L'università dove ci si laurea in arabo con la tesi sul testamento del terrorista suicida
il commento di Dimitri Buffa a una notizia imbarazzante
Testata: Corriere della Sera
Data: 20/07/2005
Pagina: 1
Autore: redazione
Titolo: La tesi di Francesca e il testamento di Fahad il kamikaze
Un articolo tratto dalle pagine dedicate a Roma del CORRIERE DELLA SERA di mercoledì 20 luglio 2005
Un kamikaze affida il suo testamento a Internet, prima di farsi esplodere in Egitto. Francesca Mangione, laureanda in arabo alla Libera Università S. Pio V, trova quelle sei pagine sul sito «la Voce della Jihad», le traduce e le usa per la tesi. Diventa l'unica depositaria degli ultimi pensieri di Fahad Ad-Dakyil: saudita e shahyd, «combattente che sceglie il martirio per testimoniare l'ingiustizia di cui è vittima l'Islam».
I giornali pubblicano le immagini dell'attentato di un kamikaze in Egitto, rivendicato poi da Al Qaeda. Francesca Mangione, ventidue anni, deve laurearsi in lingua araba e scegliere la sua tesi. Comincia così a navigare tra i siti islamici per cercare di capire come un uomo possa decidere di chiudere il proprio corpo in un sudario di esplosivo. Ma non è semplice, i siti sono criptati. All'improvviso Francesca piomba tra le righe della rivista militare islamica «Sawt al-jihad», «la voce della Jihad», la guerra santa dei combattenti di Allah.
Tre anni di studio di lingua araba e l'intenzione di specializzarsi come interprete alla Libera Università S. Pio V di Roma, l'unica in Italia a concedere questo titolo, le consentono di leggere quella scrittura che va da destra a sinistra. Trova così il testamento di un kamikaze, Fahad Ad-Dakhyl. Francesca fa appena in tempo a scaricare il testo che il sito viene oscurato. Ora è lei l'unica depositaria di quelle sei pagine scritte fitto fitto. Con il suo relatore, Salim Michel Ghostine, docente alla Pio V, inizia a tradurre il testamento.
«Sono entrata nella mente di un mujahidin -racconta Francesca - . È come se ci fossimo conosciuti. Fahad è un saudita di buona cultura che scrive senza errori, è sposato con dei figli. Non fa sapere il luogo dell'attentato ma firma il suo testamento "23 Rajab 1425" del calendario islamico, che corrisponde al nostro 23 luglio 2004». Dopo la preghiera, Fahad spiega le motivazioni che lo hanno reso un «shahyd», cioè un combattente che sceglie il martirio per testimoniare l'ingiustizia di cui è vittima il mondo islamico. «Il mujahidin prima del martirio ha avuto un addestramento militare e spirituale, il suo testo è pieno di riferimenti coranici». Francesca poi punta un dito tra le parole arabe: «Fahad è spinto innanzitutto da motivazioni religiose, lui combatte contro gli ebrei, i cristiani e tutti i miscredenti, perché non esiste altro Dio al di fuori di Allah. Fahad quindi si rivolge con ira ai i governanti dell'Arabia Saudita - prosegue Francesca-. Il tono è pieno di rabbia e voglia di fare giustizia. Il kamikaze scrive che il suo paese è stato colonizzato dall'Occidente che ha corrotto i giovani. Poi punta l'indice contro il governo saudita che si è alleato con gli americani. L'attentatore fa poi riferimento ai 55 miliardi di dollari con cui i sauditi hanno coperto le spese della guerra nel Golfo nel '90, per liberare il Kuwait invaso dall'Iraq. Il martire - racconta Francesca - chiama i suoi governanti «Al-Salul», il nome di un clan preislamico che osò cedere per soldi la custodia della sacra pietra nera della Mecca a un'altra tribù. L'uomo quindi si rivolge agli Ulema (i i depositari e tutori della legge musulmana) e li accusa di complicità, di non rendersi conto che è scoppiata una guerra tra l'Islam e gli «empi».
Per il kamikaze l'unica salvezza è la jihad, la guerra santa. Lui stesso si considera un soldato, e non un suicida». Fahad quindi parla dei bambini iracheni uccisi, del massacro dei ceceni, dei prigionieri torturati a Guantanamo, dell'«empio» stato di Israele sostenuto dall'America e ricorda due mujahidin uccisi dai sauditi corrotti, uomini di Bin Laden ricercati per numerosi attentati e per una presunta collaborazione alla strage dell'11 settembre. «Infine Fahad si rivolge alla famiglia, chiede di accettare il destino che Allah ha scelto per lui. Infine chiede ai fedeli di sostenere sempre i mujahidin,. Nella guerra globale del Bene contro il Male e il fedele musulmano sa da che parte schierarsi».
Di seguito, il commento di Dimitri Buffa:

Si parla spesso di educare all'odio e di cattivi esempi che vengono ex
catedra.
Chissà l'imbarazzo che avrà provato Magdi Allam oggi a leggere sulla prima
pagina e la sesta della cronaca di Roma del Corriere della Sera di cui è
vicedirettore un articolo, a mio avviso, inspiegabile, dal
messaggio ambiguo e dal contenuto anche un po' farneticante, così
intitolato: "Francesca, l¹arabo imparato sul testamento di un kamikaze".
Quale era la notizia? Che una certa Francesca Mangione si era laureata in un
corso di lingua araba alla libera Università San Pio V di Roma, presentando
una tesi che parte dalla traduzione del testamento di un kamikaze saudita,
tale Fahad al Dakhil fattosi esplodere in Egitto (la terra natale di Magdi
Allam, per inciso), "per testimoniare l¹ingiustizia di cui è vittima
l¹Islam".
Sembra di sognare: noi italiani, noi europei, che chiediamo agli islamici di
vigilare su chi propaganda l'odio nelle moschee e poi facciamo l'apologia
dei kamikaze nelle nostre università dove si insegna l'arabo? E poi che
notizia era questa data con così grande rilievo dal Corriere nella edizione
della cronaca romana?
Forse che la signorina Francesca Mangione, la cui foto troneggia nella prima
e nella sesta pagina della cronaca di Roma del Corsera ha scelto la
scorciatoia politically correct per laurearsi traducendo, invece che un
pezzo de "La bilancia dell¹azione" del filosofo al Ghazali piuttosto che un
brano di "Kalila e Dimna" di Ibn al Muqaffa, un banale e delirante
testamento di un assassino suicida rimediato su internet? Ma ci facci il
piacere, direbbe Totò. Anche se nella fattispecie non c'è niente da ridere.
In tutto l¹articolo non esiste una parola che deprechi quell'atto pazzesco
che è uccidersi per uccidere gli altri e anzi, a leggere le giustificazioni
morali che si danno, sembra di sognare: sta a vedere che gli "stronzi" siamo
noi occidentali che non abbiamo capito il turbamento interno del kamikaze.
Ignoro se nella tesi della Mangione questi accenti di condanna del
terrorismo suicida esistano e la giornalista non li abbia riportati,
compiacendosi solo del contenuto del testamento del kamikaze. O se invece
erano del tutto assenti.
Certo l'Università privata San Pio V, la studentessa, il professore che ha
accettato di discutere questa banalissima tesi di laurea con effetti
speciali filo terroristici e da ultimo anche la cronista che riporta la cosa
come se fosse un fenomeno di moda estivo, tipo il sudoku, da commentare con
leggerezza, non ci fanno una bella figura.
Ripeto: nel momento che chiediamo agli islamici presenti in Europa di fare
quello che abbiamo invano chiesto di fare agli uomini del movimento della
sinistra antagonista negli anni '70, ossia isolare i fanatici e denunciare i
fiancheggiatori del terrorismo, non possiamo contemporaneamente esaltare le
gesta di un kamikaze saudita e le presunte motivazioni della sua follia
per usare una comoda scorciatoia politically correct per laurearsi in lingua
araba. E poi darne anche pubblicità su un giornale di rilievo nazionale come
se la signorina Mangione avesse tradotto il Corano o qualche testo della
sapienzialità arabo islamica che grazie a Dio ha poco a che vedere con
questo terrorismo.

Dimitri Buffa

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