IL FOGLIO pubblica apagina 4 un articolo sul processo all'assassino islamista del regista aolandese Theo Van GoghRoma. Si è aperto ieri il processo per l’assassinio
del regista Theo van Gogh. Mohammed
Bouyeri, 27 anni, d’origini marocchine,
è seduto alla sbarra degli imputati. Lo scorso
novembre aveva ucciso a pugnalate il regista
olandese per aver diretto il film "Submission",
ovvero Sottomissione, un gioco di
parole con la traduzione della parola
"islam" e la situazione della donna nel
mondo arabo. Nell’aula di tribunale
Mohammed non ha parlato, è rimasto silenzioso
senza difendersi. Il volto serio, vestito
con un jilabya scuro, la kefyah palestinese
a scacchi bianca e nera, lontana dalla sua
cultura marocchina, ma che simboleggia
l’appartenenza a una causa di un popolo
arabo e la presa di distanza dal mondo occidentale.
Mohammed non voleva apparire
nell’aula di tribunale, non per vergogna o
pentimento. Quello no, aveva persino detto
che sperava di morire da shahid, dopo l’assassinio
di Van Gogh, forse per emulazione
dei martiri di Hamas e per il paradiso.
Mohammed apparteneva a un gruppo che
riceveva soldi dalla Svizzera, si chiamava
"taqfir wa hijra", come il movimento che uccise
il presidente egiziano Anwar Sadat. Taqfir,
colui che condanna gli apostati, e hijra:
l’allontamento dagli infedeli per un periodo
di preparazione al combattimento contro
di loro. Sulla lettera che aveva lasciato sul
corpo di Van Gogh c’era scritto "al dhahuk
al qattal", l’assassino che ride. Mohammed
aveva letto gli scritti di Iben Taymiya, uno
scolaro dell’islam del XIV secolo seguito
dai fondamentalisti, riportandone una sua
frase: "Sorridi ai credenti e uccidi gli infedeli".
Le stesse parole usate nella prima rivendicazione
dell’attentato a Londra.
Mohammed voleva decapitare Van Gogh,
come un animale durante la festa musulmana
del montone, ma non c’era riuscito. Era
ossessionato anche dagli ebrei e nella lettera
lasciata ad Ayaan Hirsi Ali, sceneggiatrice
somala del film e deputata, le citava interi
passi del Talmud, chiedendole che cosa
ne pensasse. Mohammed è olandese, ma
non si è mai sentito integrato, nonostante
l’Olanda sia la patria per antonomasia del
multiculturalismo. Diviso tra le tradizioni
marocchine e quelle liberali di Amsterdam,
con un’identità spezzata in due e una sottomissione
all’islam radicale. In Francia, i nati
da immigrati arabi si chiamano "beurs",
si sono creati una loro seconda identità.
L’assassino di Van Gogh, invece, ha scritto a
Hirsi Ali accuse terribili perché, a suo dire,
l’occidente vuole renderlo per forza olandese.
"Lui si pone come il difensore della fede,
Hirsi Ali, per lui, rappresenta invece il
mondo degli infedeli da combattere – dice
al Foglio Yigal Carmon, presidente del
Middle East Media Research Institute –
Mohammed si firma come la spada della religione,
il monoteista".
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