A Sharm el Sheik hanno fallito i servizi egiziani
intervista a Yuval Shteinitz, capo della Commissione Esteri e difesa della Knesset
Testata:
Data: 25/07/2005
Pagina: 4
Autore: Umberto De Giovannanngeli
Titolo: E' stata la debacle dei servizi egiziani
L'UNITA' di lunedì 25 luglio 2005 pubblica a pagina 4 un'intervista di Umberto De Giovannangeli a Yuval Shteinitz, Capo Commissione Esteri e Difesa della Knesset, sull'attentato di Sharm el Sheik.

Ecco l'articolo:





«Il dolore e il rispetto per le vittime di un terrorismo disumano impongono di interrogarsi su alcuni aspetti inquietanti della strage di Sharm el-Sheikh; interrogativi che vengono alimentati anche da numerose testimonianze di sopravvissuti. Sharm el-Sheikh non è Londra; la popolazione e il territorio non sono quelli di una grande metropoli, in più Sharm era da tempo considerata dai servizi segreti egiziani uno degli obiettivi probabili dei terroristi islamici. Dalle prime analisi si può affermare che quel triplice attentato rappresenti un fallimento di preim'ordine per l'intelligence e i servizi di sicurezza egiziani. Un fallimento sospetto». A parlare è Yuval Shteinitz, presidente della Commissione esteri e difesa della Knesset, il parlamento israeliano.
La Comunità internazionale è sotto shock per la strage perpetrata dai jihadisti a Sharm el-Sheikh. Qual è in proposito la sua valutazione?
«Sharm giunge dopo Londra, Londra dopo Istanbul, Istanbul dopo Madrid…Cosa altro si deve attendere da parte della Comunità internazionale, di quella europea in particolare, per rendersi conto che il terrorismo jihadista ha scatenato una guerra mondiale contro il mondo libero? Di certo non si contrasta il terrorismo jihadista illudendosi di poter scendere a patti con le componenti più radicali dell'Islam politico. Per quanto riguarda specificamente gli attentati di Sharm el-Sheikh vi sono considerazioni specifiche che destano ulteriori preoccupazioni…».
Quali sono queste considerazioni e quali le preoccupazioni?
«Mi riferisco alla débacle dei servizi di sicurezza israeliani. Una débacle tanto più grave se si pensa che in circostanze simili un terribile attacco (gli attentati del 7 ottobre 2004 a Taba, ndr.) c'era già stato meno di un anno fa, e tutti i segnali di pericolo avrebbero dovuto lampeggiare in pieno, tanto più che i nostri servizi segreti avevano più volte allertato l’intelligence egiziana su rischi concreti di nuovi attentate in località turistiche. I segnali dovevano lampeggiare…».
Invece?
«Invece gli attentatori sono riusciti ad agire indisturbati. Attentati del genere non si preparano in un giorno. Hanno bisogno di un supporto logistico sul territorio, di una perfetta conoscenza degli obiettivi da colpire. Attentati di questa portata, in una località super presidiata, non possono essere portati a compimento senza poter contare su coperture all'interno dell'apparato di sicurezza»..
Un'accusa pesante la sua.
«Ma fondata su un'analisi oggettiva della dinamica dei fatti e basata anche sulle testimonianze di diversi sopravvissuti. Sharm el-Sheikh è disseminata di posti di blocco, i turisti vengono scortati da un posto di blocco all’altro dalla polizia, ma ciò non ha impedito agli attentatori di arrivare con le autobomba sui luoghi prescelti per gli attentati. C'è poi un altro dato di cui tener conto e riguarda il controllo del territorio. La popolazione dell'intero Sinai meridionale è pari ad appena qualche migliaio di anime. Ebbene, con una popolazione così limitata, diversamente da Londra, si dovrebbe essere in grado di controllare la situazione in termini di intelligence. Ecco perché quanto è avvenuto risulta stupefacente, e gli egiziani hanno alcune domande estremamente serie alle quali debbono rispondere».
Lei ha espresso forti riserve sul coinvolgimento dell'Egitto nel piano di ritiro israeliano da Gaza. Non si fida di Mubarak?
«Non si tratta di fare un processo alle intenzioni di uno statista ma di analizzare freddamente la situazione sul campo e non limitarsi alle parole. La maggior parte delle armi che arrivano alle organizzazioni terroristiche a Gaza vengono dal Sinai, dall'Egitto. È stato questo flusso continuo di armi ad alimentare la sanguinosa lotta che si è svolta in questi anni. E l'Egitto, al di là delle dichiarazioni d'intenti collaborative del presidente Mubarak, non ha fatto nulla per evitarla. Non dimentichiamo poi che stiamo parlando del coinvolgimento operativo dell'esercito arabo meglio addestrato, meglio armato e più numeroso e che l'Egitto, da anni, continua la sua corsa agli armamenti, pur trovandosi in una situazione economica durissima. E contro chi dovrebbe essere rivolta questa potenza bellica, visto che l'Egitto non è minacciato da nessun Paese confinante?».
Ma è minacciato, come emerge dalla strage di Sharm, dal terrorismo jihadista.
«Che si combatte innanzitutto facendo pulizia interna agli apparati di sicurezza spezzando ogni connivenza con i gruppi terroristi».
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