Approvato il tracciato della barriera difensiva a Gerusalemme: analisi poco convincenti e arringhe d'accusa
quotidiani a confronnto
Testata:
Data: 12/07/2005
Pagina: 15
Autore: Fulvio Scaglione - Michelangelo Cocco
Titolo: Avanzi il muro ma garanzie per i coloni - Sharon a Bush: volete il ritiro da Gaza? E allora pagate
AVVENIRE pubblica a pagina 2 l'editoriale di Fulvio Scaglione "Avanzi il muro ma garanzie per i coloni" (il titolo è del tutto fuorviante circa il reale contenuto del pezzo).
Vi si sostiene l'inestricabile intreccio di finalità difensive (la protezione dal terrorismo) e offensive (l'acquisizione di territori) nella costruzione della barriera.
In relatà però la barriera non è un confine politico, come Israele ha più volte affermato. I confini tra Israele e futuro stato palestinese potranno essere decisi in un negoziato.
D'altro canto Israele ha acquisito i territori al centro dell'attuale disputa nel corso di una guerra difensiva, e oggi si trova a dover difendere le sue popolazioni civili, anche quelle residenti negli insediamenti, da un'aggresione terroristica.
Vedere in tutto questo un "intreccio" di aggressione e difesa sembra dunque inappropriato.
L'articolo segnala poi la necessità di ridurre i disagi della popolazione palestinese per evitare di fomentare il "terrorismo di domani".
Occorre ricordare che, purtroppo, ciò che è stato fatto in passato in questo senso è stato causa di abusi: il denaro è stato dirottato per finanziare il terrorismo, check point, ambulanze e permessi medici sono stati utilizzati per colpire a tradimento Israele.
E il terrorismo ha anzitutto le sue radici nella diffusione capillare di un'ideologia dell'odio.
Se queste radici non verranno estirpate la via indicata da Scaglione, che pure merita di essere percorsa e nella quale Israele si è impegnata, non potrà dare i risultati sperati.

Ecco il testo:

Mentre la data finale per il ritiro dei 9 mila coloni da Gaza si avvicina, il Governo israeliano approva la costruzione di un nuovo tratto del muro anti-terrorismo, destinato questa volta a separare due quartieri di Gerusalemme Est dal resto della città. Nello stesso tempo, la stampa e alcuni politici di primo piano israeliani criticano più’ o meno aspramente Tony Blair, che dopo gli attentati di Londra ha invitato tutti a lavorare per sradicare le condizioni che favoriscono il terrorismo, la povertà in primo luogo. A ben vedere, è un discorso unico. Politico realista e stratega per formazione militare, Ariel Sharon ha deciso il ritiro da Gaza non per fare un regalo ai palestinesi ma, com’è giusto, per servire gli interessi del suo Paese. Meglio lasciare Gaza, avamposto sempre più difficile e costoso da conservare, e consolidare altre zone di Israele, e magari più interessanti porzioni dei "territori occupati". Alla stessa logica risponde la costruzione del muro, che per gli israeliani è difensiva perché li protegge dai kamikaze, ma che è anche offensiva in quanto realizzata su terre che sono al di fuori dei confini di Israele. È questo il parere della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, che nel 2004 chiese (con pochissimo realismo) lo smantellamento dei tratti già costruiti. Ed è l’opinione che Javier Solana, rappresentante della Ue per la Politica estera e la sicurezza e uomo non certo incline a compatire i terroristi, ha ribadito durante la visita a Gerusalemme. Israele, d’altra parte, chiede all’Autonomia nazionale palestinese di eliminare Hamas e Jihad islamica, responsabili degli attacchi. Cosa impossibile, soprattutto con Hamas che gode di forte sostegno tra i palestinesi. Non perché questi cerchino lo "scontro di civiltà" o la distruzione della democrazia occidentale ma perché pensano, sbagliando, che senza le armi degli estremisti sarebbero spazzati via.
Ritirata e offensiva, attacco e difesa si confondono, com’è inevitabile in una contesa che si svolge tra due popoli che non vivono a fianco ma insieme. E qui si innesta il ragionamento di Blair. Lasciando per un attimo da parte i problemi politico-religiosi (Israele considera propria capitale l’intera Gerusalemme, come pure i palestinesi; in più, la città è sacra ai musulmani come agli ebrei e ai cristiani), la porzione di muro di Gerusalemme dividerà 55mila palestinesi (ma le fonti dell’Anp dicono 100mila) dai posti di lavoro ma anche dalle scuole, dagli ospedali e da molti dei servizi fondamentali, e li costringerà a passare una serie di controlli per muoversi attraverso le due zone. Il governo Sharon ha già assicurato che farà di tutto per limitare i disagi ed evitare discriminazioni. Sono garanzie a cui è giusto credere e che in ogni caso sarà anche giusto pretendere, perché sarebbe inaccettabile far pagare a cittadini innocenti le colpe dei terroristi.
Gestito con saggezza il muro di Gerusalemme fermerà qualche terrorista assassino. Altrimenti (e basta poco) esaspererà ancor più i rapporti con i palestinesi e in definitiva seminerà i germi del terrorismo di domani. A meno di non essere ciechi, sordi e illusi, non si può astrarre ciò che succede ai molti potenzialmente pacifici da ciò che intraprendono i pochi realmente e comunque violenti. Lo sa bene Blair. E se Sharon mobilita l’esercito per il ritiro dei coloni da Gaza e chiude anche quella zona in un muro di soldati, vuol dire che lo sa anche lui.
Di tutt'altro tenore i toni usati da Michelangelo Cocco sul MANIFESTO.

Dimentico dei finanziamenti elargiti dalla comunità internazionale all'Anp, nella speranza fin qui rivelatasi vana di favorire il processo di pace, Cocco, nell'articolo "Sharon a Bush: volete il ritiro da Gaza? E allora pagate" se la prende con la richiesta di finaziamento del piano di ritiro avanzata da Sharon agli Stati Uniti, con l'"appiattimento" dell'amministrazione Bush sulle posizioni israeliane, ipotizza la voluta coincidenza dell'approvazione del tracciato della barriera difensiva a Gerusalemme con l'attentato di Londra, accumula formule di esecrazione per la barriera difensiva, da "schiaffo al diritto internazionale" a "umiliazione" e "aparthaid" .

Ecco il testo:

Il giorno dopo aver reso pubblico il percorso che il muro dell'apartheid seguirà all'interno di Gerusalemme - un piano che, se attuato, isolerebbe dalla Città santa 55.000 residenti palestinesi - il governo israeliano ha chiesto ieri all'alleato statunitense oltre due miliardi di dollari per finanziare il suo ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza che inizierà il 17 agosto prossimo. Si tratta di fondi che andrebbero ad aggiungersi ai 2.3 miliardi di dollari che, ogni anno, Washington stanzia per la difesa del suo principale alleato in Medio Oriente. «Parte di questo denaro servirà al ritiro, per il quale Israele sta spendendo grosse somme - ha dichiarato ieri il vice-primo ministro Shimon Peres -. Un'altra andrà allo sviluppo del Negev e della Galilea». Nei prossimi mesi i «dollari per l'evacuazione delle colonie» dovranno ottenere il via libera del Congresso statunitense ed essere messi a bilancio dall'amministrazione conservatrice. Mai come in questo momento un governo statunitense, tantomeno un esecutivo guidato dagli «elefanti» repubblicani, si era appiattito sulle posizioni di Tel Aviv. Dal discorso di Bush sulle «riforme palestinesi» del 24 giugno 2002 che decretò l'isolamento internazionale di Arafat e dell'Autorità nazionale palestinese, alla dichiarazione dell'inquilino della Casa bianca del 14 aprile 2004 secondo la quale nella Cisgiordania occupata ci sono ormai «nuove realtà» e i principali blocchi di colonie israeliane rendono «irrealistico aspettarsi che il risultato dei negoziati sullo status finale porti a un completo ritorno alle frontiere del 1967», fino al finanziamento del ritiro da Gaza (imposto, assieme a quello da tutti i territori occupati nel 1967, dalla risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza dell'Onu), il governo Sharon ha ottenuto solo via libera dagli States, grazie anche all'opera instancabile di Elliot Abrams, vice-consigliere per la sicurezza nazionale Usa con poteri «assoluti» sul conflitto israelo-palestinese. Un ex funzionario dell'amministrazione Reagan implicato nell'affare Iran-Contra, che nel 1991 ammise di aver sottratto informazioni al Congresso e per questo si beccò due anni d'affidamento ai servizi sociali che è ora uno dei principali sponsor di Sharon. Se da un lato l'approvazione l'altroieri del tracciato definitivo del muro all'interno di Gerusalemme - a un anno esatto dal «parere» della Corte internazionale di Giustizia dell'Onu che ne ha decretato l'illegalità - è apparso come l'ennesimo schiaffo israeliano al diritto internazionale, dall'altro la scelta dei tempi - la coincidenza con l'attentato di Londra - è sembrata a molti commentatori non casuale. Solo che ieri Haim Ramon, ministro isreliano per Gerusalemme, ha dichiarato candidamente alla Radio di stato che la barriera non serve solo a proteggere gli abitanti israeliani dagli attentatori suicidi, ma «anche a renderla più ebraica». Ad alterarne cioè l'equilibrio demografico escludendo, attraverso il suo percorso tortuoso, 55.000 palestinesi e facendo ricadere nei suoi confini 30.000 coloni. I palestinesi hanno reagito con sdegno a quest'ennesima umiliazione, in particolare il ministro degli esteri - quel Nasser al Kidwa già artefice della battaglia dell'Aja quando era ambasciatore all'Onu - ha indicato la strada del boicottaggio per cercare di fermare l'apartheid. Al Kidwa, nelcorso di un'intervista alla Reuters, ha dichiarato che chiederà alle Nazioni unite sanzioni contro quelle industrie (come la «Caterpillar», da lui citata) che partecipano alla costruzione del muro. «Non si può parlare di pace e allo stesso tempo colonizzare la terra palestinese, continuare a costruire il muro e le colonie. Questo disruggerà il presente e il futuro dei palestinesi», ha detto. Il rappresentante della politica estera dell'Unione europea, Javier Solana, arrivato a Ramallah per colloqui coi leader palestinesi ha dichiarato la sua contrarietà al muro, perché anche se «noi pensiamo che Israele abbia il diritto di difendersi», la barriera entra all'interno della Cisgiordania.
Osserviamo, anche la contraddizione in cui cadono coloro che criticano la barriera contemporaneamente perchè sottrarrebbe territori al futuro stato palestinese e perchè escluderebbe miglia palestinesi dai futuri confini di Israele.
Per i palestinesi come nazione si rivendicano diritti territoriali, segnatamente a Gerusalemme, a scapito di Israele, e dei diritti individuali degli israeliani che vivono nella città a rimanere nelle loro case in condizioni di sicurezza. Per i palestinesi come individui, invece, si rivendica il diritto a rimanere israeliani, a non essere inclusi nei confini della Palestina.
Gerusalemme est a i palestinesi, insomma, ma gli abitanti arabi di Gerusalemme a Israele

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