Un rapporto che non dice, e non potrebbe mai dire, quello che gli viene fatto dire
da cronisti e redattori dei due quotidiani
Testata:
Data: 19/07/2005
Pagina: 6
Autore: Marco Imarisio - Daniele Castellani Perelli
Titolo: Il Royal Institute bacchetta Blair Paghiamo le scelte di guerra - Cosa abbiamo guadagnato dalla guerra in Iraq
Il CORRIERE DELLA SERA di martedì 19 luglio 2005 pubblica a pagina 6 un articolo di Marco Imarisio sul rapporto della Chatham House (o Royal Insitute of International Affairs) sul terrorismo.
Vi si sostiene, come hanno fatto i media inglesi e lo stesso governo britannico nella sua replica, che il rapporto individuerebbe un rapporto di causa ed effetto tra guerra in Iraq e terrorismo.
Ma Frank Gregory, uno degli estensori del rapporto, in un'intervista a Europa spiega che non è così. Dichiara infatti:
"noi non abbiamo assolutamente istituito un collegamento tra la guerra in Iraq e le bombe londinesi del 7 luglio. Più precisamente non era proprio possibile fare quel collegamento perchè la ricerca si e conclusa nel dicembre 2005, e questo è il primo motivo. il secondo è che non sappiamo ancora quali siano le motivazioni dei terroristi".
Dunque la notizia, così come viene data, non corrisponde a verità. E il rapporto, così com'è descritto... non potrebbe neanche esistere.
Osserviamo che Europa, nonostante registri le dichiarazioni di Gregory, non solo titola "Cosa abbiamo guadagnato dalla guerra in Iraq", ma sceglie anche questo ancor più sbilanciato occhiello: "Intervista a Frank Gregoy, autore dello studio che mette in relazione le bombe di Londra con il conflitto".
Ecco il testo dell'articolo del CORRIEREL'Inghilterra è il passeggero sul sedile posteriore, quello che non può intervenire, va dove lo porta il guidatore. Nella guerra al terrore, il suo ruolo è questo, mentre al volante c'è ovviamente l'America.
La metafora è piuttosto dura da digerire per Tony Blair. «Il problema chiave è che il nostro governo ha gestito le politiche di lotta al terrorismo spalla a spalla con gli Stati Uniti, non nel senso di un eguale potere decisionale, ma piuttosto come un passeggero sul sedile posteriore, costretto a lasciare ogni iniziativa all'alleato che tiene il volante in mano». Il rapporto del Royal Institute for International Affairs crea imbarazzo nel governo britannico. A sorpresa, offre argomenti ai detrattori della politica estera del New Labour, usando parole pesanti. Come queste: «Il supporto e la partecipazione alla guerra in Afghanistan e in Iraq hanno senza dubbio aumentato a dismisura la minaccia terroristica nel Regno Unito».
L'istituto, fondato nel 1920, conosciuto soprattutto come Chatam House Organisation, è serio. Il più importante think tank inglese, composto da accademici e funzionari governativi di ogni credo politico, stimato e rispettato a livello internazionale. Nel 2000 venne pubblicamente lodato anche da Blair, per «l'acutezza delle analisi». Ma era prima dell'11 Settembre e della guerra in Iraq. Nel rapporto pubblicato ieri e lungo appena 8 pagine, gli analisti di Chatam House trovano un nesso di causa ed effetto tra l'intervento inglese in Iraq e la minaccia terroristica in Inghilterra. La tesi contro cui Blair si è battuto strenuamente prima e dopo la strage del 7 luglio a Londra. Appena due giorni fa il primo ministro ha affermato che gli attentatori sono stati guidati dalla loro fede nell'Islam, e non dalla guerra in Iraq. «Non c'è dubbio — si legge invece nello studio — che la situazione in Iraq ha imposto particolari difficoltà al Regno Unito, fornendo al tempo stesso ad Al Qaeda un propellente per la propaganda e il reclutamento».
Lo studio è stato ultimato prima degli attacchi alla capitale inglese. Ma gli autori l'hanno subito attualizzato: «Gli attacchi del 7 luglio rappresentano l'essenza della minaccia terroristica di cui le autorità inglesi erano consapevoli dall'11 Settembre», hanno detto i professori Frank Gregory e Paul Wilkinson. Come a dire che nessuno deve meravigliarsi di quello che è successo. Il terrore di Londra dunque è «il prezzo da pagare per essere andati in guerra», scrivono i due docenti universitari (insegnano rispettivamente alla Southampton e alla Saint Andrews University). Nel rapporto viene sottolineato come l'Inghilterra corra «un rischio elevatissimo» a causa del ruolo svolto in Afghanistan e in Iraq come principale alleato degli Stati Uniti. Più chiaro di così.
Il rapporto analizza i quattro pilastri della risposta britannica al terrorismo internazionale: prevenzione, caccia, protezione e preparazione. Le conclusioni non sono esaltanti neppure per gli apparati di sicurezza. «Servizi segreti e polizia sanno che a partire da metà degli anni '90 Londra è stata sempre più usata come una base per gli estremisti coinvolti nella progettazione di attentati nel Medio Oriente e altrove. Ma questi personaggi non sono mai stati percepiti come una minaccia... il risultato è che le autorità britanniche non si sono mai rese conto del pericolo rappresentato da Al Qaeda».
Il rapporto ha ridato fiato ai pochi che dopo il 7 luglio hanno contestato la posizione di Blair, capeggiati dall'ex ministro laburista Claire Short. La replica di Downing Street è stata affidata ad un portavoce: «Lavoriamo con gli americani perché sono il nostro migliore alleato, con il quale abbiamo un rapporto alla pari. Crediamo che questo sia nell'interesse della Gran Bretagna, del mondo e dei popoli di Afghanistan e Iraq». La risposta si concentra soprattutto sul ruolo dell'Inghilterra rispetto agli Usa. Perché quel posto sul sedile posteriore è la vera spina nel fianco di Blair.
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