La verità su Tariq Ramadan e sui Fratelli Musulmani, luoghi comuni confutati
alcuni errori da non fare se si vuole davvero vincere al guerra la terrorismo islamista
Testata:
Data: 18/07/2005
Pagina: 1
Autore: un giornalista - Fiammetta Venner - Carlo Panella
Titolo: Londonistan, arriva Tariq - Fidarsi dei Fratelli musulmani? Scelta alla Chamberlain - Vedemecum dei luoghi comuni che non resisteranno alla Jihad
IL FOGLIO di sabato 16 luglio 2005 pubblica in prima pagina l'articolo "Londonistan, arriva Tariq", che offre un ritratto dell'islamista Tariq Ramadan. Il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 18 luglio 2005 pubblica invece un'intervista a Ramadan che, nonostante tutto ciò che sul suo conto è ormai noto,lo presenta come un interlocutore rispettabile.
Londra. E’ già venuto in Inghilterra almeno
cinque volte, Tariq Ramadan. Ora il controverso
professore svizzero, che si muove
nell’alveo dei Fratelli musulmani (è anche
nipote del fondatore), che ha l’abitudine di
definire gli attentati terroristici semplici
"interventi", che condanna gli attacchi ma li
correda sempre con qualche giustificazione,
che il terrorismo lo chiama "resistenza", ha
in mano l’invito per varcare la frontiera britannica
un’altra volta.
Dovrebbe arrivare il 24 luglio, a poco più
di due settimane dal primo attentato suicida
della storia della Gran Bretagna, grazie alla
munificenza dell’Association of chief
police officers (Acpo), un’organizzazione
che fa consulenza
alla polizia inglese e
ne controlla gli standard
professionali, e
della stessa Scotland
Yard. Provengono infatti
da loro i fondi che
sono stati donati al Da’watul
Islam – una delle più importanti
fondazioni musulmane d’Inghilterra,
nata negli anni Settanta
– per organizzare la
Conferenza annuale, che si
terrà al Centro di cultura islamico
di Londra, a due passi
da Regent’s Park: s’intitola
"The Middle Path" e si rivolge
ai giovani della comunità
islamica. Ramadan è stato invitato
perché "è il commentatore ideale", dicono
al Da’watul Islam, per trattare il tema
dell’incontro, cioè "la coesione, la tolleranza
e il rispetto per gli altri in una società
multireligiosa e multiculturale". Al Centro
di cultura islamico è giorno di preghiera,
nessuno rilascia interviste, ma un signore
che sta entrando in moschea s’illumina appena
gli si cita il nome dell’intellettuale svizzero-
egiziano: "E’ bravo, lui".
Il Da’watul Islam ha già mostrato di non
avere particolari filtri nei confronti dei suoi
convenuti. All’inizio dell’anno ha invitato a
una delle sue conferenze Youssef al Qaradawi,
il teologo di riferimento dei Fratelli
musulmani e la star di al Jazeera che approva
gli attacchi suicidi, che dice che l’unico
dialogo possibile con gli ebrei è "con la
spada e con la pistola", che ha dispensato
più di una "fatwa", una tra le più recenti
contro gli Stati Uniti, dicendo prima che si
devono poi "soltanto" che si possono uccidere
gli americani, anche civili, in Iraq.
Quella visita aveva fatto scalpore: Qaradawi
era stato accolto in pompa magna dal sindaco
di Londra, Ken Livingstone, con tanto
di conferenza stampa congiunta. La foto dei
due insieme, sorridenti e gioviali, è stata
riesumata in questi giorni da alcuni blogger
inglesi con l’amara scritta: "Caro sindaco,
noi non dimentichiamo". Il Sun, il tabloid
più letto d’Inghilterra, ha rivelato l’imminente
visita di Ramadan, il 12 luglio. "Perché
ora, perché qui?", ha chiesto polemico,
mettendo la foto di Ramadan in prima pagina,
con il titolo: "Bandito negli Stati Uniti
per i suoi legami con il terrorismo. Bandito
in Francia per i suoi legami con il terrorismo.
Benvenuto in Inghilterra alcuni giorni
dopo gli attacchi di al Qaida". E con un sottotitolo
rivolto a ogni singolo cittadino britannico:
"E indovina un po’? Sei tu che stai
pagando per accoglierlo". Il columnist del
Sun Richard Littlejohn ha scritto un editoriale
acidissimo dal titolo: "Pensavo che Ian
Blair arruolasse musulmani per la polizia
non per al Qaida", corredato da un disegno
che ritrae il capo di Scotland Yard con il dito
puntato e la scritta: "Al Qaida ha bisogno
di te". Il professore ha smentito: "Non è vero
che non posso entrare in Francia – ha
scritto in un comunicato, in cui ha però ammesso
di non avere più accesso agli Stati
Uniti – Non è vero che ho avuto contatti con
un braccio operativo di al Qaida in Algeria
(come ha sostenuto un giudice spagnolo nel
1999). E’ invece vero che ho condannato gli
attentati suicidi: l’uccisione di persone innocenti
è da condannare". Poi però ha aggiunto:
"Dobbiamo capire perché queste
persone usano questi modi per ‘resistere’.
Per spiegare, non per giustificare"L’Apco, che ha partecipato in misura maggiore
rispetto a Scotland Yard all’organizzazione
della conferenza, invece, non ha smentito.
Anzi. Hannan Gardiner, responsabile
della comunicazione, dice al Foglio, nel suo
luminoso ufficio in Victoria Street: "Non ci
vediamo nulla di male in questa visita. Il
professor Ramadan non è né bandito dall’Inghilterra
né ritenuto illegale e ha credito
presso i giovani musulmani. Per questo è
un interlocutore ideale". Gardiner conferma
che l’Apco ha fornito fondi al Da’warul
Islam per il valore di "6 mila sterline", circa
9 mila euro, "e non ha nulla da recriminare
nell’aver dato il suo sostegno a un incontro
che promuove il dialogo". Neppure a Scotland
Yard smentiscono. Helen Kennedy,
dell’ufficio stampa della Metropolitan Police,
dopo un iniziale smarrimento – "Ramadan
chi?" – dice al Foglio che "non ci sono
dichiarazioni ulteriori" rispetto a quelle rilasciate
da Ian Blair, tranne una rettifica
sull’ammontare della cifra donata: 1.500 sterline,
non 3 mila, come aveva detto Blair. In
un’intervista alla London Radio della Bbc, il
capo della polizia ha spiegato di essere "divertito" dalla polemica – "Con Littlejohn
berrò un bicchiere di vino alla salute di questa
vicenda", ha scherzato – e ha poi aggiunto:
"Sono dell’idea che i nemici dei miei nemici
siano miei amici. Ramadan ha costantemente
denunciato i fatti avvenuti in giro
per il mondo. Non sono un suo sostenitore:
ha una visione della situazione in Palestina
e in Iraq che trovo difficile da accettare e offensiva
(…). Ma il ragazzo è venuto qui per
anni e se dice, ed è quello che voglio che dica
e sono sicuro che lo farà, che ciò che è accaduto
qui a Londra è scellerato e totalmente
non-islamico, sarà una voce utile da
ascoltare per i giovani in Inghilterra".
Due comandanti della polizia intervistati
dal Foglio a Trafalgar
Square, durante la veglia di
commemorazione a una settimana
dall’attentato, hanno
opinioni differenti. Il primo, che
ha chiesto di rimanere anonimo,
ha definito Ramadan "un estremista
che non dovrebbe avere
diritto di parola nel nostro
paese". Il secondo, invece,
Bob Broadhurst, dice che
"forse questo non è il momento
giusto per invitare
Ramadan", anche perché
ci sono molti che sostengono
che "è un terrorista",
ma "se promette
di dire parole che aiutano
il dialogo e a favore
dell’islam moderato, perché
non farlo venire?".
La tolleranza nei confronti di Ramadan e
dei Fratelli musulmani è diventata ancora
più difficile da accettare ieri, quando il ministero
dell’Interno dell’Egitto ha fatto sapere
di aver arrestato Magdi el Nasher, lo
studente di chimica di 33 anni ricercato a
Leeds in connessione all’attacco di Londra.
I dubbi sull’atteggiamento adottato dal governo
inglese nei confronti degli islamici radicali
sono sempre più opprimenti. Charles
Clarke, ministro dell’Interno, è corso ai ripari.
L’Home Office sta preparando un pacchetto
di misure di sicurezza che prevede il
divieto automatico d’ingresso ai religiosi
islamici che sono stati banditi o dagli Stati
Uniti o dall’Unione europea: la priorità di
queste nuove leggi è impedire qualsiasi forma
di "incoraggiamento, elogio o sostegno"
alle azioni terroristiche. Al momento la visita
di Ramadan a Londra è confermata.
A pagina 4 un articolo di Fiammetta Venner tratto dal Wall Street Journal spiega perché concedere credito ai Fratelli Musulmani come interlocutori sarebbe per l'Occidente un grave errore.
Gli attentati di Londra non hanno sorpreso
nessuno, eccetto forse il ministro
dell’Interno, Charles Clarke, che ha
dichiarato che "sono semplicemente piovuti
dal cielo". Tuttavia è stato proprio
per evitare questo tipo di tragedie che la
Gran Bretagna ha accettato per tanti anni
di offrire asilo a jihadisti di tutto il globo.
Algerini della FIS e partigiani del GIA,
ammiratori dichiarati di Osama bin Laden,
tutti trovavano in Inghilterra un comodo
rifugio. Ed è dall’Inghilterra che i
predicatori islamici invocavano ufficialmente
il jihad.
Tutto ciò in nome della libertà di
espressione, e anche – come ci è stato detto
– affinché i servizi segreti britannici potessero
tenerli d’occhio. Una sorta di patto
in virtù del quale gli jihadisti avrebbero
risparmiato la Gran Bretagna in cambio
di un rifugio tranquillo da cui ordire
le loro trame contro altri paesi. Dopo l’11
settembre questa tregua ad alto rischio è
stata criticata aspramente. Le autorità inglesi
sostengono di essere diventate meno
tolleranti, ma ogni volta che viene arrestato
uno jihadista, inevitabilmente finisce
per essere rimesso in libertà.
Le scelte tattiche dell’Inghilterra
A una settimana di distanza dagli attentati
del 7 luglio, sappiamo che le bombe
che hanno fatto 52 vittime sono state
portate da quattro giovani pachistani nati
e cresciuti in Inghilterra. Non sappiamo
esattamente chi li ha aiutati o chi li ha
ispirati, o chi altri potrebbe essere coinvolto.
E molte domande ancora più importanti
restano senza risposta. Per esempio,
perché c’è voluto più di un anno prima
che i servizi di controspionaggio inglesi
arrestassero Abu Qatada, assiduo
frequentatore e veemente predicatore
della moschea di Finsbury Park, nonché
fidato complice di Osama bin Laden a
Londra? Perché gli assassini del gruppo
di terroristi algerini GIA non sono stati
estradati in Francia oppure in Algeria, come
richiesto da questi paesi? Come mai
Mohamed al Guerbouzi, sospettato di aver
partecipato all’attentato di Casablanca
nel 2003, malgrado la richiesta di estradizione
avanzata dal Marocco vive libero
nel Regno Unito?
Le scelte tattiche fatte in questi ultimi
mesi in Inghilterra sembrano indicare un
cambiamento di rotta. Mentre gli jihadisti
più attivi restano sottoposti a sorveglianza,
sembra che le autorità britanniche
sperino che il movimento salafita riformista,
guidato essenzialmente dai Fratelli
musulmani, si opponga al movimento salafita
jihadista. Quindi Abu Qatada non
può più lanciare il suo messaggio dalla
moschea di Finsbury Park, dopo che le
autorità hanno appoggiato un colpo di mano
da parte dei Fratelli musulmani, che
attualmente la controllano, e che hanno
dato già prova di notevoli doti di strategia
e di marketing appendendo sulla strada
uno striscione rassicurante: "Un nuovo
inizio per la moschea". Da quel momento tutti gli articoli dei giornalisti più giovani
parlano con entusiasmo di una moschea
rinnovata, controllata da "un movimento
musulmano moderato".
Ma la manovra inglese resta una scommessa
rischiosa. Infatti, anche se i Fratelli
musulmani non sono fanatici assetati
di sangue, sono tutt’altro che moderati.
A lungo termine potrebbero rivelarsi
più pericolosi di un pugno di jihadisti
che l’Inghilterra avrebbe potuto estradare
o arrestare se l’avesse voluto. Anche
se indossano quasi sempre un abito occidentale
anziché una jellabah e sanno come
parlare ai mass media e rassicurarli
in merito alle loro intenzioni pacifiche, i
Fratelli musulmani portano avanti
un’impronta fondamentalista e politica
dell’islam che è tipica dell’islamismo più
intransigente. Basta vedere quello che
ha fatto nel Sudan il regime ispirato dai
Fratelli musulmani.
Il loro progetto di conquista attraverso
un’islamizzazione graduale minaccia ormai
di destabilizzare diversi paesi arabi
musulmani, impedendo qualsiasi cambiamento
democratico. Se dovessero
prendere il controllo dell’Egitto o della
Siria, vi è da temere un drammatico riassetto
dell’ordine mondiale. La loro paziente
attesa di un’islamizzazione graduale
ha spesso spinto i membri più impazienti
a compiere azioni violente, come
Ayman al Zawahiri, il numero due di
al Qaida e probabile ispiratore degli attentati
dell’11 settembre 2001.
La faccia buona del problema
Se alcuni dei Fratelli musulmani sembrano
in completo disaccordo con l’opzione
jihadista abbracciata da altri Fratelli,
colpisce notare come i più moderati
traggano vantaggio dalla paura che
diffonde ogni attacco terrorista. Poiché
sostengono di rappresentare una "giusta
via di mezzo" tra l’Islam terrorista, che
condannano, e l’Islam riformista, che
combattono, non di rado i politici e gli intellettuali
guardano a loro con speranza,
al punto da favorire i loro progetti fondamentalisti.
Si finisce così per aggiungere
a un male – il terrorismo – un altro, non
meno pericoloso: il fondamentalismo politico.
Ed è esattamente quello che accade
a Londra.
Sicuramente la moschea di Finsbury
Park si è rifatta una facciata, ma alla Fondazione
islamica – un istituto islamico vicino
ai Fratelli musulmani e che ha ricevuto
persino la visita del Principe Carlo –
si insegnano ancora le idee di Sayyd Qutb,
il più eminente pensatore del movimento.
Gli scritti e gli insegnamenti di Qutb hanno
giustificato l’uccisione di "tiranni apostati"
e ispirato Osama bin Laden e gli assassini
di Anwar Sadat.
Ken Livingstone, sindaco laburista di
Londra, è felice di mostrarsi in pubblico
a fianco di Youssef al Qaradawi, il teologo
preferito dei Fratelli musulmani. Qaradawi,
predicatore di successo, spiega
come picchiare la propria moglie e dichiara
appassionatamente che "non può
esserci dialogo tra noi e gli ebrei, se non
a colpi di spada e di fucile". In una fatwa,
ha persino approvato gli attentati suicidi,
fornendo una giustificazione a Hamas, il
braccio armato dei Fratelli musulmani
in Palestina, per le aggressioni contro
Israele.
Tuttavia i Fratelli musulmani godono
ancora di una posizione di tutto rispetto
in Inghilterra. Il Guardian ha appena pubblicato
una lettera di Tariq Ramadan, leader
della campagna di immagine dei Fratelli
musulmani, in cui si esprime una ferma
condanna degli attentati londinesi,
salvo chiedere, nella frase successiva,
maggiore tolleranza verso l’autentico
Islam – da intendersi come il fondamentalismo
islamico. Ancor meglio, ha in programma
di intervenire a una conferenza
da tenersi a Londra entro questo mese,
conferenza finanziata in parte dalla Polizia
metropolitana.
Le parole del signor Ramadan sono
molto caute in questi giorni, anche se ogni
tanto abbassa la guardia e si lascia sfuggire
il termine "intervento" per descrivere
gli atti terroristici di New York e di Madrid,
o "esecuzione", riferendosi all’assassinio
di Sadat. E sul Mejliss.com forum,
un sito web frequentato da molti seguaci
di Ramadan, la condanna degli attentati
di Londra è tutt’altro che unanime. La
Gran Bretagna viene descritta come "il
cagnetto degli Stati Uniti… in Iraq". E i visitatori
del sito preferiscono credere a
una trama "sionista" piuttosto che ammettere
la responsabilità islamica: "Al
Qaida è una mascheratura, in realtà… significa
Cia nel linguaggio sionista". Questa
è la mentalità delle persone che subiscono
l’influenza dei Fratelli Musulmani
– e non c’è da sorprendersi se si pensa alle
idee ampiamente pubblicizzate dei leader
dei Fratelli in Europa.
Poi all’improvviso la sorpresa
Quando si tratta di questioni musulmane,
le autorità britanniche tendono a rivolgersi
a Ahmed al Rawi, una delle persone
responsabili della Federazione delle Organizzazioni
Islamiche in Europa, la struttura
che rappresenta i Fratelli musulmaninel Vecchio continente. Vive in Inghilterra
dal 1975, da quando è stato condannato a
morte dal regime di Saddam Hussein. Questo
non gli impedisce di approvare il jihad
contro le forze anglo-americane in Iraq.
Nell’agosto del 2004 ha emesso un parere
con cui autorizzava qualsiasi iracheno o
palestinese a uccidere inglesi, americani o
israeliani. Di fronte alla stampa sconcertata,
che l’aveva sempre lodato e lo considerava
l’incarnazione dell’islam liberale, si è
giustificato paragonando le truppe britanniche
di occupazione in Iraq all’invasione
nazista in Europa.
Sembra quindi illusorio, se non suicida,
contare sui Fratelli musulmani per combattere
l’estremismo islamico. Tony Blair
si dichiara sconvolto da "questa terribile
perversione dell’autentica fede islamica"
che rappresenta lo jihadismo. Ma il suo
governo continua ad appoggiare i Fratelli
musulmani nel Consiglio musulmano d’Inghilterra,
distruggendo così qualsiasi speranza
di veder emergere in Europa un
Islam illuminato e tollerante.
Anche in Francia e forse in America
E la Gran Bretagna non è la sola a
scommettere sui Fratelli musulmani. In
Francia, Nicolas Sarkozy segue esattamente
la stessa politica sin da quando ha
permesso ai Fratelli musulmani dell’Unione
delle Organizzazioni Islamiche
Francesi, UOIF, di entrare a far parte del
Consiglio francese per la fede musulmana.
Negli Stati Uniti, diversi intellettuali
consigliano all’Amministrazione Bush di
allacciare legami più stretti con i Fratelli
musulmani, in previsione di un cambiamento
di regime in Egitto, ed eventualmente
di concludere un patto che permetterebbe
di ridisegnare la mappa politica
del Maghreb e del Mashrek senza lanciare
operazioni militari come è avvenuto
in Iraq. Secondo la stampa araba e secondo
le mie fonti personali, sono già stati
presi contatti con Qaradawi, anche se
questi non può mettere piede negli Stati
Uniti a causa dei suoi legami con le organizzazioni
terroristiche.
Se ciò fosse confermato, ne consegue
che alcuni paesi europei e gli Stati Uniti
si stanno impegnando in una delle scommesse
più pericolose della storia. Infatti,
se l’ascesa dei Fratelli musulmani promette
un’islamizzazione radicale e fondamentalista
che potrebbe destabilizzare
il mondo, come potrebbe costituire un antidoto
per il terrorismo?
Gli attentati di Londra non provano a
sufficienza che questa scelta non ha possibilità
di successo? I leader che vogliono
seguire questa strada dovrebbero ricordare
le parole di Churchill a Chamberlain:
"Avevate la scelta tra la guerra e il
disonore… avete scelto il disonore e avrete
la guerra".
Sempre a pagina 4 Carlo Panella conclude il suo viaggio nei luoghi comuni sulla guerra al terorismo, nell'articolo che riportiamo:
SOLO LA PACE IN PALESTINA SCONFIGGE IL TERRORISMO
L’avvicinarsi del ritiro israeliano da Gaza,
la morte di Yasser Arafat, i primi mesi
della leadership di Abu Mazen, si sono incaricati
in abbondanza di ridicolizzare questa
analisi politically correct, ossessivamente
ripetuta dopo l’11 settembre 2001
(anche perché riversava su Israele buona
parte di responsabilità delle Twin Towers).
Il terrorismo islamico infatti non è affatto
nato con il conflitto arabo-israeliano – che
semmai è una conseguenza delle sue
profonde radici religiose – non trova in
quello scenario neanche le sue motivazioni
formali (Osama bin Laden ne parla solo come
uno dei tanti fronti del suo jihad, mai il
principale) e non subirà nessuna flessione
quando – mai troppo presto – vi sarà una
pace tra lo Stato di Israele e il futuro Stato
di Palestina.
Lo scontro di civiltà da cui il terrorismo
islamico è scaturito non è deflagrato con la
nascita di Israele, ma con la risposta che
una parte della dottrina politica islamica
ha dato al trauma della fine del califfato ottomano
dopo la Prima guerra mondiale. Il
terrorismo islamico altri non è che la forma
militare con cui una parte – consistente, anche
se non maggioritaria – tenta di imporre
alla umma musulmana, innanzitutto un ritorno
al "califfato delle origini". La lotta
contro lo Stato di Israele è stato solo il primo
momento cronologico, ma marginale, in
cui questa grande "rinascita politica dell’islam"
(i cui ideologi sono stati Rashid Rida,
Hassan al Banna, Sayyed Qurb, Sayyed
Mawdudi, l’ayatollah Ruollah Khomeini
il pragmatico Abdulaziz ibn Saud) si è applicata.
Ma il vero punto di svolta del fondamentalismo
islamico emerge altrove,
prescindere da Israele: in Iran con la rivoluzione
islamica del 1979 e contemporaneamente
in Pakistan con le riforme islamiste
di al Mawdudi e Zia ul Haq. Il momento
di emersione del terrorismo islamico,
poi, è stato l’Iran delle lotte fratricide
tra musulmani dopo la rivoluzione (là dove
viene inventata la tecnica dei kamikaze,
l’11 settembre 1981, a Tabriz), l’Egitto con
l’attentato a Anwar al Sadat del 6 ottobre
1981, il Libano della guerra civile dei cristiani,
drusi, sunniti, sciiti e l’Olp di Arafat,
l’Algeria degli anni Novanta e solo a partire
dal 6 aprile 1994, con l’attentato di Afula
(19 morti), Israele.
Ma quell’attentato palestinese del 1994,
non è per la pace, ma contro la pace possibile.
E’ "contro" gli accordi di Oslo, è "contro"
il percorso comune delineato da
Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, prefigura
l’intera strategia che oggi è di Hamas, di
Hezbollah e anche di una grande parte di
al Fatah (le Brigate dei martiri di al Aqsa),
che vede la possibilità solo di siglare una
hudna con Israele, una tregua, finalizzata
non alla pace, ma unicamente ad accumulare
forze per rilanciare la guerra per distruggere
lo Stato degli ebrei.
La pace tra palestinesi ed ebrei disarmerà
quindi solo le bombe di quella componente
palestinese minoritaria, che ha
scelto il terrorismo per liberare la "terra".
Ma avrà l’effetto sicuro di armare ancora
più il cuore e la mano dei milioni di fondamentalisti
che credono che non i Territori
vadano liberati, ma che Israele debba essere
distrutta.
Uno Stato, un grande paese islamico, l’Iran,
ancora oggi apre la parata – stile Piazza
Rossa – con cui celebra ogni anno l’anniversario
della rivoluzione islamica
dell’11 febbraio 1979, con la parola d’ordine:
"Distruggere Israele". Quello stesso Stato
finanzia, arma, dirige militarmente il
"partito fratello" di Hezbollah che è determinante
per i rapporti politici in Libano.
Nessun compromesso, nessun accordo, può spazzare via quella parola d’ordine, scritta
a parole di fuoco nello statuto di Hamas.
D’altronde, per comprendere questa
drammatica realtà, basta guardare a un fenomeno
sempre ignorato – colpevolmente –
dai propugnatori di questa tesi, e subito si
comprende quanto sia irreale. A oggi, non
meno di mille sono le vittime straziate da
decine di attentati islamici all’interno di
moschee musulmane (per non parlare delle
decine di migliaia di fellaha, poveri contadini
algerini, sgozzati dal Gia e similari).
Attentati di musulmani contro fedeli musulmani,
nel momento della preghiera, nel
luogo sacro del raccoglimento dinnanzi ad
Allah in Iraq, in Pakistan, in Bangladesh, in
Afghanistan, in Algeria.
In queste terribili, oscure imprese sta il
Dna più profondo del terrorismo islamico.
Un terrorismo che ha i suoi nemici nei
cristiani, negli ebrei, ma anche e soprattutto
nei musulmani "apostati", che stermina
senza pietà.

IL TERRORISMO ISLAMICO NASCE DALLA MISERIA
Per fortuna questa castroneria tende
sempre più a scomparire dalle analisi del
terrorismo islamico. In Europa ha resistito
con forza sino all’11 marzo 2004, alla strage
di Atocha, a Madrid. Quel giorno, quell’efficacissima
rivendicazione "Voi amate la vita,
noi la morte", ha spazzato via anche questo
misero rigurgito economicista. Anche
perché, alla evidente constatazione di un
terrorismo islamico che ha il suo centro più
vitale nel paese arabo col più altro standard
di vita e reddito, l’Arabia Saudita dei
petrodollari, che è assente solo e unicamente
nei paesi musulmani più poveri
(Mauritania, Mali, Niger, Senegal), si sono
sommate le analisi sulla estrazione sociale
di centinaia di kamikaze, sempre più spesso
appartenenti alla middle class araba, anche
ben radicata nel Londonistan e altrove
in Europa.
Nessun rapporto col colonialismo (in
Algeria il terrorismo islamico combatte il
più quotato governo anticoloniale dell’Africa),
con lo sfruttamento economico, con
la povertà.
Semmai, un perverso rapporto inverso.
Le organizzazioni terroristiche infatti hanno
dimostrato di essere eccellenti elargitrici
di reddito. L’attività terroristica in Palestina,
così come in Iraq ha mostrato una
straordinaria versatilità in quel tipo di economia
che in Italia chiamiamo mafiosa. E’
un attività molto redditizia, come si nota
nella fiorente industria dei rapimenti – che
in Iraq era stata fondata dalla polizia di
Saddam Hussein ed è preesistente alla
guerra – nel commercio dell’oppio dei Talebani
e nei vari racket che taglieggiano le
città palestinesi. Per di più una attività che
attira ingenti finanziamenti di "fondazioni
islamiche caritatevoli" (molte saudite) e
consolida gruppi dirigenti facoltosi.
Il terrorismo islamico, insomma, è anche
un buon business. (4. fine)
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