Il CORRIERE DELLA SERA di mercoledì 20 luglio pubblica in prima pagina un'intervista di Bernard Gwertzman a Henry Kissinger, sul pericolo rappresentato dall'Iran e dai suoi progetti nucleari.
Ecco il testo:«Non escludo un intervento militare contro l'Iran — dice Henry Kissinger —. Dobbiamo fermare Teheran, ed è giusto lasciare che siano gli europei a negoziare. Ma ci dovremmo chiedere come sarebbe il mondo se le bombe di Londra fossero state atomiche».
Dottor Kissinger, che cosa ci insegnano le bombe di Londra?
«La guerra al terrorismo non può essere efficace nel senso di prevenire qualsiasi attacco. Per fare un attacco di questo genere sono occorse cinque persone, ma probabilmente settimane di preparazione. Non penso che la guerra al terrorismo si possa misurare in base alla possibilità di evitare ogni attentato. Credo peraltro che gli attacchi di Londra segnino una sconfitta della guerra al terrorismo, perché hanno portato per la seconda volta la guerra in Europa (dopo le bombe di Madrid dell'11 marzo 2004), e l'hanno portata in un Paese che non è ambiguo nel reagire agli attacchi sul suo territorio. Ma credo anche che quest'azione avrà il risultato di ridurre notevolmente le risorse che i terroristi hanno all'interno dell'Inghilterra, quali che siano, e probabilmente obbligherà gli europei ad avere un atteggiamento più coerente, almeno nei confronti degli atti terroristici in Europa».
Gli attentati di Londra sono collegati all'Iraq?
«Gli attacchi al World Trade Center sono avvenuti prima dell'Iraq. In effetti assai prima dell'Iraq c'è stata tutta una serie di attacchi agli Stati Uniti. E ci sono stati atti di terrorismo in Indonesia, Tunisia, Marocco, tutti senza collegamento alcuno con l'Iraq. L'Iraq senza dubbio ha contribuito al reclutamento, ma il conflitto di fondo va ben al di là dell'Iraq».
Che cosa dovremmo fare con l'Iraq ora?
«Ho appoggiato la decisione di intraprendere un'azione militare contro l'Iraq per le seguenti ragioni: non capivo come si potesse pensare di fare la guerra al terrorismo e lasciare intatto un governo che aveva il più grande esercito della regione, le maggiori entrate potenziali per il petrolio e le maggiori risorse per appoggiare il terrorismo, e che con la sua stessa esistenza dimostrava simbolicamente che si potevano sfidare gli Stati Uniti con 17 violazioni di un ordine di sospensione delle ostilità stabilito dall' Onu; inoltre credo, come Clinton, Bush, e tutti i funzionari dell'intelligence che ho incontrato, che abbiano avuto armi di distruzione di massa. Non condividevo l'opinione che dopo la vittoria ci si potesse comportare in maniera analoga a quel che si era fatto con l'occupazione della Germania. Ritenevo che l'occupazione della Germania e del Giappone fosse avvenuta in Paesi con una struttura e una storia nazionale coerenti. Non pensavo che l'Iraq fosse una nazione nel senso che si attribuiva ai Paesi europei o al Giappone. E per questa ragione, avrei preferito il metodo di indurre qualcuno ad arrendersi e a formare un governo, e poi creare un qualche tipo di struttura Onu in cui forze dell'Onu proteggessero i confini e aiutassero questo governo nella fase di crisi, piuttosto che vedere gli Stati Uniti assumersi la responsabilità di ricostruire il Paese in forme democratiche. Dato che è stata scelta l'altra via, ora credo sia indispensabile portarla al successo».
C'è stato un mucchio di retorica da parte dell'amministrazione Bush sulla democrazia e le riforme nel mondo arabo. Non siamo troppo idealisti?
«Per gli Stati Uniti è importante sostenere qualcosa di diverso dalla mera dimostrazione di forza. Sono d'accordo in questo. Sarei più cauto sulla capacità di mettere in atto a breve termine la cosa come programma dell'amministrazione. E sarei ancora più cauto nell'andare a coinvolgerci nelle questioni particolari dei diversi Paesi a cui abbiamo la tendenza a tenere lezioni. Sono quindi d'accordo sull'idea, e sull'atteggiamento, ma è importante tenere a mente che dobbiamo anche appoggiare la stabilità. È difficile farlo in tutti i Paesi, ma nel caso dell'Iran sembrerebbe possibile, anche se si potrebbe dire che, storicamente, i tentativi di forzare la democrazia durante l'amministrazione Carter hanno prodotto l'ayatollah Khomeini, o hanno contribuito a produrlo. Così la linea da seguire deve essere tracciata con molta attenzione».
Che cosa pensa dell'attuale linea politica che cerca di fermare l'arricchimento dell'uranio in Iran attraverso negoziati?
«Sono d'accordo sul fatto che dobbiamo cercare di fermarli e probabilmente, come tattica, è molto utile lasciare che siano gli europei a condurre il negoziato e limitarci a sostenerli. Ma il fatto è che, in un futuro relativamente prossimo, dovremo decidere se questi negoziati stiano funzionando o se non siano semplicemente un modo di legittimare la prosecuzione del loro programma. Ciò darà adito ad accese discussioni. Poi dovremo decidere, assieme ai nostri alleati, che misure prendere, e dovremo affrontare la questione di quel che siamo disposti a fare per impedire che in Iran si costruiscano armi nucleari. L'Iran ci porterà probabilmente a superare il punto fino al quale la politica di non proliferazione aveva senso, oltre il quale si vivrà in un mondo fatto di molti centri nucleari. E ci dovremmo chiedere come sarebbe il mondo se le bombe di Londra fossero state atomiche e avessero ucciso 100.000 persone».
Ho ragione a pensare che non è del tutto contrario ad attuare qualche tipo di intervento militare?
«Non sono contrario all'idea, ma penso che debba essere considerata con molta attenzione».
Sarebbe un bel problema.
«Non lo sto consigliando, ma, d'altro canto, è una faccenda seria permettere che nel mondo si moltiplichino centri di detenzione di armi nucleari senza limitazioni. Non consiglio un intervento militare, ma neanche lo escludo».
Council on Foreign Relations www.cfr.org (Traduzione di Maria Sepa) SUL PODIO Henry Kissinger, 82 anni, è stato segretario di Stato Usa dal 1973 al '77, con i presidenti Nixon e Ford (Ap/Frank Wiese)
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