gli inalienabili diritti del popolo palestinese - afferma la nota - il sommo pontefice ha ripetutamente stigmatizzato con parole inequivocabili l’inammissibilità dei metodi violenti che mediante atti terroristici perpetrati nei confronti della popolazione civile israeliana, hanno impedito iniziative di pace poste in atto, lungo i trascorsi cinque lustri, da sagge forze politiche sia israeliane che palestinesi». «Desta penosa sorpresa - incalza la Santa Sede -- che possa essere passato inosservato il fatto che, nei trascorsi 26 anni, la voce di papa Giovanni Paolo II si sia levata tante volte con forza e passione nella drammatica situazione della Terra Santa, a condanna di ogni atto terroristico e ad invito a sentimenti di umanità e di pace». «Le affermazioni contrarie alla verità storica - è la conclusione - possono giovare solo a chi intende fomentare animosità e contrasti, e certo non servono a migliorare la situazione». Ieri dunque il Vaticano ha bollato con insolita durezza le affermazioni del «signor Barkan» - il funzionario del ministero degli Esteri israeliano che illustrò al nunzio a Gerusalemme la «protesta verbale» circa l’Angelus papale del 24 luglio - e ha rispedito al mittente l’accusa di essere filopalestinese ed è tornato a rivendicare il proprio impegno per la pace in Terra Santa e contro il terrorismo. L’obiettivo difeso dalle note di ieri non è più soltanto Benedetto XVI, accusato lunedì di omissione dal governo israeliano, ma l’intera politica della Santa Sede nel conflitto mediorientale. Una politica che ha avuto in Karol Wojtyla uno dei suoi più convinti e attivi artefici. Fuori dall’ufficialità, fonti della Santa Sede ricordano la determinazione con cui Giovanni Paolo II lavorò per il suo storico viaggio in Israele e nei Territori palestinesi, il suo commosso discorso allo Yad Vashem, il mausoleo dell’Olocausto, e l’incoraggiamento alle parte in conflitto perché rilanciassero il dialogo. Le note del Vaticano difendono una memoria (quella del Papa scomparso) e una politica (in Medio Oriente): una difesa intransigente. Una difesa aggressiva.
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