"Impiccati perchè gay" scrive in prima pagina sotto la fotografia dell'esecuzione il CORRIERE della SERA. Una di quelle immagini che resteranno indelebili negli archivi delle foto storiche. L'orrore che si prova nel vedere due giovani innocenti con il cappio al collo è indescrivibile. Succede in Iran, in un paese che con volontà criminale sta preparandosi a costruire la bomba atomica per poterla lanciare contro Israele. Non c'è solo Al Quaida ed i suoi derivati. C'è l'Iran dei mullah che ci ricorda la sua minacciosa esistenza con l'impiccagione di due giovani vite innocenti.
Ecco l'articolo:Due ragazzi, un diciottenne e un suo amico ancora minorenne, sono stati impiccati in una piazza centrale di Mashad, in Iran, davanti alla folla. Il crimine: avevano violentato un ragazzino di tredici anni. Ma per le associazioni che difendono i diritti dei gay, come la britannica Outrage e l'italiana Arcigay, l'accusa non era altro che «una cortina fumogena» ideata dalle autorità per giustificare la condanna inflitta ai due adolescenti. Uccisi soltanto perché gay.
Secondo Outrage, i due ragazzi avrebbero confessato la loro relazione omosessuale dopo prolungate torture. Per la stampa iraniana, i due, identificati solo con le loro iniziali M.A. e A.M., avrebbero ricevuto anche 200 frustate ciascuno per furto e perché avrebbero bevuto bevande alcoliche. La condanna a morte, confermata dalla Corte Suprema iraniana, è stata inflitta dai giudici della Corte numero 19 di Mashad, città nel Nordest del Paese, perché i due giovani avrebbero stuprato un tredicenne sotto la minaccia di un coltello.
Il sito dell'Isna, Agenzia di stampa studentesca dell'Iran ( http://isna.ir), ha pubblicato le foto dell'esecuzione, avvenuta in piazza Edalat (Giustizia). Si vedono i due poveretti mentre vengono trasportati, i polsi uniti dalle manette, in una gabbia sistemata su un camion: accanto ai condannati, in lacrime, i giornalisti iraniani cui è stato concesso di intervistarli.
«Non sapevamo di aver commesso un reato punibile con la morte — avrebbe affermato uno dei due —. Da noi la violenza è normale. Se potessimo tornare indietro, non lo faremmo più». Un'altra immagine mostra uno dei giovani, gli occhi già coperti da una benda, mentre viene condotto sul luogo dell'esecuzione. L'ultima ritrae il momento in cui i boia, il viso completamente nascosto dal passamontagna, sistemano il cappio intorno al collo: i due ragazzi non piangono più, sembrano rassegnati al loro inevitabile destino.
L'Iran è uno dei 58 Paesi che, nel mondo, applicano ancora la pena di morte. Nel regime degli ayatollah, le femmine possono essere impiccate a partire dai nove anni, i maschi a partire dai quindici. Normalmente, la pena capitale viene emessa per reati come l'omicidio, lo stupro, la rapina a mano armata, l'adulterio, il traffico di droga e l'apostasia. Dunque, nel caso dei due giovani, la condanna a morte sarebbe «giustificata» dallo stupro del tredicenne. Tuttavia, riporta il sito di Outrage ( www. outrage.org.uk), la notizia dell'esecuzione data per prima dall'agenzia Isna non farebbe alcun cenno al coinvolgimento di un tredicenne, citato invece dalla rivista Iran in Focus.
Perché, si chiede Outrage, tutta questa confusione nel riportare la notizia? E perché non viene mai citato il nome del tredicenne apparentemente coinvolto nella tragedia, quando, secondo la legge iraniana, anche le vittime dei reati sessuali devono comparire in tribunale?
In Italia, il deputato dei Ds Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, ha presentato ieri un'interrogazione parlamentare per chiedere al ministro degli Esteri Gianfranco Fini di intervenire sulle autorità di Teheran. Grillini «chiede al ministro degli Affari esteri se non intenda sottoporre alle autorità iraniane il disappunto del nostro Paese per le barbare esecuzioni di cui si è reso protagonista, se intenda invitare le autorità iraniane a non applicare la pena capitale, se non intenda avviare nell'immediato un forte intervento politico-diplomatico nelle istituzioni comunitarie e internazionali, per una moratoria universale contro la pena di morte».
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.SEMPRE SULL'IRAN RIPORTIAMO DA NOTIZIE RADICALE l'ARTICOLO DI DANIELE CAPEZZONE:
Nessuna mobilitazione (né di "pacifisti" né di "teocon"...) per Akbar Ganji?
Editoriale del venerdì per "Notizie Radicali" (si prega di citare la fonte) del segretario di Radicali Italiani.
di Daniele Capezzone
Akbar Ganji è allo stremo, al trentottesimo giorno di sciopero della fame: il dissidente iraniano, campione della lotta per la libertà in quel paese, da oltre sessanta mesi in carcere, vive sospeso tra la tenue speranza della grazia e il concreto, probabilissimo esito tragico della sua vicenda personale e politica.
Certo, fa una qualche impressione vedere cosa (non) accade in Italia, su questo. Nel paese (mi sposto lentamente da sinistra a destra nella geografia politica tradizionale) delle manifestazioni "per la pace" e delle bandiere arcobaleno, delle lacrimucce veltroniane con relativa (e sparuta) fiaccolata in Campidoglio, dei furori caldi e freddi dei teocon all'amatriciana, delle "guerre kulturali", delle mille riviste-testate-blog "liberal" (o "clerical"?), tutto ciò che si è letto su questo caso (a meno di mie omissioni) è un articolo corretto sul Foglio di qualche giorno fa, un buon pezzo di Alessandra Coppola (Corsera di ieri: e meno male che è stato pubblicato, ma attenzione, nel "taglio basso" di pagina 13) e un post nel meritorio blog di Federico Punzi. Fine.
Eppure, la storia è straordinaria, anche per la forza e la dignità con cui Ganji combatte la sua battaglia: i tiranni iraniani gli hanno fatto sapere che deve "chiedere" la grazia, ma lui risponde che non è disposto a "imparare la lezione" se questo significa rinunciare alle sue idee. Negli Stati Uniti, oltre a Michael Ledeen e a chi è più tradizionalmente attento ai democratici iraniani, si sono mossi il New York Times e il Wall Street Journal, e lo stesso Bush ha inviato a Ganji parole importanti. Per ora, purtroppo, solo parole: ma almeno quelle sono venute. Quanto a Kofi Annan, continua invece a coprirsi di vergogna: avendo ricevuto il medesimo appello consegnato a Bush, ha fatto sapere di non "sapere abbastanza per potersi esprimere". Come le tre scimmiette, che non vedono, non sentono e -quindi- non parlano.
Tornando all'Italia, chi invece mostra di "sapersi esprimere" (ma in che direzione...) sono quelli di "Tempi", l'organo di Comunione e liberazione, che, la scorsa settimana, ha dedicato un ampio ed elogiativo servizio nientemeno che a Mahmoud Ahmadinejad, l'ex sindaco di Teheran che ora guida l'Iran. E questo pericoloso integralista viene amabilmente qualificato come un "duro moderato", un radicale ma "con la testa sulle spalle", insomma, come un interlocutore in fondo positivo. Capisco che da quelle parti (dopo Tarek Aziz, dopo le liste di Oil for food) la storia di relazioni mediorientali è lunga, ha un passato e -mi pare- anche un futuro. Però, a volte, bisognerebbe riconoscere che il limite è stato raggiunto. O no?
E intanto, quello che -secondo il Wall Street Journal- assomiglia sempre più al Vaclav Havel iraniano (o, si aggiunge su un piano diverso ma altrettanto significativamente, a Martin Luther King) muore nel silenzio. E, anche, di silenzio.
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