Le radici europee dell'odio, la necessaria disponibilità all'uso della forza
che cosa non si può ignorare se si vuole davvero combattere il terrorismo
Testata:
Data: 13/07/2005
Pagina: 1
Autore: Magdi Allam - Angelo Panebianco
Titolo: La fabbrica europea dell'odio - L'occasione della sinistra
Il CORRIERE della SERA pubblica in prima pagina e a pagina 22 un articolo di Magdi Allam, "La fabbrica europea dell'odio "
Il kamikaze è solo la punta dell'iceberg. Se emerge il kamikaze, è sulla realtà sottostante che si deve concentrare l'attenzione. Ovvero sulla «fabbrica dei kamikaze». Che nel caso di Londra era arcinota. Perché già nel 2003 aveva sfornato i primi due terroristi islamici suicidi con cittadinanza europea che si fecero esplodere in Israele. Eppure i pur risoluti politici inglesi, i pur efficienti servizi segreti inglesi non sono andati oltre l'azione in superficie. Sanzionando i burattinai del terrore più esposti e arrestando alcune decine di militanti più frenetici. Ma l'iceberg del terrore è rimasto sostanzialmente integro. E attenzione: questa situazione non è limitata alla Gran Bretagna ma investe tutta l'Europa, Italia compresa. C'è voluto il 7 luglio per costringerci a guardare in faccia la tragica realtà di un'Europa trasformata in «fabbrica di kamikaze». Dove, come in una catena di montaggio, si parte dalla predicazione che inneggia alla guerra santa, all'indottrinamento che inculca la fede nel «martirio» , all'arruolamento nell' esercito dei mujahidin, allo smistamento nei campi della Jihad, fino ad approdare all'azione terroristica. Quando il 30 aprile 2003 Asif Mohammed Hanif, 21 anni, e Omar Khan Sharif, 27 anni, padre di due figli, di origine pachistana, residenti a Derby, si fecero esplodere in un caffè di Tel Aviv, provocando la morte di tre israeliani e il ferimento di altri cinquantacinque, l'evento fu recepito con un misto di sorpresa e incredulità. Si commise l'errore di non considerare quei primi due kamikaze con passaporto britannico come la punta dell'iceberg, bensì come un evento eccezionale. Eppure, come loro, molti altri giovani militanti islamici erano stati imbevuti nelle moschee di Londra dalla predicazione violenta di Omar Bakri, ribattezzato l'ambasciatore di Osama bin Laden in Europa, erano partiti per il Medio Oriente lasciandosi irretire dall'indottrinamento di «guide spirituali» del salafismo jihadista, erano stati arruolati dal movimento estremista palestinese Hamas, fino all'esecuzione del barbaro suicidio-omicidio. «Vogliamo offrire la nostra vita per il bene di Allah e per vendicarci degli ebrei e dei crociati» , affermarono i due «martiri» islamici nel loro testamento registrato in un video diffuso da Hamas l'8 marzo 2004. Bakri, un ideologo radicale siriano che da 18 anni vive a Londra, lui e la sua numerosa prole, con i sussidi sociali, commentò così l'esordio dei kamikaze europei: «Sono anni che i nostri combattenti vanno a fare la Jihad in Bosnia, in Afghanistan, in Kashmir, in Cecenia e anche in Palestina. E' vero che Asif è il primo martire britannico in Palestina. Ma ci sono stati altri martiri britannici in Kashmir e in Cecenia. Attualmente abbiamo dei combattenti in Iraq che continuano a lottare contro l'occupazione americana. Per noi è un fatto naturale. Con il martirio noi attestiamo che siamo un'unica nazione, che abbiamo un'unica causa e che perseguiamo lo stesso obiettivo: la vittoria della nazione islamica» . Con inalterata tranquillità Bakri previde uno scenario inquietante: «Certamente queste azioni di martirio potrebbero verificarsi anche sul territorio europeo. Le minacce proferite da bin Laden vanno prese molto sul serio. Per lui l'Europa è un Dar al harb, un Territorio di guerra» . All'epoca Bakri chiarì che «non saranno dei kamikaze europei a farsi immolare sul suolo europeo. Noi abbiamo contratto un Aqd al Aman, un Accordo di sicurezza, con le autorità europee. Noi rispettiamo le leggi e l'ordine in Europa fino a quando non ci perseguitano come musulmani» . Senonché in un'intervista concessa al londinese The Times il 17 gennaio 2005, Bakri spiegò che «l'Accordo di sicurezza, in base al quale i musulmani in Gran Bretagna vivono pacificamente, è stato violato dal governo tramite la sua legge anti-terrorismo» . Di conseguenza «tutta la Gran Bretagna è diventata territorio di guerra» e «la vita e le proprietà degli infedeli non sono più sacre». Il focoso predicatore ordinò ai giovani islamici di arruolarsi tra le fila di bin Laden: «Siete obbligati a seguire Al Qaeda, le sue filiali e organizzazioni nel mondo» . Tutto ciò è avvenuto alla luce del sole. Pubblicamente. E impunemente. Nonostante fosse già stato accertato che i primi due kamikaze britannici erano discepoli di Bakri. Continuando a ritenere che quella letale predicazione dovesse essere considerata libertà di espressione e che come tale non dovesse essere violata. La radice del male è qui. La «fabbrica dei kamikaze» ha inizio dal lavaggio del cervello di persone che gradualmente vengono trasformate in robot della morte. Una struttura integrata del terrorismo suicida islamico che ha ormai solide radici nell'insieme dell'Europa. Ecco perché nessun paese, compresa l'Italia, può ritenersi al riparo dal rischio del «kamikaze made in Europe» .
Sempre in prima l'editoriale di Angelo Panebianco "L'occasione della sinistra" su "lotta al terrorismo e uso della forza".

Ecco il testo:

Immaginando che fra meno di un anno l'opposizione di sinistra governi l'Italia c'è da chiedere ragguagli sulla sua politica contro il terrorismo islamista. Che è questione di politica interna (leggi antiterrorismo o no, nuovi orientamenti verso l'immigrazione islamica o no) e di politica estera (con quali alleanze internazionali, con quali strategie verso il mondo islamico). Le dichiarazioni degli esponenti dell'Unione dopo gli attentati di Londra e l'ennesimo, caotico, dibattito sul rifinanziamento della missione in Iraq lasciano perplessi. Fassino e Rutelli garantiscono che mai verrà scelta una via «alla Zapatero» ma altre autorevoli dichiarazioni vanno in quella direzione. Il problema che non ha avuto ancora risposte convincenti è cosa fare quando qualcuno ti dichiara guerra. Persino Fassino e Rutelli, ai quali si deve riconoscere di fare ogni sforzo per inoculare saggezza nelle vene dell'Unione, sembrano avere difficoltà ad affrontare la questione della guerra (dichiarata dall'islamismo radicale contro di noi). Prendiamo l'Iraq. Essere stati contro l'intervento è una cosa, ma continuare a votare contro il finanziamento di una missione il cui compito è contribuire a stabilizzare il nuovo regime, è un' altra cosa. Significa mandare il segnale sbagliato. Poiché la fine delle missioni occidentali in Iraq è proprio ciò che il terrorismo vuole ottenere con ogni mezzo. C'è purtroppo una contraddizione che né Fassino né Rutelli, per esigenze di unità della coalizione, sembrano in grado di superare. Ma l'Iraq è solo un aspetto, importante, di una questione più generale: la guerra santa di cui siamo i bersagli. Fassino fa bene a ribadire, parlando all'ala più estrema del suo schieramento, che l'uso della forza militare come ultima risorsa non può mai essere escluso, ma questa dichiarazione resta un po' per aria se poi si dice che la guerra al terrorismo va fatta solo con l'intelligence. Il problema è che le guerre si fanno con tutti i mezzi di volta in volta ritenuti necessari al fine di vincerle, e precludersi a priori l'uno o l'altro strumento significa conferire un vantaggio strategico al nemico. Facciamo l'esempio dell'Iran. Sembra sul punto di dotarsi di armi nucleari e se lo farà il Medio Oriente prenderà probabilmente fuoco. E' vitale per noi occidentali scongiurare questo evento. Ma è anche evidente che con regimi come quello iraniano si tratta efficacemente solo se la minaccia dell'uso della forza è comunque in agenda. I pacifisti, certo, non lo capiscono. Ma chi vuole governare deve saperlo. Però non sembra esserci, nelle dichiarazioni dei leader della sinistra, consapevolezza della drammaticità del problema. Più in generale, nessuno deve mai escludere a priori (è questo il senso della preemptive war) che operazioni militari risultino in futuro necessarie per impedire ai terroristi di impadronirsi di quelle armi di distruzione di massa che, fino ad ora, non sono riusciti a usare in Occidente. Ma anche su questo la sinistra migliore tace. Ci sono due rischi nel caso della sinistra al governo. Il primo è che, di fronte alle future prove, non risulti autosufficiente, che necessiti, come nella passata legislatura, dei voti dell'opposizione. Il secondo è che le sue divisioni interne favoriscano ondeggiamenti e difficoltà nei rapporti con l'alleato americano, accrescendo la già elevata vulnerabilità del Paese. Il tema è sempre lo stesso: come convincere quella parte di sinistra che non ci crede che una guerra internazionale è in atto dall'11 settembre e che il problema dell'Italia, insieme agli alleati occidentali, è riuscire a vincerla.
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