La marcia antiritiro bloccata dall'esercito
le cronache scorrette di tre quotidiani
Testata:
Data: 20/07/2005
Pagina: 18
Autore: Alberto Stabile - un giornalista - Ugo Tramaballi - Eric Salerno
Titolo: Israele, Sharon paralizza i coloni - Nuovi scontri tra Anp e Hamas - Gaza, la protesta in gabbia - L'ira dei coloni: forzeremo l'assedio
LA REPUBBLICA di mercoledì 20 luglio 2005 pubblica a pagina 18 l'articolo di Alberto Stabile "Israele, Sharon paralizza i coloni", che riportiamo.
Il villaggio è un piccolo eden inatteso, con gli agrumeti che spaziano a vista d´occhio e i cipressi che fanno ombra alle case. Un bel posto, fresco, rigoglioso, sulla soglia dell´inferno di Gaza. È qui che i guerrieri contro il ritiro avevano deciso di sostare prima del balzo finale verso il Gush Katif, l´assalto vittorioso che avrebbe mandato all´aria i piani di Sharon. Invece, si sono messi in una trappola da soli, circondati da migliaia di poliziotti e di soldati disposti, come dice il capo della polizia Moshè Karadi, «a lasciare loro una sola via d´uscita, quella verso casa».
Sono le quattro e mezzo del pomeriggio quando il cerchio si chiude intorno ai dimostranti. Per tutta la notte precedente e la mattina, i capi della rivolta hanno voluto offrire alle telecamere immagini rassicuranti di dirigenti responsabili che non cercano lo scontro. Fermi nelle loro pretese, ma pronti al dialogo, al negoziato. Ma era pura apparenza, perché mai gli organizzatori della marcia su Gaza hanno rinunciato all´obiettivo della manifestazione. Che era e resta quello di raggiungere il passaggio di Kissufim, distante una dozzina di chilometri, penetrare nel Gush Katif, blocco di 17 insediamenti che dovrà essere evacuato a partire dal 17 agosto, e unirsi alle migliaia di coloni che, dall´interno del Blocco, si dicono pronti a resistere ai soldati, così intralciando la macchina del ritiro fino a renderlo impossibile.
I cancelli di Kfar Maimon, il moshav del tutto ignoto alle cronache israeliane se non per il fatto che conta tra i suoi abitanti Yitzhak Levy, leader storico del Partito Religioso Nazionale, sono rimasti aperti fino a quell´ora fatale. Ma pochi, pochissimi rinforzi sono giunti a dar man forte all´esercito dei coloni anti-ritiro. Con tutto il rispetto per le cifre fornite degli organizzatori, che parlano di trenta o quarantamila persone, è più vicina al vero la polizia quando dice che nel villaggio agricolo ai confini della Striscia non c´erano più, nel pomeriggio, di sette o ottomila marciatori.
«Stiamo preparando un programma di lunga durata. Noi raggiungeremo Gush Katif senza ricorrere alla violenza e combatteremo lì per tutte le notti che sarà necessario», grida al megafono il capo del Yesha, il Consiglio supremo degli insediamenti, Benzi Lieberman. Come dire, non abbiate paura, anche se saremo fermati, ripartiremo. Gruppi di giovani si avvicinano ai cancelli. La polizia prende posizione.
Poco più in là, sotto a un cartello con la fotografia di Sharon e la scritta «Il ritiro non ti salverà», un altro dei leader della rivolta, Pinchas Wallerstein, uno dei pochi a non vestire di arancione, spiega la strategia: «Vogliamo che nelle prossime settimane polizia ed esercito siano continuamente impegnate». Dall´esterno, con dimostrazioni di forza come questa, e dall´interno, con il crescere ed il moltiplicarsi dei casi di disobbedienza agli ordini.
Nel furore ideologico dei coloni, esercito e polizia non sono corpi dello Stato incaricati di difendere la nazione dai nemici interni ed esterni, ma docili strumenti nelle mani del «despota» Sharon, al servizio, cioè, di un disegno di dominio personale.
«Cosa fate qui?», grida un giovane venuto dall´insediamento di Yitzar, in Cisgiordania, quasi passando in rassegna la prima fila di agenti schierata davanti ai cancelli del Moshav. «Sedetevi per terra! Disubbidite agli ordini! Ricordatevi che ebreo non caccia ebreo!».
Nella folla dei dimostranti, qualcuno indica come un vip un uomo ancora giovane. È Lior Katzav, il fratello minore del Presidente Moshè Katzav, ex sindaco (Likud) della cittadina non lontana di Kiriyat Malakhi, venuto a portare la propria solidarietà ai marciatori che sfidano la sovranità dello Stato. Ed è singolare che il fratello del Presidente dica d´esser venuto «in rappresentanza di tutta la famiglia che non può venire».
È una delle tante voci stonate che si sono levate in queste ore, dopo che la polizia, lunedì mattina, ed anche ieri, ha bloccato in partenza decine di autobus pieni di dimostranti diretti a Gush Katif. L´organizzazione per la Difesa dei diritti Civili ha lamentato una seria violazione alle garanzie di libertà, ignorando che la manifestazione era stata vietata e che essa rappresentava, e rappresenta, prima ancora che una violazione del principio di sovranità dello Stato, una rottura del patto di solidarietà tra il sionismo religioso, la società laica, lo Stato.
Da un altoparlante collegato a una macchina delle Forze dell´Ordine, parte l´invito a sciogliere la manifestazione. «Questa manifestazione è finita. È illegale. Scioglietela, disperdetevi pacificamente, vi saranno offerti gli autobus per ritornare a casa». Una prima avanguardia di giovani accenna a superare lo sbarramento. Volano pugni e spintoni. Tre agenti sono contusi. Una ventina di dimostranti vengono fermati.
I cancelli di Kfar Maimon sono sbarrati. Sei brigate di soldati, migliaia di uomini, circondano i confini del piccolo villaggio.
Si riunisce il politburo della protesta, per decidere le prossime mosse. Affiorano due possibilità: forzare il blocco nottetempo, approfittando della stanchezza dei militari e dirigere su Gush Katif, con la certezza di andare allo scontro, oppure congelare la situazione e cercare di trasformare Kfar Maimon nella Tienanmen dei coloni in rivolta. Entrambe le scelte appaiono possibili, mentre si allungano le ombre della sera.
Il breve articolo "Nuovi scontri tra Anp e Hamas" racconta invece ciò che accade tra "I palestinesi" (occhiello).

Ecco il testo:

GAZA - Mentre l´esercito israeliano cerca di fermare gli estremisti dell´ultradestra, esplode la tensione nel campo palestinese. Si fa più serio il rischio di una guerra civile, e non sembra avere risultati la missione egiziana che cerca di metter pace tra le fazioni. Ieri, a nord e sud di Gaza si sono avuti scontri tra agenti dell´Autorità nazionale palestinese e militanti di Hamas, questi ultimi protagonisti negli ultimi giorni di lanci di missili contro le colonie. La novità è la discesa in campo al fianco del presidente Abu Mazen delle Brigate Al Aqsa, il gruppo armato vicino ad Al Fatah. Tra le fazioni ci sono stati duri scontro a fuoco con decine di feriti. La sparatoria è iniziata quando i poliziotti dell´Anp hanno cercato di impedire il lancio di altri razzi Qassam verso postazioni israeliane da parte degli integralisti islamici. E a Rafah, anche molti civili palestinesi hanno cercato di impedire ai militanti di Hamas di sparare contro i coloni.
Osserviamo intanto la spropoporzione, per altro comune a tutti i giornali, tra lo spazio dedicato alla pacifica protesta dei coloni e quello dedicato ai gravi avvenimenti di Gaza, nei quali decine di palestinesi sono rimasti feriti nel corso di scontri a fuoco.

L'articolo di Stabile non fa nemmeno cenno a questi avvenimenti.
Complessivamente, più che una cronaca, è una lunga requisitoria contro i coloni e il movimento antiritiro.
"Nel furore ideologico dei coloni" scrive Stabile "esercito e polizia non sono corpi dello Stato incaricati di difendere la nazione dai nemici interni ed esterni, ma docili strumenti nelle mani del «despota» Sharon, al servizio, cioè, di un disegno di dominio personale", affermazione non certo vera per tutti i coloni, in compenso calzante se riferita a molte cronache che hanno descritto l'esercito israeliano impeganto nel conflitto con i terroristi palestinesi come l'esecutore dei piani criminali del "boia" Sharon.
Ora che si confronta con la protesta pacifica dei coloni, invece, esercito e polizia tornano ad essere "corpi dello Stato incaricati di difendere la nazione dai nemici interni ed esterni" e i coloni diventano automaticamente "nemici dello stato".
Stabile si schiera perfino con l'esercito israeliano contro l'organizzazione per la Difesa dei diritti Civili, il che sembra quasi una bestemmia per un giornale come REPUBBLICA.
Ma questa volta i difensori dei diritti civili sono rei di aver "lamentato una seria violazione alle garanzie di libertà, ignorando che la manifestazione era stata vietata e che essa rappresentava, e rappresenta, prima ancora che una violazione del principio di sovranità dello Stato, una rottura del patto di solidarietà tra il sionismo religioso, la società laica, lo Stato".
Comunque la si pensi sul ritiro da Gaza e sull'opportunità di bloccare la marcia dei coloni non può non colpire il voltafaccia di Stabile: se una manifestazione è vietata, sostiene ora, bloccarla non viola le garanzie di libertà di nessuno. Vale anche per le manifestazioni palestinesi, per esempio quelle contro la barriera di sicurezza che contemplano anche il lancio di sassi contro i soldati israeliani?
L'altra motivazione con la quale Stabile rigetta la denuncia dell'organizzazione per la Difesa dei diritti Civili è evidentemente totalemnte politica, e come tale, del tutto inaccettabile: una manifetazione, in una democrazia liberale, può essere proibita per motivi di ordine pubblico e di sicurezza (evidenti nel caso del ritiro da Gaza), non perché, a giudizio insindacabile di una parte politica ( o, addirittura, della stampa estera) "tradisce" un qualche "patto" sociale o politico.


IL SOLE 24 ORE affida la cronaca della marcia antiritiro a Ugo Tramballi, che coglie l'occasione per descrivere Gaza come un luogo di "apartheid".
Nel'articolo "Gaza, la protesta in gabbia", scrive infatti:

Il blocco di Katif, nel quale vive la maggioranza dei 7.550 coloni ebrei di Gaza, è un fronte senza soluzione di continuità di villette, verde eserre, che separa dal mare i 300 mila abitanti della città e del campo profughi di Khan yunis. Apartheid non è una definizione sbagliata.
Lo è eccome, dato che l'apartheid era una minuziosa legislazione che proibiva i conttatti tra minoranza bianca e maggioranza di colore in Sud Africa.
A Gaza e in Cisgiordania è invece la minaccia del terrorismo a imporre ai coloni di vivere in parte separati dalla popolazione palestinese.

IL MESSAGGERO pubblica a pagina 11 l'articolo di Eric Salerno "L'ira dei coloni: forzeremo l'assedio", nel quale viene istituito un paralleo insensato tra il confronto dell'esercito israeliano con la protesta pacifica antiritiro e quello con il terrorismo palestinese.
Leggiamo infatti:

Se i soldati schierati a Kfar Maimon sono in gran parte disarmati e anche la maggioranza dei coloni sono arrivatis enza fucili atracolla e pistola la fianco) e spssso sorridenti quando confrontano i dimostranti, le truppe che si incontrano a Ovest sono pronte a uno scontro vero.
I soldati sono disarmati e la maggior parte dei coloni anche, è appunto perché la protesta è pacifica. Il parallelo con le possibili operazioni a Gaza, da dove partono continui bombardamenti terroristici su obiettivi civili israeliani, è dunque assurdo.

I terroristi di Hamas e Al Fatah sono definiti nell'articolo "miltanti" e "miliziani". Si afferma inoltre falsamente che il bombardamento di Neveh Dekalim da parte di Hamas non ha provocato "danni materiali".

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